Alessandra Zoccali (Logopedista)

L’idea di questo progetto nasce a seguito di una precedente esperienza di Comunicazione Aumentativa Alternativa condotta su singoli pazienti che sperimentavano l’afasia da almeno due anni (2001-2002).
Nello svolgimento di questa attività che non descriveremo in questa sede, è emersa sia da parte degli operatori che degli utenti la necessità di un confronto in un gruppo più ampio, in cui persone che stavano sperimentando lo stesso percorso potessero in un contesto protetto mettere alla prova l’efficacia delle tecniche apprese in sedute individuali ed incrementare le proprie capacità di utilizzo dei diversi canali espressivi grazie all’aiuto derivante dal praticare un’attività in cui la creatività è un ingrediente essenziale. Il gruppo di afasici ha pertanto partecipato ad otto incontri di gruppo condotti da un operatore teatrale esperto nel lavoro con situazioni di handicap durante i quali si è avuta l’opportunità di lavorare sulle modalità attraverso cui è possibile relazionarsi, l’uso dello sguardo, la turnazione nella comunicazione (cambio di turno e mantenimento del turno), sull’espressività della voce e della gestualità, sull’uso creativo ed espressivo del contesto.
Alcuni canali quali quello grafico-plastico non sono stati sviluppati per ovvie ragioni di tempo.

I successivi sviluppi rispetto all’esperienza sopra descritta sono andati nella direzione di un maggiore coinvolgimento di familiari, operatori, persone a vario titolo interessate ad avere un confronto diretto con gli afasici -anche in riferimento alla riflessione sviluppatasi ultimamente intorno alla figura del care-giver. e di una riflessione metodologica più approfondita.

Abbiamo così deciso di aprire l’esperienza ad un gruppo “misto” (afasici e non afasici). Principalmente interessati si sono dimostrati i logopedisti ed operatori a vario titolo in ambito sociale e sanitario, il che rivela da un lato quanta attenzione vada ancora dedicata ai parenti degli afasici e a chi è loro emotivamente più vicino prima di poterli coinvolgere in percorsi di questo tipo e dall’altro quanto forte sia l’esigenza da parte di chi lavora quotidianamente a fianco degli afasci e per gli afasici, di trovare modalità di relazione che fuoriescano dalla dicotomia assistente- assistito e dalla rigidità ed insufficienza di un canale verbale ormai compromesso.

Da un punto di vista metodologico riteniamo di condividere i presupposti della metodologia P.A.C.E. rispetto alla quale diamo di seguito alcune informazioni.

PROMOTING APHASICS’ COMMUNICATIVE EFFECTIVENESS (P.A.C.E.)

La metodologia P.A.C.E., fu ideata da D. Albyn Davis e M. Jeanne Wilcox nel 1978. Si tratta di un approccio al trattamento dell’afasia che è divenuto in breve tempo estremamente conosciuto a livello internazionale.
Il materiale proposto nella cartellina P.A.C.E. è altamente strutturato, al solo fine di fornire al terapista esempi di intervento sicuramente appropriati. La metodologia P.A.C.E. è però definibile più appropriatamente come una vera e propria filosofia riabilitativa, ed aderendo ai principi che ne costituiscono il fondamento il terapista può creare situazioni di lavoro ad hoc per ogni singolo paziente, integrando questo intervento con qualsiasi altra metodologia che si ritenga opportuna.
Lo scopo perseguito da chi applica la metodologia P.A.C.E. è quello di potenziare al massimo grado l’uso delle abilità comunicative residue nell’afasico.
Tale approccio è utilizzabile con pazienti afasici a qualsiasi grado di gravità ed è particolarmente consigliabile in quei pazienti che sperimentano la condizione dell’afasia cronica e con scarsa possibilità di recupero del linguaggio orale. In tutti gli altri casi si tratta di uno strumento d’essenziale importanza, ma che va necessariamente abbinato a strategie riabilitative miranti ad un recupero della comunicazione attraverso il canale linguistico.

I PRINCIPI DELLA P.A.C.E. A CONFRONTO CON I TRADIZIONALI METODI RIABILITATIVI.

TRADIZIONALI
P.A.C.E.
FOCUS Correttezza linguistica Efficienza comunicativa
SCAMBIO DI INFORMAZIONE NELLA SEDUTA Non c’è scambio di informazione: il terapista invita il paziente a formulare proposizioni corrette sulla base di materiale normalmente figurato proposto al paziente.
Il feedback che il paziente riceve rispetto a quanto produce verbalmente è legato alla correttezza o scorrettezza delle proprie produzioni, e non al contenuto di quanto dice.
Ci deve essere durante la seduta uno scambio di informazione al fine di creare una naturale motivazione rispetto alla prosecuzione dello scambio comunicativo tanto da parte del paziente quanto da parte del terapista.
CANALI DI COMUNICAZIONE USATI E INCENTIVATI Viene data importanza al solo canale riabilitato, normalmente orale o scritto.
Il terapista sceglie il canale di comunicazione sul quale vuole lavorare durante la seduta ed incentiva solo quest’ultimo, trascurando le informazioni che vengono trasmesse attraverso altre modalità sebbene appropriate.
Al paziente viene data facoltà di scegliere il canale di comunicazione che ritiene più adeguato alla situazione proposta e gli viene consentito di utilizzare anche l’integrazione di più canali. Il terapista può incentivare l’uso di modalità che ritiene possano essere efficaci e poco sfruttate dal paziente.
TURNAZIONE NELLA COMUNICAZIONE Il terapista sceglie l’argomento della comunicazione e propone stimoli al paziente.
Il paziente è chiamato ad interagire su tali stimoli, e pertanto non gli viene data l’opportunità di esercitare la propria iniziativa comunicativa.
Non essendoci un significativo scambio di informazioni (il terapista ha normalmente un target di riferimento a cui la produzione del paziente si deve necessariamente avvicinare), l’efficacia del messaggio prodotto dal paziente viene valutata esclusivamente secondo il parametro della correttezza linguistica, ed un successo in tal senso ha come unico riscontro l’approvazione del terapista, che passa ad un altro stimolo. Non vi è dunque una turnazione nella comunicazione.
Si cerca di riprodurre il più possibile una situazione comunicativa naturale, con reale scambio di informazioni significative e quindi con uno scambio di turni che vede tanto il terapista quanto il paziente nel ruolo di ricettori e di emettitori del messaggio.
Al paziente viene data facoltà di scegliere un argomento di comunicazione, e quindi di prendere l’iniziativa nella comunicazione.
Quando è necessario guidare il tipo di informazione scambiata, il terapista può proporre una serie di situazioni possibili tra le quali il paziente può scegliere, riducendo quindi, ma non annullando, la quantità di informazione nuova scambiata.
Nella comunicazione si viene a creare quindi una turnazione, la cui capacità di gestione da parte del paziente afasico risulta spesso alterata, e deve pertanto costituire uno dei focus riabilitativi.
COMPORTAMENTO DEL TERAPISTA Il terapista si esprime attraverso il canale che vuole riabilitare (orale-scritto), senza creare delle facilitazioni alla comprensione da parte del paziente. Il terapista deve avere un comportamento che favorisca il più possibile uno scambio comunicativo interessante e soddisfacente (e quindi efficace), e deve pertanto adeguare le proprie modalità di interazione con il paziente a questo obiettivo.
A tal fine si consiglia di videoregistrare le sedute e di estrarre dalle riprese le informazioni necessarie per una correzione dei propri comportamenti.

 

È stato dimostrato che rispetto ad una rieducazione più ”linguistica”, la P.A.C.E., in quanto più simile ad uno scambio comunicativo naturale, è anche più facilmente generalizzabile e che quindi i miglioramenti ottenuti durante la terapia vengano trasferiti nella vita quotidiana con relativa facilità.

Nel programmare un intervento attraverso la metodologia P.A.C.E. terremo presente l’obiettivo generale di aumentare il numero di successi comunicativi del paziente, che scomporremo in una serie di sotto-obiettivi i quali ci possono guidare nella scelta dei materiali da usare e delle situazioni da proporre:

Fondamentale è da parte del terapista mostrare un comportamento adeguato utilizzando lui stesso e diventandone quindi un“modello vivente”, i canali di comunicazione che si ritiene siano più sfruttabili dal paziente, che verrà guidato e da cui ci lasceremo guidare nella loro individuazione.

I principali punti da sviluppare in futuro da un punto di vista metodologico sono sicuramente l’elaborazione di strumenti di osservazione idonei: quali la videoripresa, delle attività che ne consente un’accurata analisi quantitativa e qualitativa degli atti comunicativi- attraverso qualunque canale espressi- ed aumentare il numero e la qualità dei momenti di rielaborazione del vissuto con il gruppo.

Alessandra Zoccali (Logopedista)

E-mail: alessandra.zoccali@tiscali.it

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