Il percorso che rende l’utilizzo della musica terapeutico e riabilitativo inizia dall’incontro tra musica stessa e psiche umana e dalle intense esperienze emotive che ne derivano.
La musica veicola suoni e le uniche informazioni che viaggiano sono quelle acustiche, ma tutti noi tendiamo a riconoscerne altre sotto forma di suoni, di pensieri, emozioni, movimento; sono comunque informazioni di “senso”, vaghe, aspecifiche e ambigue, ma che assumono per ciascun ascoltatore un valore simbolico. In questo aspetto sta il potenziale terapeutico della musicoterapia come in ogni altra forma di arteterapia. Il simbolo può evocare, mettere in risonanza, associarsi con emozioni, sentimenti, vissuti più o meno inconsapevoli; la forza “miracolosa” della musica sta proprio in questo: “fa pensare senza parlare”.
La consapevolezza mentale di sé, dei propri affetti ed emozioni, la capacità di regolarli ed esprimerli, sono alla base di ogni percorso che ha come obiettivo una maggiore armonia nel rapporto con se stessi e con il mondo. È fondamentale riconoscere, quindi, l’importanza della dimensione emotiva nella vita quotidiana e riscoprire tutto ciò che può aiutare a metterci in contatto con questa parte di noi spesso trascurata o repressa; il movimento corporeo, il disegno, la scrittura creativa, il teatro, la musica diventano ambiti dove non solo si possono realizzare opere con finalità artistica ma dove si può sperimentare la creatività come forza trasformatrice e mediatrice tra il nostro mondo interno e il mondo esterno e scoprirne la portata terapeutica.

L’intervento musicoterapico, in questa ottica, ha come protagonista l’uomo nella sua totalità e non il suo “essere malato” e si va delineando, in questi ultimi anni, un’idea emergente e innovativa che definisce questa disciplina una “terapia relazionale” dove l’elemento sonoro-musicale facilita la comunicazione e la “relazione” terapeuta-cliente.
In un contesto non verbale diventa importante accogliere qualsiasi proposta musicale, dalla più semplice alla più complessa, dalla più strutturata a quella destrutturata, perché dietro ad ogni gesto sonoro c’è una spinta emotiva o uno stato d’animo che viene comunicato, condiviso ed eventualmente trasformato creativamente. Lo spazio terapeutico in musicoterapia diventa così una sorta di palestra “protetta” dove si sperimentano ed esplorano nuove sonorità, nuove modalità di esprimersi e nuovi comportamenti.
Inutile sottolineare la necessaria capacità empatica e intuitiva del terapeuta che, scegliendo di non usare o usare poco il linguaggio verbale, è in continua connessione con il proprio vissuto emotivo attimo per attimo e da questa sua dimensione attinge continuamente per inventare e creare stimoli e proposte alla persona che ha di fronte.

Gli interventi di musicoterapia lavorano sull’integrazione delle parti divise di un individuo e in particolar modo sul recupero dell’unità corpo-mente-anima, allenando la percezione di sé e dell’altro, l’attenzione alle sonorità del proprio corpo e dell’ambiente, all’ascolto di sé e delle proprie emozioni e sentimenti, all’acquisizione di consapevolezze sulle modalità di relazione con il terapeuta o con l’eventuale gruppo, sul rafforzamento delle capacità e risorse di ciascuno per accedere alla propria dimensione creativa ed imparare ad usarla; tutto questo tramite l’elemento sonoro-musicale che può creare atmosfera di sostegno, rilassamento, può allentare le difese o rafforzare le resistenze tanto da renderle maggiormente consapevoli; può dar forma alle espressioni primarie come rabbia, paura, dolore, permettendone l’espressione e la regolazione, può rendere le sfumature dei sentimenti e degli stati d’animo.
La musica è poi in sé movimento puro, vibrazione, capace di mettere qualcosa ” in moto” dove c’è staticità, blocco, rigidità.

I setting musicoterapici possono essere individuali o di gruppo secondo le richieste e necessità, ma in entrambi i casi il ruolo dei partecipanti è attivo, nel senso che sono essi stessi i protagonisti del cammino terapeutico, essendo chiamati a mettersi in gioco per quando essi stessi desiderano; viene messa a loro disposizione una serie di strumenti con i quali improvvisare nel modo più creativo e meno convenzionale possibile; l’improvvisazione non ha finalità “tecniche” o artistiche ma diventa una “comunicazione emozionale” ed è per questo che non è richiesta la conoscenza della musica da parte di chi partecipa a questo tipo di esperienza. Il dialogo sonoro, che nasce sempre da un dialogo e dall’ascolto “emozionale”, il massaggio sonoro, che presuppone un profondo ascolto dei bisogni dell’altro, l’uso della voce profondamente legato all’espressione della persona, sono tutte modalità attraverso le quali è possibile vivere esperienze di autoconoscenza e intensa relazione con se stessi, con il terapeuta, con il gruppo.
Anche l’ascolto di musica registrata definito “passivo” in realtà è estremamente importante per “attivare” in qualche modo chi ascolta.
Se necessario e il percorso lo rende possibile vengono introdotti elementi di “movimento autentico”, di teatro, di espressività con uso di colori.
Ogni intervento è ovviamente calibrato sulle esigenze di chi lo richiede e può essere molto diverso, secondo gli obiettivi che si vogliono raggiungere, sia nelle modalità e tecniche di svolgimento che nel modello teorico cui fare riferimento.
Nell’ambito della disabilità infantile o adulta, ad esempio, la musicoterapia, con obiettivi riabilitativi, mira al potenziamento e armonizzazione delle capacità residue, insistendo in particolar modo su quelle espressive e relazionali; nei malati di coma la produzione di musica del terapeuta può essere determinante nel percorso di stimolazione che può portare ad un cambiamento del livello di coscienza; nella malattia terminale può accompagnare la persona verso la fine “del viaggio”.
Applicazioni nell’ambito della relazione “madre-bambino” pre e post natale hanno l’obiettivo di migliorare la comunicazione “affettiva”.
È possibile un intervento musicoterapico ogni volta vi sia un blocco della comunicazione o dell’apertura verso l’esterno come accade in certe forme nevrotiche o depressive.
È chiaro quindi che la musicoterapia non ha limiti di applicabilità e tutti possono accedervi senza limiti di età e cultura. L’unica limitazione può essere rappresentata da rare forme di epilessia indotta da determinate sonorità.

Un ultima parola sul dato “estetico”: è fondamentale avvicinarsi alla musicoterapia mettendo in primo piano l’aspetto terapeutico e in secondo piano l’aspetto estetico, per lo meno per la prima parte di un percorso che può durare mesi e anni; fare musicoterapia non è “suonare una bella musica” ma ricercare ed esprimere con l’aiuto del terapeuta, la propria “musica interna”, bella o brutta che sia, triste o allegra, polifonica o mono-fonica, la “sinfonia” che sottende alla nostra vita o il silenzio che vi regna; una volta incontrata, riconosciuta e accettata è possibile intraprendere il cammino che porta a ricercare il “senso” e la “bellezza” e promuovere esperienze di “piacere estetico e affettivo”.

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