Con tempi più rapidi del previsto si va verso il superamento dell’obbligo di leva e quindi l’avvento del servizio civile sganciato dall’obiezione di coscienza, automaticamente diventato ormai, per l’opinione pubblica ma anche per parecchi addetti ai lavori, servizio civile volontario. Definizione impropria ed equivoca: senza voler fare del nominalismo, una volta detto che il nuovo istituto si basa sulla volontarietà, cioè sulla libera opzione dei giovani, è bene precisare che si tratterà piuttosto di una sorta di contratto a termine tra il giovane e le istituzioni, accompagnato da un’offerta formativa.
E’ importante capire il cambiamento in atto e coglierne le opportunità affinché il nuovo nasca e nasca bene. Cerchiamo di farci un’idea rispondendo ad alcune domande: che cosa cambia rispetto al “vecchio” servizio civile? Cosa rimane? Che cosa migliorerà e che cosa andrà perduto? Che ne sarà delle scelte pacifiste e nonviolente? Quali opportunità per i giovani?
I cambiamenti
Si passa da un regime di obbligatorietà a uno di libera opzione. Finora tutti i cittadini maschi maggiorenni erano tenuti a “servire la patria” per un periodo della loro vita. Chi rifiutava l’uso delle armi, era assegnato al servizio civile, da svolgere presso Enti convenzionati con lo Stato. In qualche modo passava ai giovani un messaggio sui doveri verso la Patria (quello che il Presidente Ciampi cerca di rilanciare) la cui “difesa” è una forma di responsabilità verso la comunità cui si appartiene. La simmetria diritti/doveri, una costante della Costituzione italiana, è già di per sé un contenuto forte sotto il profilo valoriale: la cittadinanza si costruisce con l’apporto di tutti. La leva obbligatoria, adempiuta tanto dai militari quanto dagli obiettori, aiutava a non dimenticarlo.
Adesso il servizio civile e quello militare saranno materia di libera scelta: nella migliore delle ipotesi per convinzioni di carattere sociale e culturale, più realisticamente perché lo Stato sarà visto come un datore di lavoro, per quanto sui generis. Il rischio incombe soprattutto sul servizio militare: sarà interessante capire quanti e quali giovani faranno il mestiere del soldato. O non lo faranno, dal momento che il ministro della difesa Antonio Martino ha ipotizzato la costituzione di una legione straniera.
Ma occupiamoci del servizio civile (SC). Anch’esso, come il servizio militare “di professione”, dipenderà dalla libera scelta di ragazzi e ragazze, in età compresa tra 18 e 26 anni. E’ azzardato prevedere quanti giovani lo sceglieranno; dipenderà in primo luogo da quanto lo Stato e le Regioni mostreranno di credere nel nuovo servizio civile e quindi investire per renderlo una proposta interessante, un’opportunità appetibile per i giovani. A partire dalla copertura finanziaria, che riguarda tutto l’apparato organizzativo da impiantare e un corrispettivo economico intorno a 400 Euro al mese.
Il primo aspetto del cambiamento è che contenuto portante del SC diventa l’esperienza di crescita del giovane, inteso come “potenziale” soggetto solidale che contribuisce alla difesa della patria (in termini di qualità della vita della comunità a cui appartiene), dilata la dimensione solidale in prospettiva planetaria, è stimolato e sostenuto in percorsi di educazione alla nonviolenza, partecipa alla cura del territorio (stiamo ripercorrendo i commi dell’art. 1 della legge 64/2001).
Un seminario promosso da Caritas e Fondazione Zancan ha così definito il SC del futuro: “una sorta di bottega della democrazia che fa del giovane un apprendista artigiano che acquisisce e sperimenta gli strumenti in grado di renderlo protagonista nelle realtà in cui già è inserito come in quelle in cui sarà chiamato ad operare come cittadino. Questa esperienza di crescita non è da intendersi in senso direttivo/genitoriale, ma come accompagnamento del giovane verso l’assunzione di responsabilità (far posto e non dare un posto). Tale crescita avviene su piani diversi e complementari: formazione professionale, inserimento nel mondo degli adulti, protagonismo civico, partecipazione democratica, capacità di dialogo e di prossimità, corresponsabilità nei processi di riconciliazione e nell’apertura planetaria”. Un esito possibile, nella misura in cui il SC sarà leale rapporto di scambio che abilita la persona a giocarsi liberamente nella relazione con l’altro è la gratuità, intesa come “interesse disinteressato, al di là di ogni utilitarismo, che apre ad ulteriori possibilità di offerta di sé durante o dopo il SC”.
La cosa assolutamente nuova è l’ingresso a pieno titolo nel nuovo SC delle ragazze. In parte si tratta della maturazione di un seme gettato da molti anni dalla Caritas con la proposta dell’Anno di Volontariato Sociale (AVS), con l’aggiunta nuove prospettive in termini di pari opportunità. Ai primi due “bandi” indetti dalla stessa Caritas (dicembre 2001 e luglio 2002) hanno risposto ottanta ragazze da ogni parte d’Italia.
Dallo Stato centrale alle Regioni
A seguito della riforma “federalista” della Costituzione, la nuova soggettività delle Regioni comporta una rivendicazione di titolarità sulla materia, peraltro già manifestata nei confronti dell’Ufficio Nazionale del Servizio Civile (UNSC). Quest’ultimo è la nuova struttura che sovrintende al SC, finalmente sganciato dal Ministero della Difesa e passato alla dirette competenze della Presidenza del Consiglio. Sapranno le Regioni legiferare e gestire validamente la materia? Per adesso, si sono date Leggi regionali Emilia-Romagna, Liguria, Molise e Toscana; l’iter legislativo è in corso per Lombardia, Piemonte, Veneto e Umbria. Avremo un SC a “macchia di leopardo”? I giovani del Sud continueranno a essere penalizzati? Diciamo continueranno perché già adesso in molte aree meridionali e insulari c’è carenza di Enti convenzionati e quindi difficoltà a svolgere il SC, nonostante il vivo interesse dei giovani. Aprire strade per il nuovo SC al Sud è importante almeno per due motivi: perché vi è più alta natalità e quindi, in prospettiva, una maggiore base di diffusione della proposta; e poi perché il SC può essere punto di forza per la crescita socioculturale delle comunità. È degno di nota che il Piano Integrato Sociale Regionale della Toscana dichiari di voler sperimentare “il coinvolgimento di giovani che optano per tale servizio… palestra di nuova cittadinanza, incentivando interventi che facciano acquisire un nuovo concetto di solidarietà, attivando esperienze di cittadinanza partecipata”. ottanta ragazze da ogni parte d’Italia.
Che cosa rimane?
Rimane un’esperienza di trent’anni, col patrimonio che rappresenta il servizio civile per chi lo ha impostato bene, per chi si è preoccupato di accogliere i giovani e valorizzarli, senza farne semplice manovalanza. Circa un terzo degli Enti convenzionati è di area ecclesiale, un altro 40% è costituito da Comuni e vari comparti della pubblica amministrazione. Speriamo che non restino anche le zone d’ombra che finora non sono mancate.
Quello che dovrà rimanere e anzi aumentare è l’investimento formativo, con quel che ha rappresentato per i giovani (e i taluni casi per gli Enti e le comunità territoriali). Molti obiettori hanno avuto occasione di crescere come persone, soprattutto nel servire l’altro, i tanti volti delle povertà incontrati in molti centri operativi; non è casuale trovare obiettori di qualche anno impegnati come amministratori locali o dirigenti di imprese sociali. A parecchi giovani il SC ha fatto conoscere sbocchi di lavoro nuovi, soprattutto nel campo dei servizi alle persone. Si tratta di un notevole patrimonio educativo di tipo esperienziale da non disperdere.
Che cosa migliorerà e che cosa andrà perduto?
Potrebbe migliorare l’investimento sui giovani, dal momento che l’accompagnamento formativo è previsto come uno dei pilastri portanti. Significativo è il collegamento con le Università e le professioni: il SC potrà attribuire “crediti formativi”, e d’altra parte varie Università hanno attivato o progettato corsi di laurea su temi attinenti la pace, il welfare, la cooperazione allo sviluppo ecc. Il SC potrà servire come tirocinio per varie professioni sociali.
Tutto questo sarà possibile se l’approccio sarà quello di un cantiere aperto, un laboratorio di progetti finalizzati a precisi obiettivi: formazione e qualificazione di giovani; fornitura di risorse aggiuntive alle politiche socioassistenziali, educative, culturali, ecologiche; crescita del tasso di socialità e relazionalità delle comunità territoriali, apertura a percorsi di giustizia planetaria.
La cosa che più si rischia di perdere è lo stretto legame tra il SC e le scelte di pace dei giovani, che caratterizzava l’obiezione di coscienza.
Che ne sarà del pacifismo e della nonviolenza?
Si è affermato il nuovo servizio civile decreterà la fine dell’obiezione di coscienza. Se è vero che non ci saranno più, in via ordinaria, cittadini obbligati al servizio militare, l’obbligo di leva resta tuttavia sospeso (per abolirlo sarebbe occorsa una riforma della Costituzione) ed è contemplata la possibilità di reintrodurlo; in quel caso la legge prevede una disciplina diversa per gli obiettori di coscienza. Ciò vuol dire che i giovani che optano per il servizio civile potranno continuare a dichiararsi obiettori. La prospettiva non va sottovalutata, quanto meno come memoria di quel che ha significato l’obiezione per le precedenti generazioni.
Bisognerà aiutare i giovani che fanno il SC a recuperare il valore aggiunto che proveniva dall’idealità pacifista e nonviolenta, corredo genetico degli obiettori “duri e puri” di un tempo. Dire no alle armi, lavorare per la risoluzione nonviolenta dei conflitti, sentirsi in sintonia con ideali e azioni per la liberazione e i diritti umani in ogni parte del mondo hanno rappresentato un’opportunità educativa per molti giovani. Sensibilità e comportamenti da rilanciare, in un tempo caratterizzato dal ritorno della mitologia bellica dopo quel maledetto 11 settembre.
Anche il nuovo esercito professionale andrà tenuto sotto controllo. Finora si è parlato soprattutto del mezzo, ma con troppa reticenza sui fini. Sul “nuovo modello di difesa” occorre un serio dibattito etico e culturale, prima che tecnico e finanziario; come si diceva un po’ di anni fa, “la guerra è una cosa troppo seria per lasciarla fare ai militari”. Bisognerà che qualcuno spieghi davvero che cos’è la pace chi sceglie la professione del soldato, a partire dal diritto/dovere di obiettare a ordini ingiusti o a comportamenti eticamente inaccettabili. Incluso l’impegno a rendere le caserme e i vari aspetti della vita militare rispettosi della dignità delle persone.
Quali opportunità per i giovani?
I destinatari sono chiaramente i giovani di questo tempo. Quelli del muretto, quelli dello “sballo” del sabato sera, quelli della generazione di Erika e Omar. Ma anche i giovani che manifestano contro la globalizzazione, che marciano da Perugia ad Assisi, che si rimboccano le maniche nel volontariato, che tutelano l’ambiente e diventano consumatori critici. La comunità degli adulti, a partire da genitori ed educatori, è disposta e attrezzata a farsi carico di una proposta seria d’impegno, a scommettere per e con i giovani? E la politica quanto vorrà investire sul nuovo SC?
Per tutti gli Enti che finora impiegavano gli obiettori si impongono alcuni passaggi:
dall’aspettare i giovani, perché finora c’era un obbligo di legge a cui conseguivano delle assegnazioni, alla proposta di un’esperienza affidata alla libera scelta, apprezzabile in quanto attraente, significativa, capace di qualificare un anno della propria vita;
dall’utilizzo del SC a beneficio di un’opera all’assunzione diretta di responsabilità educative verso i giovani, mettendoli in condizione di concludere il SC più umanamente e socialmente ricchi di come erano arrivati;
dal puntellare alcuni servizi per assicurarne comunque la durata, all’includere le diverse esperienze in un lavoro di rete per la costruzione di nuovi modelli di welfare territoriale; in altre parole, migliorare la qualità della vita della gente grazie anche all’apporto delle energie giovanili.
Tutto questo chiama in causa la capacità progettuale delle agenzie educative e dei mondi della solidarietà organizzata. Il nuovo SC si svilupperà nella misura in cui punterà non tanto a impiegare un certo numero di giovani ma a intraprendere con loro percorsi di cittadinanza responsabile.
Antonio Cecconi
prete della Diocesi di Pisa, già vice direttore della Charitas italiana, dirigente dell’Osservatorio giuridico-legislativo della Conferenza Episcopale Toscana.