Regia: Rainer Werner Fassbinder, dal romamzo “Querelle de Brest” di Jean Genet.
Sceneggiatura: Rainer Werner Fassbinder,
Burkhard Driest.
Produttore: Dieter Schidor, Sam Waynberg.
Produttore esecutivo:Michael McLernon
Fotografia: Xaver Schwarzenberger, Josef Vavra.
Montaggio: Rainer Werner Fassbinder (con lo pseudonimo di Franz Walsch, Juliane Lorenz
Musiche: Peer Raben
Scenografia: Walter Richarz
Costumi: Barbara Baum, Monika Jacobs
Interpreti e personaggi:
Brad Davis: Querelle
Franco Nero: Capitano Seblon
Jeanne Moreau: Lysiane
Laurent Malet: Roger Bataille
Hanno Pöschl: Gil / Robert
Günther Kaufmann: Nono
Burkhard Driest: Mario
Natja Brunckhorst: Paulette
Anno: 1982.
Paese: Francia, Germania.
Con “Querelle”, film postumo dell’incredibile lavoro, per mole, all’interno di un normale tempo di vita, del tedesco Fassbinder, siamo nel pieno universo della trasgressione. E non solo e non tanto perché l’omosessualità, nell’opera, sia misura e dimensione di ogni movimento emotivo, quanto perché i nessi causali degli eventi (quasi sempre assassinio, tradimento e falsità) sono rivestiti di una sacralità primitiva, pregiuridica e presociale, molto lontana, nella sua crudele ingenuità, dalla coscienza collettiva contemporanea.
E’ stata fatta, a suo tempo, molta bagarre intorno al film, dagli interventi censori giudizi moralistici.
Quest’atmosfera “postfilmica” ha fortemente influenzato, al momento dell’uscita del film, nel 1982, la necessità di un’analisi più spassionata dell’opera che, tratta dal romanzo dello scrittore francese Jean Genet, struttura una vicenda con un intreccio complesso, quasi a raffigurare un mito contemporaneo con tutti gli elementi a preludio di una tragedia senza catarsi.
Nel porto di Brest approda la nave da carico Vengeur. Tra membri dell’equipaggio spiccano il marinaio Querelle e l’ufficiale Seblon, che nutre verso il marinaio una segreta passione omosessuale. A Brest c’è un locale malfamato, La Feria, gestito da Nono, marito di Lysiane, che a sua volta è l’amante di Robert, fratello di Querelle. I due fratelli si amano e si odiano, come immersi nella fonte di Narciso. Querelle accetta di lavorare con Nono e, di conseguenza, deve sbarcare illegalmente una partita d’oppio di cui il padrone di La Feria è il ricettatore.
In questo lavoro Querelle si fa aiutare dal cognato Vic, per ucciderlo in seguito.
Parallelamente si sviluppa la vicenda dell’operaio Gill che, una sera, ubriaco, uccide il suo capo, Theo. Un adolescente, Roger, aiuta Gill a nascondere il corpo dell’assassinato.
Roger è fratello di Paulette, la donna amata da Gill.
Nel frattempo la polizia ha trovato il cadavere di Vic, e sospetta che l’assassino sia Gill (che invece ha ucciso Theo).
Querelle, venuto a sapere dei sospetti della polizia nei confronti di Gill per un assassinio di cui è invece lui autore, sente nascere nei suoi confronti forti sentimenti (emozioni nei confronti di un assassino come lui).
Querelle favorisce la fuga di Gill, ma subito dopo lo tradisce con una, attraverso il gioco dei Tarocchi, “scopre” nelle carte che Querelle non è il fratello di Robert. Una risata insana contagia tutti e tutto ritorna come prima. La nave Vengeur lascia il porto di Brest. La partenza assume i contorni di un allucinato e beffardo corteo funebre che scivola su un mare morto di plastica che riecheggia da lontano la laguna veneziana del “Casanova” di Fellini,
Il racconto della trama è una fredda riduzione in linguaggio verbale di un succedersi di immagini molto ricche e complicate.
Fassbinder ha tradotto, anche se non proprio alla lettera, la cerebralità dell’impianto genetiano in un film di forte impronta intellettuale.
La storia, l’intreccio che abbiamo cercato di raccontare, è un puro pretesto, un semplice segno stilizzato che serve al regista per mostrare gli indissolubili legami fra omosessualità, assassinio e vocazione al martirio, ma soprattutto per analizzare, al di sopra di una “mischia” moralistica, un assassinio oggettivato, straniato (Querelle che vede Gill come il se stesso assassino).
In questa riflessione si sviluppa una sorte di teologia negativa che promette al delinquente potere e libertà, gettandolo contemporaneamente nell’abisso della solitudine.
Da un punto di vista formale il film dà l’impressione di una devastante forza liberatrice.
Tutto è ricostruito in studio ed è esplicitamente finto, cioè è il cinema. La Brest fassbinderiana sembra una città tropicale, umida di sudore e di fatica, dove dominano i colori ignei dell’arancione, del giallo e del rosso, tormentati a volte da un blu di ghiaccio.
La recitazione degli attori è fortemente connotata dalla presenza fisica, vista quasi al rallentatore, come per dare a tutta la vicenda la caratteristica del sogno, che mitiga, in superficie almeno, l’orrore suscitato.
Una citazione a parte merita Jeanne Moreau, nel ruolo di Lysiane. Il volto di questa attrice, nell’inizio della sua galleria iconica, discende dalle fattezze della statua mediterranea traslata negli occhi della Cathérine, personaggio del film “Jules e Jim” di Francois Truffaut.
Nel film di Fassbinder è la “sacra” figura: amante, maga, madre, che presiede al gioco di Narciso degli scambi di identità.
Metafilmicamente, nella parte finale, la partenza della nave dal molo di Brest, nella sequenza del lavoro dei marinai sulla tolda, fra il sudore e i vapori, si vede “la morte al lavoro”, cioè l’essenza del cinema come fissaggio dell’attimo immanente che ricorda all’umanità di “essere per la morte”, come sua unica certezza.
Forse è un accostamento troppo facile e semplicistico, ma Fassbinder morirà prima che il suo film sia programmato nelle sale cinematografiche, probabilmente per effetto di una overdose, in un teatro tragico di arte e vita che ha dato al cinema più di un capolavoro.