“Lo scricciolo Nonimporta tiene sempre duro, rimane impassibile. Se gli capita qualcosa di brutto mostra sempre di avere coraggio e dice: “ non importa”.
Incontra una serie di ostacoli, disagi e maltrattamenti, ma non dà mai peso alle sue emozioni, indossa la maschera del coraggio e va avanti.
Il problema è che, dopo un po’, è talmente pieno di sentimenti repressi che rimane bloccato in una siepe. E, come se non bastasse, alcuni di questi sentimenti che lo riempiono cominciano a traboccare fuori di lui e a fare male alle persone che lo circondano. Per fortuna, arriva da quelle parti uno spiritello che aiuta Nonimporta a capire che i suoi sentimenti importano eccome, che non dovrebbero essere ignorati o repressi in fondo a se stessi. Nonimporta impara così a esprimere le sue emozioni, a parlare con gli altri, invece che affrontare tutto da solo. Impara anche a far valere i suoi diritti e dice: “ Mi importa!”.
(tratto da: www.erickson.it – Aiutare i bambini a esprimere le emozioni).
Quante volte abbiamo pensato nella nostra vita “non importa”…per dimostrarsi coraggiosi, forti….per proteggere qualcun’ altro…o semplicemente per fare da soli….
Forse perchè la nostra “base sicura” non è stata un porto così emotivamente stabile dal quale poter arrivare e ripartire con serenità o forse perché il nostro mondo emozionale non è stato facilitato, quanto quello razionale, ad esprimersi ignorando le molteplici sfumature delle nostre note interiori.
A tutti noi lo scricciolo “Nonimporta” fa tenerezza per la solitudine affettiva che esprime e per la sofferenza che vive nel non darsi il permesso di comunicare le sue emozioni; ma più profondamente per la rinuncia ad essere se stesso e quindi a conoscersi realmente.
Nel mio lavoro, ma credo che questo valga anche nella vita, ho incontrato diverse persone immerse nel loro mondo di vissuti dolorosi, incrostati dalla difficoltà di esprimere le proprie emozioni, i propri sentimenti, imprigionati dalla minaccia del giudizio altrui, solcati da profonde ferite nell’anima.
Credo che siano state queste circostanze e il confronto con i miei vissuti personali, anche quelli più difficili, ha stabilire un anello di congiunzione tra il bisogno di comprendermi e il desiderio di comprendere gli altri. Un confronto interiore favorito da una relazione di aiuto, perché la solitudine affettiva non può che risolversi nell’incontro con l’altro, il quel delicato legame che mette un Io e un Tu in relazione, ma distinti.
Nelle trame di ogni relazione umana si nascondano significati sommersi che possono consentire a chi soffre insperati approdi dai quali poter ripartire, riappropriandosi della propria interiorità. Questa è stata anche la mia esperienza, un’ esperienza che ha giocato un ruolo importante nella scelta di formarmi come counsellor, centrato sulla persona.
Indubbiamente la fatica di essere se stessi costa profonde crisi ma, al contempo, offre una rara un’opportunità di autoformazione. E’ come se l’ascolto ricevuto mi avesse attivato e motivato a mutuare una sensibilità innata, professionalizzandola nel lavoro che svolgo quotidianamente.
Sentire le emozioni, anche quelle più dolorose che muovono le sinfonie del nostro io, è stata, per me, la condizione dalla quale partire per stabilire relazioni realmente empatiche.
In qualsiasi contesto educativo, assistenziale o terapeutico c’è sempre un’esperienza relazionale che chiede molto di più di impartire nozioni, offrire rifugi occasionali o risposte puramente efficienti; credo che in questo modo si rischi di accentuare, nelle persone più fragili e spaventate, la solitudine dei sentimenti o la dipendenza, perché l’ascolto che si nutre di sola tecnica diventa irrimediabilmente opaco e distante. Entrare invece nell’emozione dell’altro ci fa sentire il suo pensiero, ci conduce negli specchi e negli abissi della sua vita interiore, nella sua cornice di riferimento, dove tutto acquista un senso, un significato.
Chi lavora nelle relazioni d’aiuto, o vorrebbe lavorarci, ha chiaro l’importanza dell’ascolto; parlare di questo tema sembra anche un po’ scontato e demagogico, anche perché ci sono molti modi di ascoltare e parlare. In realtà ho scelto di intraprendere il percorso di formazione in counselling, centrato sulla persona, proprio perché ritengo che nella sua genialità e, al contempo, semplicità, Rogers abbia individuato veramente l’essenza dell’ascolto: si ascolta davvero l’altro solo se riusciamo ad essere aperti al suo orizzonte di senso o, per meglio dire, quando riusciamo a percepire “….. lo schema di riferimento interno di un altro con accuratezza e con le componenti emozionali e di significato ad esso pertinenti, come se una sola fosse la persona ma senza mai perdere di vista questa condizione di Come Se”. (Rogers 1959).
Ritengo che sia proprio questa condizione del “Come se” a favorire la capacità di sentire insieme e comprendere profondamente le fragilità dell’altro e ciò che sta portando, spesso attraverso rappresentazioni mentali intelligibili, in quanto il colloquio di ascolto diventa non tanto un’operazione tecnica, quanto un modo di essere, un modo di stare dentro una relazione di aiuto.
Ho sempre pensato che l’ascolto attivo fosse caratterizzato da uno stile, da un approccio personale, più che da un’abilità intenzionale, chiaramente sostenuto da un sapere teorico, ma pur sempre una capacità naturale nell’accogliere le risonanze emotive dell’altro.
E’ chiaro che non è così semplice imparare ad ascoltare. Non basta essere accoglienti, caldi, occorre molto di più…occorre concentrarsi sui bisogni della persona, liberandoci dalla necessità urgente di controllare la relazione di aiuto, e dal desiderio di giudicare per un senso di onnipotenza. Occorre mettere al centro della relazione la dimensione interiore dell’altro ponendo attenzione, anche come counsellor, alle nostre risonanze emozionali.
Al contrario, oggi, per molti aspetti siamo condizionati da un modello sociale narcisistico, in cui dirompe fortemente il bisogno di imporsi, di affermare il successo, valorizzando l’iperattivismo, la capacità di trovare soluzioni veloci a problemi contingenti, piuttosto che dare spazio alla dimensione dell’interiorità, che richiede un tempo più ampio per la riflessione e la ricettività.
La relazione empatica, ci insegna Rogers, è tutt’altro. E’ un atteggiamento umano prima che una tecnica; è il desiderio, la voglia di esserci, di condividere vissuti, emozioni, pensieri e fantasmi dell’altra persona, abbandonando l’idea di un consulente “salvifico” e onnipotente ….
Infondo, credo che sia un atto di profonda disponibilità e democraticità: qualunque sia la condizione esistenziale, culturale, sociale o psicologia nella quale un individuo si trovi esiste una sua tendenza attualizzante che, in condizioni favorevoli, lo rende capace di evolversi positivamente, di crescere in maniera sana e a volte di ritrovarsi…
Il questo senso il counselling, centrato sulla persona, può essere una modalità di ascolto e di aiuto con ampie possibilità di utilizzo dal momento che non si interviene, come in terapia, sulla ristrutturazione della personalità, ma si favorisce la persona ad individuare una maniera diversa e più efficace per rispondere ad un problema specifico.
Nella scuola, nei servizi sociali, in quelli educativi e nelle strutture per la salute mentale e fisica il counselling può rivelarsi un buono strumento di ascolto, in particolare nei progetti e nei servizi che operano a favore delle persone che versano in gravi situazioni di disagio (bassa soglia) perché, in questi casi, è poco probabile che le persone accedano direttamente a figure professionali adeguate al tipo di problematica vissuta. Si tratta per lo più di storie solitarie, vissuti complessi, abbandoni ripetuti dove la relazione di aiuto spesso si compie attraverso un intervento di limitazione del danno o di contenimento del disagio.
E’ pur vero che anche in contesti meno marginali, ma non per questo meno difficili, il counsellor, centrato sulla persona, può rivelarsi un’opportunità di ascolto utile per connettere le persone (adulti, genitori, insegnanti, bambini ecc) con le risorse socio educative e psicologiche di un territorio, ed eventualmente orientarle verso servizi specialistici.
Ed è qui che il counselling, centrato sulla persona, può compiere il suo scopo: accompagnare l’altro e facilitarlo nella comprensione dei suoi disagi, che non significa ridurlo al ciò che counsellor ritiene “giusto”, ma aiutarlo ad essere il più possibile quello che è.
Un atto che richiede, prima di tutto, al consulente un faticoso percorso di congruenza,ovvero di autenticità verso se stesso, verso il proprio personale modo di sentire, per comprendere ciò che accade nel suo mondo emozionale, ed essere realmente disponibile ad accogliere le emozioni e i significati dell’altro.
Bettelheim sosteneva la necessità di conoscere se stessi per poter comprendere e aiutare gli altri. Ritengo che Rogers abbia centrato l’essenza della conoscenza di sé, introducendo il concetto di congruenza del counsellor.
Perché la conoscenza di sé è un processo continuo, un divenire, non è solo un dato acquisito rispetto ad un’esperienza passata o ad una modalità di relazione.
In questo senso, per me la congruenza è come se fosse un faro accesso sulla coscienza, sul nostro mare interiore, sulle nostre maree, sulle nostre burrasche e sui nostri mari calmi….un faro che, se funziona bene, può essere una bussola utile per ricordarci là dove siamo noi e per vedere dove sono gli altri…
Credo che questo sia l’inizio, la condizione dalla quale partire per porsi veramente in ascolto delle esperienze altrui, anche quelle più dolorose, un dono di profonda fiducia di cui occorre non perdere mai di vista il valore umano che le accompagna.
Barbara Frosini.
Barbara Frosini nata a Lucca il 10/02/70, coniugata con una figlia.
Assistente sociale e discente come counsellor presso l’Istituto dell’Approccio Centrato sulla Persona.
Lavora dal 1994 presso la cooperativa sociale il Cerchio di Pisa; dal 2002 è responsabile del Settore Infanzia e Adulti di tale organizzazione con funzioni di organizzazione e controllo di processi progettuali, di pianificazione di interventi educativi e con responsabilità di gestione delle relazioni con soggetti pubblici ed istituzionali.