Giovanni Lancellotti

Una donna fantastica
Una mujer fantàstica

La locandina del filmRegia: Sebastiàn Lelio.
Sceneggiatura: Gonzalo Maza, Sebastiàn Lelio.
Fotografia: Benjamin Echazarreta
Montaggio: Soledad Salfate
Musica: Matthew Herbert
Scenografia: Estefania Larrain
Costumi: Muriel Parra
Cile, Germania, 2017.

Interpreti: Daniela Vega (Marina), Francisco Reyes (Orlando), Luis Gnecco (Gabo), Aline Kuppenheim (Sonia), Nicolàs Saavedra (Bruno), Amparo Noguera (Adriana), Trinidad Gonzàlez (Wanda), Néstor Cantillana (Gastòn), Alejandro Goic (il dottore), Sergio Hernàndez (l’insegnante di canto), Diabla (il cane).

Marina, una donna giovane e attraente, è legata sentimentalmente ad un uomo di vent’anni più grande. La sua fragile felicità si interrompe la sera in cui Orlando muore all’improvviso. È in quel momento che la sua natura transgender la metterà di fronte ai pregiudizi della società in cui vive. Marina è però una donna forte e coraggiosa e si batterà contro tutto e tutti per difendere la propria identità e i propri sentimenti. (da Cineforum on line)

Marina è l’Angelus Novus che si rispecchia sulle cascate dell’Iguazù, insolitamente vaporose, che non vedrà mai. La morte dell’amato Orlando abortirà una vacanza che lui le voleva regalare per il suo compleanno. Tarpate così le ali, la sua essenza transgender viene violentemente a contatto col mondo senza amore. Senza amore non c’è identità.
Un gruppo di poeti anonimi ha lasciato due versi sui muri di Pisa:
“Solo tu vedi il mondo
attraverso i miei stessi occhi”.
Nessuno più vede il mondo attraverso gli occhi di Daniel, il nome anagrafico di Marina. La morte di Orlando ha annullato la visione condivisa, che faceva parte del loro “insolito” sentimento.

“La bellezza non ci salverà, ma l’amore con cui ci dedichiamo alla sua ricerca ci restituisce comunque un’immagine della salvezza. E questo ci è di aiuto”. [1]

“Credo che la normalità sia un concetto soprattutto politico, nel tentativo di normalizzare quello che non è normalizzabile. Siamo tutti diverse manifestazioni di cosa vuol dire essere vivi”. [2]

Ed è all’interno della bellezza e della manifestazione di un vivere particolare che si svolge la vicenda Marina-Orlando e la “disgrazia” successiva della morte dell’amato fra le sua braccia.
Una scena del filmBellezza frutto di tutto ciò che può vivere una coppia “normale”: una cena in un ristorante, una serata a ballare, un viaggio insieme, una notte d’amore. Fino al disperato tentativo di chi è sopravvissuto di accompagnare col lutto la perdita di un amore.

Le linee cromatiche, i colori filmici, di tutto ciò sono un alternarsi di tenuità, di colori acrilici, di sogni illuminati a notte, con riflessi luccicanti di paillettes e lustrini, con surreali voli d’angelo [3] in sospese atmosfere pop e luci che stagliano il volto di Marina, delicatamente scultoreo e in primo piano.

Una caratteristica degli ambienti e della scenografia è, dato il contenuto dell’opera (a prima vista una lotta per l’affermazione di un proprio diritto violato, in questo caso per l’inclinazione sessuale omo) praticamente l’assenza di tratti realistici, la connotazione è resa da interni privati, scene di famiglia, incontri di amanti, insomma vite individuali, la società fa da sfondo, gli individui ne sono originati, ma la coprono e accompagnano la protagonista alla dura conquista di un nuovo Sé. [4]

La modalità iconica che ci rende le caratteristiche psichiche della protagonista e dell’atmosfera di tutto il suo vissuto è lo sdoppiamento delle immagini della figura umana, in primis della sua e di quella Orlando. Quando Orlando sale le scale della sauna Finlandia la sua figura viene moltiplicata nel riflesso sui vetri laterali, Marina si specchia spesso, la sua immagine viene rimbalzata dagli stessi vetri dei locali della sauna, quando scende le scale per aprire l’armadietto di Orlando negli spogliatoi (armadietto che risulterà vuoto, con un fondo nero su cui la cinepresa si appiattisce in un nulla oscuro, come nella geometria di un quadro astratto che aspetta un improbabile titolo. L’inquadratura segna il distacco dall’amato morto, dopo rimarrà soltanto l’ultima tappa della cremazione).
Fino all’ultima immagine doppia di Marina che si vede in un grande specchio, trasportato in strada da due operai che fanno un trasloco: visione emblematica di una scissione interno-esterno della protagonista.
Da quel momento il corpo (l’immagine di Marina, pur nella natura di “riflesso”) avrà sempre una sostanza corporea, tridimensionale, pur all’interno delle due dimensioni dell’immagine filmica (caratteristica dell’effetto tridimensionale sono alcune inquadrature di Hitchcock, in particolare nel film “Gli uccelli”, in cui sembra che ci sia una sospensione iconica che ci avvicina la figura umana per sottolineare l’importanza del momento).

Una scena del film
Dopo le inquadrature-specchio (fondamentale la sintesi “parte sessuale” specchio e volto di Marina, quando si trova nuda sul letto, in compagnia del cane. Non importa la sessualità, ma la persona) il profilo della protagonista acquisterà una caratteristica naturalistica, il personaggio sembra vivere in una parabola hollywoodiana, una dinamica catartica (che nei dettami delle major si delineava nel trionfo dell’amore, della legge, del giusto, del bene…).
Una scena del film
Invece l’esprit de comédie (Marina che salta sul tetto dell’auto dei parenti di Orlando, sulla strada che porta al crematorio) e l’ultimo sguardo onirico (Orlando en fantôme che la saluta baciandola per l’ultima volta, mentre si incammina verso il forno crematorio) fanno da prodromo all’ultima sequenza: Marina corre, in tuta da ginnastica, il cane è con lei, in un posto alto che domina la città. È in compagnia dell’unico essere che non l’ha mai giudicata e che l’ha sempre accompagnata fedelmente, il cane Diabla (Diavola).
Lei si allena, la città sottostante la troverà pronta perché ci possa entrare, mentre la città non è ancora pronta per accoglierla, ma a lei non importa.
Entrerà nel mondo, nella sua vita, nel suo vivere, col suo canto lirico, nell’ultima delicata sequenza, in cui la sua figura e il suo abbigliamento raggiungono un’atmosfera da teatro alla Cocteau (Orfeo ha finalmente travalicato lo specchio) e prenderanno pienamente la scena.

La bellezza dell’arte ha salvato Marina dalla burocratica vivisezione che serviva a confinare e proteggere i normali nel loro mondo, in un’ identità che si riconosce soltanto se costituisce una diversa non identità da escludere, se non, in ultima conseguenza, da sterminare (la sequenza del sequestro di Marina da parte del figlio di Orlando e degli amici e il suo imbavagliamento col nastro isolante, che le deforma il viso e le impedisce di parlare, è un richiamo mimetico alle persecuzioni e alla sparizioni in Cile, ad opera dei militari del generale Pinochet). Così come l’insistenza, da parte della moglie e del figlio di Orlando, per allontanare Marina dalla cerimonia funebre, riecheggia la sorte dei familiari di migliaia di desaparecidos, morti senza tomba durante la dittatura militare. È la morte di Antigone.

Da un punto di vista iconico, il rapporto percettivo immagine-spettatore è costruito su scelte di sceneggiatura di varia forma. Ad esempio gli interni non sono quasi mai ben caratterizzati (vedi la galleria- luna park che viene attraversata da Marina prima di prendere servizio nel ristorante dove lavora come cameriera). Oppure attraverso l’uso dello sfondo onirico (la fantasia del balletto pieno di lustrini e di psichedeliche, con la protagonista che guida una danza corale che vola in primo piano, come un angelo delicato e beffardo).
Da un lato quindi la indeterminatezza dell’ambiente si rispecchia nell’assenza di visione schematica della figura del transgender (è una vita con aspetto di passaggio), dall’altro l’avvolgimento della figura nel sogno lascia spazio vitale all’immaginazione, che vive più in alto della terrestre realistica normatività.

Il tutto inserito in un cinema che è maschera di una macchina empatica, allegoria della capacità di un recupero umano, lontano, ma non estraneo, alla profondità della storia, a cui arriva accompagnando costantemente i personaggi, il cui tono emotivo aumenta gradatamente, fino a farci immaginare che, dietro le apparenze, i fenomeni istantanei, ci sia un fiume più grande che li avvolge. [5]

E siamo al finale cantato, Marina che si eleva nella bellezza della lirica, attraverso la musica e il canto, che sono le forme artistiche permeate di un linguaggio universale. [6]

Una scena del filmÈ una chiusura delicatamente pop, nell’ultima sequenza la bellezza e la pietà umana, la pace del diritto di ogni presenza, si vedono attraverso i grandi occhi di Marina, un volto che Andy Warhol avrebbe volentieri ridipinto nelle sembianze della “Ragazza dall’orecchino di perla” di Vermeer.

Note:
[1] ADRIANO PICCARDI, direttore responsabile di “Cineforum”, rivista mensile di cultura cinematografica, editoriale Storie, n. 591, gennaio-febbraio 2020.
[2] CRISTINA PATERNO’ in Una donna fantastica ,“Vivi il cinema” n. 5 2017. Le parole citate sono del regista Sebastiàn Lelio.
[3] La forma onirica ha come padre Raùl Ruiz , regista cileno di trent’anni più anziano della generazione di Lelio, impegnato politicamente, responsabile della cultura nel governo di Salavador Allende. È morto a Parigi nel 2011. È stato uno dei registi di riferimento del Nuovo Cinema Cileno.
[4] Per questo aspetto il modello dichiarato è il regista americano John Cassavetes.
[5] Sarebbe difficile, per questa parte, non ricordare gli stili di Almodovar o di Fassbinder.
[6] Si tratta dell’aria “Ombra mai fu” dal Serse di Handel.
“Frondi tenere e belle
Del mio platano amato
Per voi risplenda il fato
Tuoni, lampi, procelle
Non v’oltraggino mai la cara pace
Né giunga a profanarvi austro rapace”.

Riferimenti critici:
PAOLO VECCHI Sebastiàn Lelio in “Cineforum” n. 527 Agosto-Settembre 2013.
ANNA MARIA PASETTI L’identità smarrita in “Vivi Cinema” n. 5, 2017.
CRISTIANA PATERNO’ Una donna fantastica in “Vivi Cinema” n. 5, 2017.
PAOLA BRUNETTA Un uomo, una donna, in “Cineforum” n. 570 Dicembre 2017.
FABIO FERZETTI La mia trans è diventata un’icona cilena, in “Il fatto quotidiano”, 25 Ottobre 2017.

Giovanni Lancellotti

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