Regia: Marco Bellocchio.
Sceneggiatura: Marco Bellocchio, Daniela Ceselli.
Fotografia: Daniele Ciprì.
Montaggio: Francesca Calvelli.
Musica: Carlo Crivelli.
Scenografia: Marco Dentici.
Costumi: Sergio Ballo.
Interpreti e personaggi:
Giovanna Mezzogiorno:
(Ida Dalser)
Filippo Timi:
(Benito Mussolini /
Benito Albino Dalser)
Corrado Invernizzi:
(il dottor Cappelletti)
Fausto Russo Alesi:
(Riccardo Paicher)
Michela Cescon:
(Rachele Guidi)
Pier Giorgio Bellocchio:
(Pietro Fedele)
Paolo Pierobon:(Giulio Bernardi)
Bruno Cariello: (il giudice)
Francesca Piccozza: (Adelina)
Simona Nobili: (la madre superiora)
Vanessa Scalera: (la suora misericordiosa)
Fabrizio Costella: (Benito Albino da piccolo).
Produzione: Mario Gainani per Offside/Rai Cinema/Celluloid Dreams
Distribuzione: 01.
Durata: 128’.
Origine: Italia/Francia 2009.
Nella Milano dei primi anni Dieci, Benito Mussolini, giovane direttore del quotidiano socialista “ ‘Avanti”, è impegnato nel mettere in atto la sua idea di rivoluzione antiborghese e anticlericale. Al suo fianco c’è Ida Dalser, una donna conosciuta a Trento che lo ama, seguendolo ovunque e sostenendolo con tutte le sue forze: E’ lei che, dopo aver venduto ogni suo avere, gli permette di fondare il quotidiano “IL popolo d’Italia”, ed è sempre lei che gli dà sostegno quando, in rotta con i vertici del Partito Socialista, Benito fonda il movimento fascista : Gli dà pure un figlio, Benito Albino; ma Mussolini, ferito al fronte nel corso della Prima guerra mondiale, preferisce dimenticarsene, per sposarsi con la molto meno “scomoda” Rachele . Ida inizia una disperata lotta per far valere i diritti suoi e del figlio; ma Mussolini, ormai diventato Presidente del Consiglio, fa in modo che venga internata in manicomio, e il figlio affidato a un compiacente gerarca. La donna non si dà per vinta, nonostante le continue violenze psicologiche alle quali è sottoposta, ma né lei né il figlio potranno avere la meglio sulla machina che Mussolini ha messo in moto per rimuoverli dalla vita e dalla storia (1).
Film che narra il percorso nervoso e sincopato di due alienazioni, una indotta, di Ida Dalser, e l’altra come prezzo pagato per diventare icona e gestire il potere, di Benito Mussolini.Collegio, manicomio, e scena di una politica consegnata totalmente alle mosse retoriche e agli atteggiamenti istrionici del capo carismatico, sono lo scenario del comparire e del vedere ed essere visti, o del divenire dispersi, separati, segregati.Ida e suo figlio, figlio anche di Mussolini, Benito Albino, seguono un percorso parallelo a quello del Duce. In entrambi le istituzioni totalizzanti, collegio, manicomio, luoghi del potere, il balcone di Palazzo Venezia soprattutto, diventano prigioni o piedistalli dove si consumano vicende semanticamente diverse (potere e segregazione), ma alla fine sovrapponibili: Ida e Benito Albino saranno costretti a non vedere riconosciute le proprie identità, cosi come il Duce vedrà annichilita la sua nella realtà della guerra perduta, che distrugge l’immagine artefatta del capo da osannare.Unica istituzione che si salva, o meglio che si vorrebbe salvare, è la famiglia, anche in questo caso con percorsi differenti, tra la distruzione di un nucleo reale, sostenuto almeno da una spinta passionale forte da parte di Ida, e la celebrazione della famiglia-immagine, quella della moglie Rachele, certamente più rassicurante, in quanto tutta interna al potere e alla sua rappresentazione.
Ida è una moderna Antigone, madre e non sorella, che si scontra, prima speranzosa ed illusa, poi disperata e rassegnata, contro i soprusi della ragion di stato, in nome dei suoi diritti naturali e legali di donna amante e di madre, ma soprattutto di donna appassionata che ha vissuto in tutto e per tutto il suo amore, ricevendo come risposta il rifiuto e la negazione della realtà.
La follia, nel caso di Ida e di suo figlio, è la definizione che viene usata per la diversità e l’ostinazione a smascherare la menzogna e lo schermo del potere, che fa sua l’immagine conformista (la moglie ufficiale, Rachele) in funzione di produrre consenso.
La via saggia, suggerita dello psichiatra, sarebbe stata quella della assunzione della maschera pirandelliana, del diventare attore, dell’adottare la finzione pubblica che nasconde la verità privata: “E’ un’ epoca in cui bisogna essere attori, Mussolini non durerà in eterno”, consiglia il dottor Cappelletti a Ida, ricoverata forzatamente nel manicomio dell’isola di San Clemente, a Venezia. Lei invece è costretta ad essere un’eroina da melodramma, per difendere se stessa e il figlio, al fine di non essere rigettata nell’oscurità dell’ingiusto ripudio.
Le immagini, almeno nella prima parte del film, quando Mussolini è ancora socialista, sono costruite in stile di montaggio futurista, con varie sovrapposizioni, che alternano riprese del film con spezzoni dei cinegiornali Luce d’epoca.
Il futurismo viene visto come uno svecchiamento ed una ricerca di nuove espressioni artistiche, nell’epoca della industrializzazione, ma anche come espressione violenta della nuova epoca, che celebra la guerra come igiene del mondo. In questo differenziandosi del tutto dal futurismo russo, uno per tutti Majakovskij, che celebra il movimento, la cinetica, la velocità, il ritmo, senza adulare la guerra come distruttrice del vecchio mondo.
L’iconografia di Vincere è il frutto maturo della visione del cinema propria di Bellocchio e sull’uso dell’immagine per fini diversi dall’estetica. E questo particolarmente sull’utilizzo che ne può fare il potere con la diffusione capillare degli eventi che caratterizzano il regime e dell’immagine dei gerarchi e del capo.
Da quando entra in manicomio Ida non vedrà più Mussolini in persona, ma soltanto nelle immagini che il potere diffonderà, attraverso i cinegiornali,
Gli schermi cinematografici saranno diffusi a partire dalle grandi città per arrivare ai piccoli centri, per produrre visione senza vedere. L’immagine diventa una fonte ipnotica che crea risposte automatiche (la scena dei saluti romani al cinema, quando compare l’immagine del Duce).
E’ Mussolini stesso, nella scena dell’ospedale militare, dove si trova ricoverato perché ferito sul fronte del Carso, che si identifica nella passione di Cristo e nel corpo crocifisso offerti alla visione (un grande schermo è posto sul soffitto e viene proiettato il film Christus di Giulio Antomoro, 1916). C’è la lettura in soggettiva (il volto sofferente di Mussolini, il volto sofferente del Cristo) della predestinazione a vivere un personale percorso di passione per riuscire a sfuggire dalla mediocrità ed offrirsi come corpo-immagine al popolo, in un misto di idealità e di banale conformismo, tipici dei regimi autoritari che si costruiscono sul carisma del capo.
Mentre Ida, la moglie scacciata, è un personaggio attivo, pur nella sua corsa contro il nulla, il figlio, Benito Albino Mussolini è immagine privata dei suoi riferimenti, allontanato dalla madre, privato delle cure di altri familiari, affidato ad un gerarca del regime, ed infine consegnato anche lui al manicomio, dove realmente si alienerà nella rappresentazione di un’identità rubata e vissuta come vuoto privo di figure di attaccamento.
Da un punto di vista di analisi psicologica il film descrive la deprivazione di identità, come elemento fondamentale per un equilibrio del rapporto Io-gli altri, la impossibilità cioè di definire un idem che mi conferma in quello che sono e in come mi percepisco. E per riaffermare questo è possibile combattere fino alla fine, come sa Ida che, per ottenere un riconoscimento della sua storia, alla fine rifiuta la vita di compromesso, cioè la eventuale manifestazione di un’identità di facciata, seppellendo dentro di sé quella vera. Il compromesso per lei non è possibile e quindi da qui nasce il suo cammino verso un eroismo oscuro che la confina nei mondi più dimenticati del ‘900, i manicomi.
Dall’altro, nel seguire la vicenda di Benito Albino, troviamo la descrizione di una deprivazione di amore che porta alla follia. Letteralmente agghiacciante è la sequenza che vede il bambino portato via a forza dalla casa degli zii (la madre era già stata rinchiusa a forza in manicomio) per essere scaricato in un collegio di suore. E’ estate e nessun altro ragazzo è ospite dell’istituto. Albino, nella camerata in cui tutti i letti sono sfatti, si rivolge alla suora che sta preparando il suo e chiede “Ma sono qui da solo?”. La suora gli dice che lei dormirà nella camera accanto. Solo e controllato dal potere religioso delegato a controllare la lontananza e la dimenticanza di una persona scomoda, suo malgrado, rispetto al potere politico.
Altro aspetto riguarda il doppio volto del potere, mentre da un lato distrugge una famiglia, privando madre e figlio della loro vicinanza e della condivisione di vita, dall’altro celebra i matrimoni collettivi, il dono delle fedi alla patria, l’allattamento di gruppo delle madri, la pace con l’istituzione ecclesiastica. Illuminante, a questo titolo, è la supplica che Ida rivolge alla madre superiora delle suore del manicomio perché le sia permesso almeno di vedere il figlio e che riceve come risposta di seguire l’exemplum delle sofferenze delle sante.
Quel potere, quei poteri, quando si alleano, possono svuotare l’individuo.
Alla fine arriva la grande livellatrice della storia: Ida morirà in manicomio nel 1937, a cinquantasette anni, per emorragia celebrale, provocata dai numerosi elettroshock, Benito Albino nel 1942, a ventisette anni, anche lui in manicomio, per marasma, Benito Mussolini nel 1945, a sessantadue anni, condannato a morte dal Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia.
Ida e Benito Albino furono sepolti in una fossa comune, perché non ne rimanesse traccia nemmeno dopo la morte (2).
Note:
(1) Il casting e la trama sono tratti da “Cineforum” n. 485, giugno 2009.
(2) Come riferimenti alle fonti documentarie degli avvenimenti trattati nel film si può leggere:
MARCO ZENI. La moglie di Mussolini. Erre Effe. 2005.
ALFREDO PIERONI. Il figlio segreto del Duce. La storia di Benito Albino Mussolini e di sua madre, Ida. Garzanti. 2006.
In data 14 gennaio 2005 RAI 3 ha trasmesso il documentario “Il segreto di Mussolini”, per la regia di Fabrizio Laurenti e Gianfranco Norelli.
Per quanto riguarda la critica cinematografica possono essere consultate, fra le altre, le riviste:
“Cineforum” n. 485, giugno 2009.
“Duellanti” n. 52, maggio 2009.
“Segnocinema” n. 158, luglio-agosto 2009.
“Filmcritica” n.596-597 giugno-luglio 2009.
Giovanni Lancellotti
giovannilance(at)fastwebnet.it
Di origini emiliane (Carpi 1943) vive a Pisa da più di quarant’anni. Psicologo e psicoterapeuta di formazione rogersiana, con forti interessi nel campo della psicoanalisi e delle terapie espressive, psicodramma e teatroterapia in particolare. Esercita la libera professione a Pisa, presso Script – Centro Psicologia Umanistica, nell’ambito della psicoterapia individuale, di copia e familiare.
Lavora come psicologo dell’educazione per la Cooperativa Sociale “Il Cerchio”, in sportelli di ascolto presso scuole in provincia di Pisa, attraverso colloqui con alunni, insegnanti, genitori.
Si interessa di cinema e teatro, con attenzione alle valenze terapeutiche di queste due realtà.