Riassunto

Lo scopo di quest’articolo è quello di presentare in maniera introduttiva i recenti sviluppi realizzati dall’autore nell’ambito del cosiddetto approccio psicodinamico all’analisi transazionale, per come viene applicato alla psicoterapia individuale.
Le radici freudiane dell’opera di Berne sono considerate essenziali per una metodologia basata su tre cardini: 1) il setting di lavoro, 2) l’analisi del transfert e del controtransfert, 3) l’interpretazione.

Introduzione

Nel mio ultimo lavoro L’approccio clinico dell’analisi transazionale (Novellino, 1998), propongo il termine psico-analisi transazionale per caratterizzare gli sviluppi attuali di una concezione della psicoterapia berniana a orientamento psicodinamico
(Novellino – Moiso, 1990), per come va applicata al setting psicoterapeutico individuale.

La proposta potrà apparire ad alcuni per certi versi ardita e provocatoria, forse ad altri anche datata, eppure ritengo che nell’ attuale momento di crisi e discussione all’interno della comunità analitico-transazionale, possa essere quantomeno stimolante una alternativa all’orientamento integrativo (Clarkson, 1992~ Erskine and Moursund, 1988).

Quest’ultimo, pur proponendo una interessante linea di flessibilità come soluzione ai numerosi limiti teorici e clinici presenti nell’opera berniana, contiene dal punto di vista epistemologico almeno un rischio: quello di allontanarci ulteriormente dalle radici berniane, di stainpo psicoanalitico, contribuendo a quel fenomeno di perdita d’identità che tanto limita la nostra appartenenza alla comunità psicoterapeutica internazionale (Stewart, 1992).

L’idea centrale che muove la mia ricerca da quasi vent’anni, è che risulta utile e stimolante esplorare gli estremi limiti della proposta berniana di considerare l’analisi transazionale come un avanzamento fenomenologico della psicoanalisi (Berne, 1961).

Le basi epistemologiche

Secondo l’impostazione concettuale che seguo nella mia ricerca, l’analisi transazionale andrebbe collocata all’interno del movimento psicoanalitico moderno.

Tale linea guida trae sostanza in particolare dall’opera di Mitchell ( 1988 ).
Quest’ultimo, riportando Sullivan, padre della psichiatria interpersonale, al centro dell’attuale movimento psicoanalitico, toglie il primato della ricerca psicodinamica alla concezione freudiana, di natura meccanicistica e pulsionale, per restituirlo a un orientamento di tipo oggettuale.

Risulta fondamentale l’inquadramento proposto da Mitchell sulle diverse concezioni della mente all’interno della cultura psicoanalitica.

La mente freudiana lavora su un sistema di compromessi tra l’espressione degli impulsi e le difese che li regolano, ma rimane sostanzialmente una mente monadica, ossia di natura intrapsichica.
Nei modelli interpersonali la mente relazionale viene concepita come un apparato complesso che regola i suoi impulsi allo scopo di mantenere i propri legami oggettuali e anche per individuarsi da essi, per cui siamo di fronte a una mente diadica per la quale impulsi e bisogni sono elaborati all’interno di un conteso motivazionale dato dalle relazioni.

Il movimento relazionale (Kohut, Fairbairn, Mahler, Winnicott, Loewald, Gill, Stern), si propone di superare la contraddizione tra intrapsichico e interpersonale, considerando comunque i fenomeni psicodinamici all’interno di una matrice relazionale.
Ritengo che la proposta di una psico-analisi transazionale sia ben motivata dalla rispondenza del modello berniano ai criteri epistemologici proposti da Mitchell.

Possiamo riassumere tali criteri nei seguenti punti:

1) Berne fonda la sua ricerca teorica partendo dal modello freudiano, del quale rispetta i presupposti
legati alle due topiche (conscio- preconscio- inconscio; Superlo – Io – Es). Egli supera d’altra parte le sue radici in modo rivoluzionario proponendo come motivazione primaria del comportamento la fame di carezze (1961);

2) i livelli intrapsichico e interpersonale sono visti come due facce della stessa medaglia, elaborati in un sistema concettuale unico per i suoi tempi. Dialogo interno e comunicazione sono lo specchio dell’attività mentale dell’individuo all’interno del suo contesto interpersonale;

3) i modelli arcaici di relazione interpersonale influenzano quelli attuali in un dinamismo reciproco: quanto è avvenuto con le figure genitoriali originali in parte spiega gli stili transazionali nel qui-e-ora, ma questi ultimi a loro volta portano a una continua elaborazione dei primi;

4) la mente berniana è di tipo diadico, sia nall’analisi del comportamento (il dialogo interno si riflette nelle diverse opzioni transazionali), che nella concezione della psicopatologia (teoria del copione psicologico).

Ritengo che Berne collochi la sua opera a una sorta di bivio nel quale si è trovata la psicoanalisi tutta, sia in seguito a una evoluzione della ricerca teorica, che a causa di una crisi metodologica dovuta al confronto concreto con i risultati della clinica.

Tale collocazione fa dell’analisi transazionale una psicoterapia caratterizzata da una ricerca fenomenologica sulla personalità intesa in senso spiccatamente interpersonale.

Della sua cultura psicoanalitica di origine, Berne mantiene la concezione della psiche vista come un insieme dinamico di sistemi tra loro interagenti.

La mente si sviluppa, nei suoi diversi apparati, in seguito alla necessità filogenetica e ontogenetica di arrivare a una mediazione tra le necessità psicobiologiche dell’individuo e le istanza della realtà, comprese quelle culturali.
L’Io berniano è un Io freudiano in quanto media istanze interne ed esterne: è deputato all’omeostasi dell’individuo rispetto al mondo e alla sua storia personale.

Il tentativo di Berne è quello di porre l’Io al centro di tre temi essenziali della psicologia:

1) la conoscenza di sé,

2) il destino individuale,

3) il comportamento sociale.

L’Io viene concepito allora come il risultato di una serie di eventi di natura relazionale, dove le “vicende” transazionali tra bambino e ambiente vengono viste nella loro dinamica di vissuti, sia realistici che fantasmatici: quelle che erano state transazioni tra il bambino e le sue figure genitoriali portano alla costruzione di “depositi” intrapsichici, i quali ripetono a livello di dialogo interno e di comportamento interpersonale le suddette transazioni.

Quanto era avvenuto nelle transazioni infantili si può ripetere a livello intraegoico e interegoico.

Nell’ evoluzione dei sistemi intraegoici, detti stati dell’ Io, un ulteriore aspetto che caratterizza la concezione berniana è quello motivazionale: in questo Beme si allontana dalla psicoanalisi freudiana, per avvicinarsi, se non anticipare, l’attuale filone della psicoanalisi interpersonale.

La principale motivazione umana non è legata alle pulsioni aggressive e sessuali come in Freud, bensì a quella che Berne chiama la fame di riconoscimento:

esiste un bisogno innato e primario di stimoli, e questa fame influenza secondariamente le varie vicende delle interazioni bambino-ambiente.

Beme si pone quindi in un’ottica vicina, ad esempio, a quella di Bowlby, altro psicoanalista che ha sviluppato il concetto di relazione allontanandosi dalla concezione freudiana, partendo da intuizioni di tipo etologico.

La matrice psicoanalitica nella letteratura analitico-transazionale.

Tutta l’opera di Beme è costellata di riferimenti alla sua matrice psicoanalitica (1961, 1964, 1966, 1972).

Ritengo utile accennare, a scopo esemplificativo, ad alcuni spunti che ritroviamo in diversi momenti dell’opera berniana:

  • la rimozione viene paragonata a una esclusione parziale,
  • il protocollo è collegato a un Edipo rimosso,
  • il concetto di maglietta è paragonato a quello di difesa caratteriale,
  • il copione è visto come un dramma transferale,
  • il protocollo è all’ origine dei fenomeni transferali,
  • esplora ampiamente le dinamiche inconsce dei giochi psicologici,
  • le transazioni di transfert e controtransfert sono ritenuti essenziali,
  • l’interpretazione è l’operazione centrale della deconfusione.

In sostanza, l’influsso psicoanalitico è centrale e costante.Per quanto in modo frammentario, diversi autori, a partire dagli anni Settanta, esplicitano questa radice freudiana.

Anche in questa caso, lasciando al lettore il compito di approfondire analiticamente, fornisco alcuni esempio di questa tendenza:

  • il copione viene visto come un complesso sistema difensivo (Cheney, 1973),
  • la svalutazione viene vista come il risultato di meccanismi di difesa (Hartmann, 1981),
  • Dusay ( 1977 ) e Drye ( 1974) approfondiscono il tema della resistenza in analisi transazionale,
  • Holloway ( 1977 ) per primo elabora il concetto di transfert in analisi transazionale, collegandolo al meccanismo della simbiosi.

Va notato, a loro onore, che i Goulding, capiscuola indiscussi, epigoni di una tecnica in realtà alternativa a quella interpretativa berniana, esplicitano (1978 ) la loro scelta di non elaborare attivamente il transfert, limitandosi a confrontare quello negativo, come ostacolo al processo ridecisionale.

Personalmente trovo più scientifica la loro posizione rispetto a quella di molti analisti transazionali, i quali citano il transfert, senza peraltro indicare i mutamenti metodologici che questo concetto impone ( Erskine, 1988; Clarkson, 1992).

Altri autori hanno recentemente ricordato le basi psicodinamiche dell’analisi transazionale.

Massey (1990) situa l’analisi transazionale in un’area definita neofreudina e neoadleriana, mentre Manor (1992) propone un interessante parallelo tra analisi transazionale, teona delle relazioni oggettuali e terapia sistemica.

Blackstone (1993) ha compiuto uno degli sforzi più significativi per ricollocare l’analisi transazionale negli attuali orientamenti interpersonali della psicoanalisi, in particolare la teoria delle relazioni oggettuali e la psicologia del Sé.

Le basi teoriche della psico-analisi transazionale

Risulterebbe oltremodo semplicistico riassumere in uno spazio così breve una rielaborazione della teoria berniana in un’ottica psicodinamica. A questo scopo ho dedicato altri lavori (1985, 1987, 1990, 1998).

In questo conteso mi limiterò a ricordare due concetti-cardine che caratterizzano l’approccio psicodinamico alla psicologia di Beme, e che quindi fondano una conseguente metodologia di tipo psicodinamico.

Il primo concetto è quello di impasse transferale (Novellino, 1985 e 1987).

La teoria di Mellor sulle impasse (1980) propone un’interessante revisione “strutturalista” del modello “funzionalista” dei Goulding.

Le impasse vengono proposte come tre livelli evolutivi ai quali può fissarsi il conflitto Bambino-Genitore.

Il modello di Mellor permette un inquadramento strutturale ed evolutivo del fenomeno del transfert, per cui avremo tre tipi di fissazione transferale: cognitiva, emotiva e somatica.

A loro volta i tre tipi di impasse transferale forniscono, all’analista transazionale che lavori in un’ottica psicodinamica il quadro di riferimento entro cui analizzare sia il problema clinico del paziente, che i diversi fenomeni transferali e controtransferali.

Il secondo concetto è quello di comunicazione inconscia (Novellino, 1990).

Il livello psicologico delle transazioni può prevedere un livello che può essere interpretato solo in base alle sequenze associative fornite inconsciamente dal paziente al terapeuta.

Il paziente può dover comunicare i propri vissuti transferali solo in forma decodificata, attraverso
racconti e sogni, che simboleggiano un livello profondo e inaccettabile per l’Adulto e il Genitore.

Ora, il punto fondamentale da chiarire mi sembra il seguente:

in che modo i concetti di impasse transferale e di comunicazione inconscia rientrano in una teoria berniana classica?

Forse il modo migliore per rispondere è quello di un caso clinico, visto anche l’insegnamento di Beme sulla priorità che debbono avere nelle nostre discussioni teoriche le vite dei nostri pazienti.

La storia clinica di P.

P. è una donna di mezza età, esercita una professione sanitaria, e arriva in consultazione da me dopo diversi tentativi falliti di terapia, sia farmacologica che psicoterapeutica.

Ella soffre di crisi depressive ricorrenti, di seri disturbi nella vita sessuale (vaginismo e anorgasmia), non è riuscita mai a costruirsi una vita affettiva duratura, ha avuto diverse somatizzazioni a livello gastrico e cardiaco.

Durante gli anni dell’università ha messo in atto un serio tentativo di suicidio.

Al momento della prima consultazione vive sola, si sente terribilmente frustrata per non essere riuscita a costruirsi una famiglia, sente il suo ambiente sociale freddo e ostile.

Nel suo quadro psicopatologico, sono fondamentali due nuclei di contaminazione:

a) contaminazione G/A : non fidarti degli estranei (soprattutto degli uomini)

b) contaminazione B/A: non mi legherò mai a nessuno (come a mia madre)

Nella sua anamnesi l’evento di protocollo è costituito dall’abbandono della madre da parte del padre quando lei aveva due anni.

La figura del padre è stata sempre filtrata dal rancore che la madre ha mantenuto nei suoi confronti per tutta la vita.

Nella diagnosi analitico-transazionale di P., possiamo usare i capitoli classici della teoria berniana.
I suoi stati dell’Io sono rinvenibili nei quattro modi classici della diagnosi comportamentale, sociale, storica e fenomenologica.

Ella energizza, insieme a un Adulto molto efficiente sul lavoro, un Genitore molto critico, sia verso se stessa che verso gli altri, e un Bambino molto spaventato dalle situazioni di novità e dall’interesse che gli altri possono avere verso di lei.

Il suo copione presenta le caratteristiche, indicate da Berne, di una nevrosi di transfert, in quanto compulsivamente P. continua a proiettare sugli uomini il rancore di ricatto appreso dalla madre.

Come quest’ultima, P. tiene lontana gli uomini ed evita di cercare il piacere e le carezze positive nella vita.

I giochi psicologici riflettono e producono questa coazione a ripetere, prima di tutto “Difetto” e “Ti ho beccato, figlio di puttana!”.

Questi stessi giochi sono stati giocati con i terapeuti precedenti, se donne in quanto non erano mai all’altezza della madre, se uomini in quanto deludenti come il padre.

Come si può facilmente comprendere, l’approccio nei miei confronti non può che ripetere i suddetti schemi.

A questo punto vediamo come i concetti di impasse transferale e di comunicazione inconscia possono completare una analisi berniana del caso di P., rimanendo all’interno di un quadro rigoroso di analisi transazionale.

Vediamo prima di tutto come possiamo utilizzare il concetto di impasse transferale.

P. presenta i tre tipi classici di impasse descritti dai Goulding e da Mellor.

l) l’impasse di terzo tipo si fissa a due anni, quando in seguito all’abbandono del marito la madre soffre di una profonda depressione, con conseguente ingiunzione non esistere (non contare sui legami),

2) l’impasse di secondo tipo si fissa durante la fase edipica di sviluppo, allorchè, a causa dell’assenza del padre, che viene inoltre estremamente svalutato dalla madre, P. vive un’ingiunzione di non essere importante (come femmina),

3) durante la fase di sviluppo tra i sei e i quindici anni, si fissa l’impasse di primo tipo attraverso le richieste materne di essere “la prima della classe” e di “farsi trovare sempre in ordine”, con una conseguente contro ingiunzione di essere perfetta (così non avrai bisogno di nessuno).

Queste tre impasse, oltre che a portare alle due contaminazioni suddescritte, evocano le diverse reazioni transferali che si sviluppano nella relazione terapeutica.

Durante tutta la terapia il rapporto di P. con me è caratterizzato dai seguenti fenomeni.

Prima di tutto P. cerca di essere “perfetta” non appena mi attribuisce aspettative nei suoi confronti: ad esempio, essendo io un analista transazionale corre a leggere attentamente i testi di analisi transazionale. D’altro canto, cercando lei di essere perfetta, si aspetta che lo sia anch’io, per cui reagisce con rabbia e frustrazione a ogni mio “errore”, magari anche avere iniziato una seduta con due minuti di ritardo: i giochi di “Difetto” e di “ T’ho beccato, figlio di puttana!” caratterizzano tutta la prima fase di terapia, e si ripetono durante le fasi critiche.

D’altro canto, passando ai livelli più profondi del comportamento di P., ben presto io e la paziente ci rendiamo conto delle paure che lo motivano.

Ella non deve stabilire un legame profondo con me: rischierebbe, nel suo vissuto, purtroppo rinforzato dai precedenti fallimenti terapeutici, sia di essere abbandonata come persona, che di non ricevere importanza come donna.

In altre parole P. teme che le si ripeta il dramma transferale nei confronti della figura patema, già vissuto da bambina sia direttamente, che tramite l’esperienza della madre.

Allora lei fa di tutto per tenermi a distanza per non rischiare un legame che potrebbe poi perdere. Ciononostante, P. ha un bisogno disperato di aiuto e di ascolto, e del resto aver continuato per anni a cercare sostegno terapeutico ne fornisce una testimonianza.

A questo punto possiamo introdurre il concetto di comunicazione inconscia.In che modo P. può comunicarmi il suo bisogno naturale di protezione e di fiducia?

Lei non può coscientemente e volontariamente contraddire circa quarant’anni di ripetizione di un copione nel quale non ci deve essere posto per legami significativi extra-familiari.

Tuttavia, fin dalle prime sedute P. fa dei “discorsi” che hanno tutte le caratteristiche di quella che ho definito, applicando le teorie di Langs in analisi transazionale, comunicazione inconscia.

Ad esempio mi parla spesso di come una sua sorella educhi in modo troppo ossessivo la figlia di pochi anni, e di come sia irritata del fatto che la sorella non comprenda che, dietro i “capricci” e le “bizze” della bambina si nasconda un grande bisogno di ascolto e di attenzione.

In termini di comunicazione inconscia, P. mi trasmette il messaggio di andare al di là dei suoi perfezionismi e delle sue “beccate”: ella vuole profondamente il mio ascolto e la mia attenzione.

La storia di P. non è dimostrativa, come tutti i singoli casi di psicoterapia, di una coerenza teorica o di una efficacia clinica, eppure ha un alto valore esemplificativo di quanto affermo in questo articolo. L’analisi transazionale si rivela una teoria con profonde basi psicodinamiche e, nel pieno rispetto delle sue radici berniane, diventa una lettura coerente del comportamento umano per come si dispiega nella relazione terapeutica se mantiene una adesione ai fenomeni transferali.

Ritengo che quanto vado dicendo, si applica in particolare se utilizziamo l’analisi transazionale al setting di psicoterapia individuale.

Le basi metodologiche della psico-analisi transazionale

È in questo ambito che la spiegazione di cosa si possa intendere per psico-analisi transazionale diviene maggiormente esaustiva.

In un setting analitico-transazionale individuale, argomento mai veramente affrontato nella letteratura internazionale, l’approccio psicodinamico trova la sua applicazione migliore.

Lavorare in un setting individuale rimanendo analisti transazionali, significa primariamente definire i parametri secondo i quali si possa realizzare efficacemente una analisi del copione.

In un setting di gruppo, l’analisi del copione psicologico del paziente viene realizzata tramite l’analisi delle transazioni e dei giochi psicologici che quest’ultimo esprime con gli altri membri del gruppo, portando a quella che Berne chiama la analisi della group imago (1966).

Il copione psicologico è visto da Berne come un equivalente della nevrosi di transfert, quindi come il realizzarsi nel qui-e-ora delle esperienze infantili non risolte.

In un setting individuale dovremo ricercare le condizioni adatte a facilitare l’emergere e il riconoscimento di tali esperienze infantili, ossia del tranfert.

Allora il setting, così come nella psicoanalisi e nella psicoterapia a orientamento psicoanalitico, assume un valore essenziale per permettere l’esplicitazione dei fenomeni transferali e la loro analisi. Ponendo un esempio classico, il modo con cui il paziente partecipa emotivamente alla frequenza degli appuntamenti è rivelatore.

Ad esempio un paziente di tipo borderline esprimerà la sua rabbia verso il terapeuta mancando alle sedute, oppure pretendendo di recuperare il tempo dei suoi ritardi.

Un paziente fobico chiederà spesso di rendere meno frequenti gli incontri nelle fasi critiche del rapporto.

Possiamo affermare che in un contesto analitico-transazionale individuale, il setting costituisce il parametro primario per un’analisi del copione, in quanto permette l’individuazione delle manovre attraverso le quali il paziente tenta, inconsciamente, di ricreare con il terapeuta le condizioni che lo avevano portato alle proprie impasse e alle conseguenti decisioni di copione.

Allo stesso modo, il controtransfert del terapeuta diventa uno strumento ineliminabile per seguire le vicissitudini emotive del paziente (Novellino, 1984 ).

I fenomeni dell’identificazione concordante e complementare aiutano il terapeuta a intuire quanto accade nell’inconscio del paziente.

Transfert e controtransfert non sono solamente concetti interessanti, ma colonne portanti del lavoro analitico transazionale.

Attraverso l’analisi dei fenomeni transferali e controtransferali, l’analista transazionale potrà cogliere l’esternarsi del copione come nevrosi di transfert nella relazione terapeutica.

Le contaminazioni del paziente vengono proiettate sul terapeuta, che dovrà riconoscerle, aiutando l’Adulto del paziente a diventarne consapevole (decontaminazione), e il Bambino a ridecidere nuove opzioni (deconfusione).

L’insieme della metodologia così descritta prende il nome di analisi ridecisionale del transfert (Novellino, 1985, 1987).

Tutto questo significa approfondire il livello inconscio della relazione terapeutica, con una particolare attenzione ai sogni e alla comunicazione inconscia.

L’analista transazionale utilizzerà come operazione terapeutica centrale l’interpretazione, come del resto descritto da Berne (1966).

Interpretare, nel senso psicoanalitico corretto, non significa beninteso sostituirsi all’Adulto del paziente, quanto guidare quest’ultimo verso l’insight su come ripete nel presente le proprie decisioni di copione.

Vediamo come questi concetti hanno favorito la psicoterapia con P.

La psico-analisi transazionale di P.

Mi limiterò a descrivere quanto emerso nella terapia di P., che possa aiutare a collocare concretamente i principi di metodologia che ho esposto in precedenza.

L’analisi della comunicazione inconscia ha portato, prima di tutto, a esplicitare il bisogno sottostante di P. di essere trattata con attenzione al di là delle sue manovre perfezioniste e “beccatorie”.

Il controtransfert è stato essenziale. La consapevolezza dell’irritazione che provocava il perfezionismo della paziente, discusso ed elaborato insieme a quest’ultima, ha portato a ricostruire la rabbia con la quale la madre rispondeva alle sue richieste di ascolto.

In particolare la madre la “gelava” allorchè lei esprimeva, anche larvatamente, sentimenti positivi verso il padre. Lei aveva allora imparato a fare come la madre, ossia a tenere lontani gli uomini, e i suoi sentimenti positivi verso di essi, cogliendone i difetti.

Nessuno di loro era mai all’altezza, per cui faceva in modo di esasperarli e rimanere sola (come la madre).

Una volta stabilita un’alleanza, abbiamo per stadi potuto ricostruire i diversi tipi di impasse più profondi, ossia di secondo e terzo tipo.

P. era terrorizzata all’idea di stabilire un legame profondo: sarebbe stata tradita e abbandonata, ma, soprattutto, avrebbe tradito le aspettative della madre di rimanere sola come lei.

La relazione con me ha costituito una sorta di setting psicodrammatico, entro il quale P. ha rivissuto sia la rabbia verso il padre che l’aveva abbandonata “nelle grinfie” della madre, che il bisogno disperato di fidarsi di qualcuno che non fosse la madre.

Abbiamo interpretato i giochi psicologici atti a tenere lontani gli uomini e a confermarsi nel suo copione di insoddisfazione e solitudine.

Dopo diversi lavori anche di tipo emotivo, P. è arrivata a maturare la ridecisione più importante:
io non sono mia madre!

Quindi ella ha potuto distaccarsi dalle ingiunzioni che l’avevano condotta a respingere gli uomini e il loro affetto.
P. si è sposata con grande gioia, e ha sviluppato una rete di amicizie fortemente alternative alla famiglia di origine, alla quale era sempre stata legata simbioticamente.

Ovviamente non tutti i casi di psicoterapia hanno un esito così favorevole, né tantomeno sostengo che il modo in cui ho lavorato fosse l’unico possibile, ma questo è sempre vero in psicoterapia.

Conclusioni

Ritengo che i principi che ho proposto, sui quali peraltro molto lavoro rimane da fare, possano costituire una interessante alternativa ad altri modi di intendere l’opera bemiana.

Il nuovo millennio molto si aspetta da noi analisti transazionali.

Vorrei solamente ricordare alcune delle conseguenze pratiche che potrebbe avere una concezione di tipo psico-analitico transazionale.

La prima è quella di rivedere profondamente i termini della terapia personale di un allievo analista transazionale.

La necessità è quella di sapere comprendere e utilizzare il proprio controtransfert , quindi le proprie dinamiche inconsce: non è sufficiente limitare la terapia personale del candidato ai contratti consapevolmente espressi: per quanto utili essi possano essere.

La seconda conseguenza è quello di sintonizzare il processo di supervisione nell’ottica di guidare il terapeuta a cogliere utilmente i fenomeni transferali e controtransferali all’interno di un piano metodo logico coerente.

La terza, e forse più complessa, conseguenza è quella di rivedere il processo di esame, oggi , largamente condizionato da una cultura prevalentemente ridecisonale: in un’ottica psicodinamica appare estremamente limitativo un ascolto di cassette registrate di pochissimi minuti, mentre la priorità andrebbe data alla discussione clinica del caso.

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Michele Novellino

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