Devo confessare, spero non sia considerata una colpa grave, che la mia conoscenza di Alice Miller è abbastanza recente; lo scorso anno, per via di una consulenza per una vicenda di affidamento di minori, ho letto un libro di due psicologhe spagnole per conoscere meglio una presunta malattia che viene diagnosticata in questi casi, la cosiddetta PAS (Vaccaro e Barea Payueta, 2009).
In questo libro le autrici scrivono che i concetti che sostengono la PAS si rifanno all’ideologia del patriarcato e citando Alice Miller affermano che con la PAS si cerca di riportare in auge i principi della “pedagogia nera”.
Così mi sono documentato; gli aspetti che più mi hanno interessato sono i seguenti, che voi già conoscete bene.
Il concetto di pedagogia nera, è stato introdotto da una sociologa e pedagoga tedesca, Katharina Rutshky, che ha così definito i metodi pedagogici in voga nella Germania dei primi del ‘900 e messi a punto verso la metà del 1800 da un medico ortopedico, il Dr Daniel Gottlieb Moritz Schreber, studioso di pedagogia (Rutshky, 1977). Le sue idee pedagogiche erano guidate dal principio che disciplina e obbedienza avrebbero portato a una società migliore; come sappiamo, la società migliore propugnata dal Dr Schreber è stata quella che, dopo la prima guerra mondiale, ha dato vita al nazismo in Germania e al fascismo in Italia e Spagna.
Dei due figli maschi del Dr Schreber, educati secondo questi principi, il maggiore si suicidò verso i 40 anni, il minore divenne magistrato giungendo a ricoprire il grado di Presidente di Corte d’Appello; ebbe due crisi psicotiche e dalla seconda non si riprese più, restando ricoverato in una clinica psichiatrica; qui scrisse un libro “Memorie di un malato di nervi” (Schreber, 1903). Questo libro diede lo spunto a Freud per costruire la sua teoria della paranoia, descritta nel testo “Il caso del Presidente Schreber” (Freud, 1910).
Morton Shatzman nel suo libro “La famiglia che uccide” sostiene la tesi che le esperienze deliranti del Presidente Schreber siano in qualche modo correlate ai metodi educativi paterni; ciò che da Freud è stato interpretato come sintomo di paranoia sarebbe in realtà la trasformazione in chiave delirante dei trattamenti “educativi” subiti a opera del padre; secondo Shatzman i deliri del Presidente Schreber alludevano ad alcune “dolorose verità sulle proprie esperienze infantili” (Shatzman, 1973).
Scrive ancora Shatzman che “gran parte di ciò che viene ritenuto come pazzia può essere visto come una sorta di adattamento a certe situazioni di apprendimento nel mondo esterno” (Shatzman, 1973).
Ho quindi cominciato a leggere gli scritti di Alice Miller per farmi un’idea del pensiero di questa psicologa (lei stessa ha affermato che non vuole essere definita psicanalista).
Devo riconoscere che la psichiatria è molto in ritardo rispetto alle sue idee, ancora va alla ricerca delle lucciole, in un certo senso, per quanto riguarda le cause dalla patologia psichiatrica dell’adulto, senza accorgersi che è tutto già scritto nella storia familiare e personale di ciascun paziente. Basta saperla leggere; e Alice Miller ci fornisce una formidabile chiave di lettura di queste storie.
Un lavoro sui rapporti tra carico di stress e disturbi schizofrenici è stato pubblicato nel 1988 da Faravelli e Pallanti, della scuola di Firenze (Faravelli e Pallanti, 1988); ma è in tedesco e pubblicato su una rivista tedesca, quindi poco conosciuto in Italia. C’è anche un libro di Massimo Biondi, “Stress e schizofrenia” (Biondi e La Rosa, 1986).
Il rapporto è però visto in termini di vulnerabilità soggettiva allo stress, chiamando in causa ipotetici fattori neurobiologici che renderebbero un soggetto più o meno vulnerabile allo stress.
Ma questi studi non vanno ad analizzare i primissimi anni di vita del bambino, quelli che decidono l’intera sua vita.
Nel corso dei dibattiti che si svolgono su Facebook, sul fatto che ai genitori violenti non dovrebbe essere dato l’affidamento dei figli, mi sono più volte scontrato con esponenti delle associazioni dei padri separati i quali invece sostengono il contrario.
Per chiarire meglio la mia idea ho parlato di alcuni miei pazienti, gravi psicotici, proprio per far toccare con mano cosa significa per il bambino vivere in un clima di violenza familiare. Naturalmente ne è nato un putiferio, perché facebook è un ambiente dove imperversano numerosi squilibrati, ma voglio parlarvi di questi casi.
Famiglia n° 1.
Non risultano disturbi mentali negli ascendenti; la famiglia è composta da 6 persone, i due genitori e 4 figli, un maschio e tre femmine. Dopo la separazione coniugale due figli (il maschio e una delle femmine) restano a Lecce col padre, sottufficiale dei carabinieri in pensione, e due seguono la madre a Bergamo; il padre ha un altro figlio maschio da una donna con la quale convive.
Il paziente è il maschio, e viene in contatto con il CIM nel 1994, all’età di 31 anni, già con una pesante storia psichiatrica che vede numerosi ricoveri in cliniche psichiatriche e reparti di psichiatria. La diagnosi è di schizofrenia, seguito ambulatoriamente sino al 2001 quando, dopo una serie interminabile di ricoveri psichiatrici, viene inserito in una comunità riabilitativa.
È totalmente incoerente, ritiene di essere un militare, di vivere in una caserma, chiama medici e psicologi con l’appellativo di generale o ammiraglio; in pratica è totalmente fuori dalla realtà. Al di là della terapia farmacologica, che sostanzialmente è la stessa che assumeva a casa, ma senza risultati, uno spiraglio di apertura in questo suo mondo delirante comincia a manifestarsi quando inizia a dedicarsi al disegno e alla pittura (ha frequentato il liceo artistico). I suoi dipinti sono essenzialmente degli autoritratti, molto cupi, contornati da pesanti cornici dipinte con colori molto scuri, nei quali si rappresenta vestito da militare, e in tutti si coglie questa presenza incombente del padre.
Il padre era molto autoritario, a tratti aggressivo anche con noi operatori e un dato costante osservato durante la permanenza in comunità è che ogni volta che il paziente si recava in vista a casa regrediva, perdendo di colpo tutti i progressi fatti in struttura, in termini di autonomia personale.
Nel corso del 2011 il padre è deceduto; il paziente ha smesso di fare autoritratti, i colori dei suoi dipinti si sono fatti più chiari, i quadri sono più “aperti” non più racchiusi entro cornici rigide.
Famiglia n° 2
Il capofamiglia è uno psichiatra, adesso deceduto. Ha avuto quattro figli ma nessuno dalla legittima consorte; due figli con una sua paziente che è stata sua amante, una figlia con un’infermiera e un quarto figlio da un’altra donna.
Psichiatra di vecchio stampo, autoritario, arrogante, narcisista. Divenne famoso perché era l’unico psichiatra, ai suoi tempi, che praticava l’elettroshock a domicilio; si era procurato un apparecchio portatile per praticare gli elettroshock.
Due figli maschi con rilevanti problemi psichiatrici, uno con diagnosi di disturbo bipolare e l’altro con diagnosi di schizofrenia; quest’ultimo ha tentato due volte il suicidio. Sappiamo poco sull’infanzia di questi ragazzi perché il padre ha avuto la pretesa di curarli da solo, ma da qualche flash lanciato dal maggiore dei due, quello col disturbo bipolare, si ricava un quadro di rapporti familiari molto autoritari.
Famiglia n° 3
Padre, madre e tre figli, un maschio e due femmine; il padre è un professionista molto noto, la madre docente di istituti superiori. Una delle due figlie ha i primi problemi psichiatrici durante l’università, tanto che interrompe gli studi. Seguita sempre privatamente, giunge al CIM nel 2010 e per il suo stato si è costretti a ricoverarla in TSO; non mi dilungo sulla descrizione del caso, si tratta di un delirio erotico, perché è stato pubblicato, quindi può essere trovato in internet (Mazzeo e Pace, 2009).
La paziente riferisce di continue interferenze della famiglia nella scelta delle amicizie, dei fidanzati, e questo per mantenere quell’aura di perbenismo che vige in certe famiglie; riferisce anche di un aborto cui è stata costretta dalla famiglia.
Il suo delirio è stato costruito proprio intorno al desiderio di avere un fidanzato/marito e un figlio, tanto che in un certo periodo era convinta in maniera delirante di aspettare un figlio.
Famiglia n° 4
Padre impiegato di un ente pubblico, madre casalinga, tre figli maschi; i primi due con rilevanti problemi psichiatrici, diagnosi di schizofrenia.
Il primogenito ha un delirio polimorfo, di tipo mistico-religioso (è convinto di essere lo Spirito Santo) e di grandezza (dotato di poteri sovrumani, capace di tornare indietro nel tempo, di ringiovanire e far ringiovanire i suoi familiari – in varie momenti della sua vita era convinto di essere tornato adolescente). Tra le sue convinzioni deliranti anche quella di poter miracolosamente crescere in altezza (uno dei “rimproveri” che gli faceva il padre era che era troppo basso).
Il fratello di questo paziente, è ugualmente in cura per una forma schizofrenica meno grave; solo l’ultimogenito non ha avuto problemi psichiatrici.
Famiglia n° 5
Padre impiegato, madre insegnante, entrambi in pensione; solo dopo un lungo periodo di tempo trascorso da quando è in cura al CIM il paziente ha trovato la forza di parlare della violenza paterna, del fatto che il padre (mai venuto al CIM per avere notizie del figlio) è un alcolizzato, con pessimo carattere, manesco e violento. Tuttora i sogni del paziente sono caratterizzati da incubi nei quali viene aggredito e picchiato.
Ha una forma particolarmente grave di schizofrenia, con marcati aspetti autistici, rifiuto quasi completo di ogni contatto sociale, vive in una stanza ricavata dalla tavernetta della casa, dove si è organizzata la sua vita in maniera da avere contatti solo sporadici col padre.
Una sorella di questo paziente è andata via di casa con un tossicodipendente, divenendo a sua volta tossicodipendente.
Famiglia n° 6
Unica figlia di due genitori violenti, esposta sia alla violenza tra i due genitori sia picchiata più volte dal padre; ha subito anche abusi sessuali a parte di uno zio.
All’età di 13 anni, stanca di questo clima familiare, tenta il suicidio; successivamente ha chiesto all’Assistente Sociale del Comune di andare in una comunità.
I genitori intanto si separano, il padre trova una nuova compagna ma non cessa di essere violento, arrivando ad ammazzare la nuova compagna e finisce in carcere. La madre trova un nuovo compagno ma è un alcolista.
Uscita dalla comunità prova a tornare dalla madre ma il compagno della madre cerca di abusare di lei. Se ne va di casa vivendo per un po’ per strada come barbona, l’unico lavoro che riesce a trovare è quello del volantinaggio, e sopravvive in questo modo, ripetendo altri tentativi di suicidio. In cura al CIM per una grave depressione.Poco prima di Natale il padre, che è uscito dal carcere, le ha telefonato; chiaramente lei gli ha rinfacciato le violenze subite e lui le ha risposto: “E cosa devo dire io che da tuo nonno le prendevo di santa ragione?”.
Mi fermo qui per alcune considerazioni.
Chiaramente, i casi esposti non sono frutto di uno studio sistematico, si tratta di storie di persone con problemi psichiatrici più o meno gravi, esposte nell’infanzia a comportamenti violenti; esiste una relazione di causa/effetto tra i comportamenti violenti e/o gli abusi nell’infanzia e la psicopatologia adulta? Sembrerebbe di sì, ma ovviamente occorrono studi sistematici.
Insieme a una psicologa leccese, Delia Gemma, abbiamo messo a punto una bozza di scheda per cominciare un’indagine in questo senso; naturalmente il progetto è aperto a qualsiasi collaborazione, se raggiungiamo una casistica discreta potremmo cominciare a capirci qualcosa di più. L’obiettivo è di pubblicare alcuni lavori su questi aspetti.
Note bibliografiche
Biondi, M. La Rosa, C. (1986), Stress e schizofrenia, CIC Edizioni Internazionali, 1986.
Faravelli, C. Pallanti, S. (1988), Stressbelastung und schizophrene stoerung. NERVENARZT, vol. 59, pp. 237-239, 1988.
Freud S. (1910), Casi clinici 6 – Il Presidente Schreber, trad. it., Biblioteca Boringhieri, Torino 1975.
Mazzeo, A. Pace, V. (2009), Un caso di delirio erotomanico – Cenni storici e rassegna della letteratura, Psychiatry online Italia, Genova 2009.
Rutshky, K. (1977), Schwartze Pädagogik, Ulstein, Berlin 1977.
Schreber, D.P. (1903), Memorie di un malato di nervi, trad. it., Adelphi, 1974.
Shatzman, M. (1973), La famiglia che uccide, trad. it., Feltrinelli, Milano 1973.
Vaccaro, S. Barea Payueta, C. (2009), La presunta sindrome di alienazione parentale – Uno strumento che perpetua il maltrattamento e la violenza, trad. it., EdIt, Firenze 2011.