Un commento a cura di Giovanna Ardesia Rovere

Un film commedia di Giovanni Veronesi del 2024, con Pilar Fogliati, Sergio Castellitto, Geppi Cucciari, Maurizio Lombardi, Serena De Ferrari, Alessandro Haber, Margherita Buy, Domenico Diele e Luis Molteni
Musiche di Andrea Guerra
Sceneggiatura di Giovanni Veronesi, Pilar Fogliati e Nicola Baldoni
Regia di Giovanni Veronesi

[Lasciarsi condizionare dalle aspettative nei confronti di un film significa condannarsi a non vederlo per ciò che veramente è e, nello specifico, l’uscita in sala di questo film per San Valentino poteva dare una particolare aspettativa fuori luogo. Chi riesce a guardare il film in modo sufficientemente scevro da preconcetti e pregiudizi può invece apprezzare la qualità che contraddistingue i film più onesti e meglio riusciti: la loro capacità di disfare ciò che si supponeva. Il “Come” questi disattendano tali aspettative è naturalmente una cosa importante, ciò che segna un cambio di prospettiva, producendo magari un pregevole connubio di idee interessanti e inaspettate. Questo “Come” qui non era facilmente prevedibile]

All this crazy world is a stage… già solo il titolo di questo film, “Romeo è Giulietta”, crea inevitabilmente molte aspettative: un errore da correttore automatico, che genera nei coscienti un’idea nuova, specie quando la cosa sbagliata risulta essere paradossalmente quella più giusta, quella più difficile. Il titolo scelto dal regista Giovanni Veronesi finisce per essere un “gioco di parole logico” che infrange l’apparenza alla ricerca di un’autenticità nascosta. Come è stato più volte ripetuto da molti al riguardo, mettere un accento che scombina le carte in tavola, e per giunta metterlo a Shakespeare, significa già amare vivere pericolosamente. Uno scherzo che potrebbe costar caro se non lo si prendesse sul serio, ed è chiaro che vincere una simile partita richiederebbe avere almeno un asso nella manica… Magari uno di quei fenomeni soprannaturali indefinibili che hanno però un nome e un cognome: Pilar Fogliati. Magica interprete (ha anche firmato la sceneggiatura di questo film insieme al regista stesso e a Nicola Baldoni), illusionista assoluta per il virtuosismo istrionico che possiede. Attrice che ha fatto suo l’emblema forse più vero della professione, cioè il “mentire con la massima sincerità”, affinché la finzione scenica sia più che completa. Dopo il capolavoro di “Romantiche”, questo nuovo titolo del duo artistico Fogliati-Veronesi non poteva quindi che generare notevole interesse. La realtà che appare è che “Romeo è Giulietta” sia una storia d’amore, nel senso meno convenzionale e più artistico del termine, tra un regista teatrale e il suo primo attore, una donna. Esattamente. Infatti in questo film la protagonista al centro della trama è una giovane attrice di nome Vittoria Mengoni che viene privata della possibilità di interpretare Giulietta, nella relativa opera shakespeariana, per via di una macchia presente nel suo passato. Ma la cosa le risulta così insopportabile che non si dà per vinta… così, travestitasi da uomo, si ripresenta sotto mentite spoglie per la parte di Romeo che sorprendentemente ottiene. Mentite spoglie e chiaramente falso nome: Signor Otto Novembre. Si passa dal duplice alla triade e dalla triade alla quaternità: Romeo è Otto ma Otto è Vittoria e Vittoria è Pilar. Dalla iniziale “caduta di un grave”, entrano così in scena il coraggio della disobbedienza, l’identità di genere e l’equivoco del “doppio” con tutte le relative problematiche letterarie: la libertà nella finzione, la colpa dell’inganno, la maschera come prigione, etc. Dal punto di vista cinematografico, l’interlocutore principale di Vittoria è proprio lo stesso regista che brutalmente l’ha esclusa come Giulietta prima ma poi, nella sua ingenuità, l’ha scelta come Otto per Romeo. Interpretato magistralmente da Sergio Castellitto, the director Federico Landi Porrini è così abbacinato dal talento del suo attore da vederlo quasi come un essere proveniente da un altro mondo. Federico è sostanzialmente un antieroe maledetto nelle vesti di un superuomo da decadentismo, ben oltre il tramonto, che da tempo ha superato la fase del successo. La sua passione è defunta, lo spegnersi della sua virtù ha inaridito del tutto il suo interesse per qualsiasi cosa… Sembra voler smettere di occuparsi di regia, vorrebbe però lasciarla con orgoglio, conservando la sua dignità con un ultimo successo. Vorrebbe andarsene senza perdere il nome, l’immagine di sé. L’ipocrisia gli serve per occultare la vergogna della sua verità, la colpa che sente per questo lo porta spesso ad arrampicarsi sugli specchi con scarso esito. Non ha più idee, trova con difficoltà le parole, voglia e volontà svaniscono e sembra non restare altro in lui che vuoto, noia e disprezzo. Alla luce di tutto questo, guardando il film, ci si continua però a chiedere: che fine farà Vittoria e che fine farà fare a tutto il resto? Naturalmente tra i due personaggi si instaura una relazione ambigua quanto intima che arriva ad appianarne le differenze. La svolta di Federico è proprio lo spirito di Vittoria, la cui inettitudine è solo apparente a differenza di quella di lui: lei “è” perché ha il coraggio di agire, di essere quello che vuole quando vuole, anche quando non potrebbe, nonostante i condizionamenti e i giudizi degli altri. Vuole essere, essere se stessa, essere libera, libera di essere se stessa. In questo senso lo spazio teatrale, con la sua “vita”, acquisisce un significato speciale: di fatto il film è pure una commedia sul teatro e sul suo valore umano, come la libertà e la responsabilità che ha un interprete in generale ma anche la metafora sociale che rappresenta. Vittoria appare così scesa a salvare le sorti del regista che nella sua staticità si riduce ad un semplice spettatore, che finisce per subire tutto. Tutto, incluso il successo di lei che non è suo ma lo diventa solo perché, scegliendo con consapevolezza Otto, ha dato involontariamente a Vittoria stessa spazio e stima. Soltanto il pubblico della prima può vedere Landi Porrini come un vero demiurgo. Questo porterebbe ad osservare l’aspetto che gli incontri (e il loro come) siano forse quanto di più delineante noi come persone. Vittoria è un personaggio dannato ma non è realmente perduta, ha un fuoco che arde forte dentro di sé, ha ancora l’iniziativa di intraprendere. Lei è dinamica nell’azione, a differenza del suo regista, benché statica nell’essere. Il motivo è che non si vergogna di se stessa, non si sposta, anzi è proprio ferma per affermare la sua identità, irremovibile dalla posizione che ha scelto. Si nasconde e mente per necessità non per viltà. Le sembianze da uomo che sceglie e decide di assumere fanno sì che debba districarsi tra le possibilità che queste le aprono e i disagi che queste le impongono. Vittoria supera i suoi tentennamenti (dovuti a ciò che è difficile e pesante) con fatica e impegno perché sostenuti dalla passione e dalla devozione all’arte drammatica, nonostante la non comodità della strada intrapresa. Una strada non facile, non stupida e pure confusa dal dubbio. La protagonista deve confrontarsi con la stessa follia della sua intenzione che le crea dissidio e che le mette a rischio anche gli affetti più cari. Tutto questo solo per osare sfiorare quello che desidera, che le è stato negato, proibito. La virtù di Vittoria è la fortezza, la forza della passione le dà la volontà di agire portandola ad un’abnegazione quasi senza precedenti: servire con onestà il teatro, essere umilmente al servizio di esso. La sua determinazione e tenacia le permettono di non essere distolta in alcun modo dal suo proposito, cioè la riuscita del suo piano, del suo “aver torto”. Per ragioni diverse, entrambi i protagonisti ricorrono alla menzogna: Vittoria per non perdere se stessa in sostanza, Federico per salvare essenzialmente le sue apparenze, per mantenere cioè il suo “ruolo”, continuando a fare quel “se stesso”. A tratti si nota che nel regista vi sono davvero disillusione e rassegnazione totali, ne consegue che lui è inerme di fronte a tutto perché inerte. D’altro canto Vittoria non è invece neanche prudente, non ha alcuna prudenza se non quella dettata dall’affetto per le persone a cui più tiene. Al tempo stesso lei non è affatto incosciente: sa bene cosa rischia, suo è il coraggio, non è disposta a rinnegare se stessa per viltà. Quindi alla fine lei “conquisterà” lui proprio perché dominerà la scena e questa supremazia di Vittoria lo illuminerà, lo convertirà. Il pubblico in teatro non vede altro che il ritorno di Landi Porrini al successo, un successo che lo redime, che li redime… che redime due persone che cercano disperatamente la salvezza nell’arte. Però Vittoria osa ed è disposta a pagare di persona, entrambi si giocano tutto ma non “1 contro 1”, giocano loro contro tutti e finiscono per aver successo entrambi. Il tempo cinematografico scorre con agilità non lasciando trasparire altro al di là dell’apparenza. Il finale rapido sul momento non è insoddisfacente ma lascia un mistero velato, bellissimo. Un senso di mancanza come in una sorta di finale aperto in cui non si comprendono del tutto le cose. Date le premesse shakespeariane, il rischio principale era il realizzare un film molto retorico, oltre che prevedibile, anche per via di alcuni precedenti nel cinema anglofono. Lo spettro dell’ontologia con il suo “citazionismo” è poi da temere quanto la morte in casi simili. Si tratta invece di un film che in itinere può dare l’impressione di non sapere dove “andare a parare”, proprio come il protagonista maschile, la cui disperazione sembra essere quella di un uomo perduto che miracolosamente si risveglia e viene salvato… Va detto che vengono sfiorati poi molti altri temi: la libertà, la cultura, il teatro, il cinema, il mercato dello spettacolo, i viandanti, le giraffe, i social, gli errori, l’espiazione, i giovani, le cadute, gli adulti, l’invisibilità, i figli, la riconoscenza, gli annegamenti, la frutta, lo smarrimento, l’aridità, il cambiamento, la precarietà, il divario generazionale, il torto, la popolarità, il fallimento, la felicità.
Non da ultimo va osservata la bellezza del cast, brillante e divertente, che dà ulteriore vita a questo film: alcune performance dei non protagonisti sono considerevoli per la verità che hanno saputo conferire ai caratteri. Le ambientazioni nel teatro romano di Villa Torlonia e nel Nuovo Gian Carlo Menotti di Spoleto sono speciali. Impressionante anche il trucco della protagonista, cosa non facile, da metamorfosi in una figura maschile assurdamente credibile. Tornando ai personaggi principali, va sottolineato che Vittoria è un’eroina che sembra portare con sé la luce della speranza di fronte al bluff della vita messo in atto da Federico, il quale mente per “sopravvivere”. Suo malgrado invece, lei riesce a evitare quello che sarebbe stato un “disastro catastrofico di spettacolo”, grazie al suo spettacolare talento. Nel film c’è anche una rassegna di tematiche sorvolate, l’opera sembra cercare (fino in fondo…) di trattenere un qualcosa che non si vorrebbe esprimere in modo manifesto. Lo fa con un grande sforzo, ci si ritrova così con la “spannung” proprio a ridosso della fine, quando ormai con quel qualcosa si sarebbe detto tutto…
In definitiva questo film potrebbe voler significare tante cose, ma a un primo impatto e non è facile inquadrarlo. Ci si potrebbe però chiedere: qual è il “cuore” di questo film? Chissà, forse il binomio “identità-sentimento” che sembra affiorare così intensamente. D’altronde, quando si scorge una motivazione profonda in un’opera, tutto il resto passa in secondo piano perché il focus diviene questa “spinta sincera”, l’anima, un’emergenza urgente e sentita. Si era partiti dalla considerazione che “Romeo è Giulietta” sembra raccontare prima di tutto (o dopo tutto…) una storia d’amore, ma la vera storia potrebbe anche essere una storia che comincia dopo, alla fine dello spettacolo aperto a tutti… 🙂

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