Mercurio e vulcano contro Ananke1
“Dopo il periodo indistinto della familiarità divina con gli uomini, invitare gli dei divenne l’atto più pericoloso, origine di offese e maledizioni, segno di un malessere ormai irriducibile fra l’alto e il basso….Che cosa concludere? Invitare gli dei rovina i rapporti con loro, ma mette in moto la storia. Una vita in cui gli dei non sono invitati non vale la pena di essere vissuta. Sarà più tranquilla, ma senza storia. E si può pensare che quell’invito pericoloso sia ogni volta ordito dagli dei stessi, che si annoiano degli uomini che non hanno storia.”2
La resistenza al cambiamento nei modi di insegnare nella scuola media superiore è eroica. Non c’è nulla che possa scalfire il modo consolidato di porgere agli alunni i contenuti: non la legge sull’obbligo scolastico a 16 anni, non la constatazione quotidiana che quanto si insegna non funziona, non la sofferenza continua di vedere alunni estranei e lontani da noi, dalla scuola. Non che non ci si preoccupi, è che la causa degli insuccessi degli alunni è sempre considerata esterna, estranea al nostro modo di insegnare. Gli insegnanti generalmente si comportano come se forze diverse e incontrollabili agissero sulla scuola determinandone il destino. Come gli eroi omerici gli insegnanti sono “agiti” dagli dei, ma al contrario degli eroi omerici non ne hanno la consapevolezza. “Quando la vita si accendeva , nel desiderio o nella pena, o anche nella riflessione, gli eroi omerici sapevano che un dio li agiva. Lo subivano e lo osservavano, ma ciò che avveniva era una sorpresa innanzitutto per loro. Così spossessati della loro emozione, delle loro vergogne, ma anche delle loro glorie, furono i più cauti nell’attribuirsi l’origine degli atti…..Nessuna psicologia ha fatto un passo oltre, da allora se non nell’inventare, per quelle potenze che ci agiscono, nomi pìù lunghi, più numerosi, più goffi e meno efficaci, meno affini alla grana di ciò che accade, sia piacere o terrore. I moderni sono fieri soprattutto della loro responsabilità ma così pretendono di rispondere con una voce di cui non sanno neppure se a loro appartiene. Gli eroi omerici non conoscevano una parola ingombrante come <<responsabilità>> e non l’avrebbero creduta.”3
L’insegnante è imprigionato dal programma, dal tempo necessario a svolgerlo, dagli schemi d’insegnamento imposto dal libro di testo: è una fascinazione, una malìa, un incanto da cui non ci si sveglia. E il programma è la necessità, la dea senza volto che ha un nome: Ananke. In Grecia Ananke sovrastava su tutto anche sugli dei dell’Olimpo, stringeva nodi che formavano reti che avvolgono, che costringono.4
Non a caso “Ananke appartiene al mondo di Crono”5, appartiene al tempo che ha leggi che non si cambiano, non abrogabili. Gli insegnanti sono ossessionati dal programma, dalla sua necessità, dal tempo che serve per realizzarlo. Il programma è statuto epistemologico della disciplina, ha come riferimento questa e non gli alunni che hanno una loro realtà, un loro essere, spesso non conciliabile con i contenuti disciplinari. Ma gli insegnanti stessi sono formati sul programma e non conoscono altro che sia trasferibile, che possa diventare commercio, mezzo di scambio educativo. Eppure “se soltanto Ananke comanda, la vita diventa rigida e sacerdotale”6. Neanche gli Olimpi hanno retto la pesantezza di Ananke e Crono, hanno fatto un colpo di mano e Zeus ha spodestato Crono. Ad Ananke hanno preferito Eros.
La <<responsabilità>> del cambiamento
Se non ci fosse la rete di Ananke che avvolge gli insegnanti con le spire dei programmi e con quello che rappresentano, basterebbe aprire gli occhi, guardare in faccia la realtà e assumersi le proprie responsabilità. Si vedrebbero alunni che arrancano nella ripetizione di frasi fatte, che sbadigliano dalla noia, che non attribuiscono nessun significato a quei contenuti che hanno così tanto valore per la disciplina che noi insegniamo. Si vedrebbero ragazzi respinti l’anno prima che continuano a essere apparentemente impermeabili ad ogni conoscenza anche l’anno dopo, quando gli stessi contenuti vengono ripetuti senza cambiare una virgola. Si vedrebbe che nonostante la sistematica distruzione delle aspettative e del senso di autostima che operiamo sugli alunni più deboli i ragazzi continuano a venire a scuola, come se tutto sommato valesse la pena.(Vengono a scuola per stare insieme, o per aspettare l’ultimo verdetto su loro stessi, sulla loro incapacità? Difficile rispondere).
Certo è difficile non rendersi conto che la prima responsabilità di questo stato di cose, come suggerisce il filosofo Alain, in grande consonanza con Don Milani, “è da attribuire ad una scuola che affastella le materie secondo criteri additivi enciclopedici e rimanda la colpa degli insuccessi alla scarsità di “attitudine” dei ragazzi …il rimedio indicato è quello di un insegnamento centrato su poche materie ma veramente “fondanti”…..”7
Negli Istituti Tecnici e nei Professionali, ad esempio, le materie sono tantissime, il numero dei docenti nei consigli di classe quasi pareggia il numero degli alunni che sono generalmente tantissimi. Queste materie sono proposte agli alunni ad un livello fortemente formalizzato, altamente specialistico fin dal biennio. E non c’è tempo per assimilare nulla, non c’è gradualità, si passa dal senso comune alla disciplina formalizzata in un colpo solo. E’ un mistero come le scuole pensate per i più deboli (scolasticamente parlando), siano quelle con il maggior numero di materie e proposte subito a livelli alti. Ci vuole così tanto a capire che se è importante fare poche materie e bene al liceo classico, lo è ancora di più nelle scuole tecniche e professionali dove i ragazzi partono già svantaggiati? La prima mancanza di democrazia vera, sostanziale, sta in questo associare profondità e numero esiguo di materie a chi è destinatario della cultura alta e superficialità e grande quantità di materie a chi è destinato ad un livello d’istruzione di qualità, di fatto, inferiore. Questa è una mancanza di responsabilità grave da parte dell’ istituzione, è un ostacolo serio all’istruzione. Bisognerebbe prenderne coscienza.
In attesa di una riforma dei Tecnici e dei Professionali, che anche se ci sarà difficilmente sarà in questo senso, cosa possiamo fare per essere responsabili dei nostri alunni? Possiamo sicuramente lavorare sulle discipline per renderle adatte ad essere comprese da loro. Lavorare sulle discipline per renderle digeribili dagli alunni che le concepiscono totalmente estranee a loro stessi. Lavorare insieme ai colleghi più sensibili nei dipartimenti disciplinari. Attuare l’art.6 del Regolamento dell’autonomia è quasi fantascienza nella scuola media superiore, perché Ananke lo impedisce.
C’è però un modo che fa sentire responsabili gli insegnanti degli studenti, restando fedeli al programma. È quello di occuparsi della relazione, della comunicazione, della gestione del gruppo classe, cosa importante, non c’è che dire. C’è una grande quantità d’insegnanti che, si fa largo nella rete di Ananke, della necessità del programma, per farsi agire da un altro dio: Hermes- Mercurio, dio della comunicazione e della mediazione. La rete di Ananke non si oppone più di tanto a questo passaggio perché chi è preso dal dio della comunicazione, lascia intatto il programma, la necessità resta quella. Occuparsi della relazione e della comunicazione, senza occuparsi del programma è tranquillizzante e cambia ben poco dell’insegnamento; ci si occupa dei rapporti interpersonali nella loro forma, lasciando inalterati nella loro sostanza gli argomenti di studio. Il contenuto dello scambio fra alunno e docente rimane lo stesso. In seguito ai corsi sulla comunicazione cose incomprensibili possono essere dette sorridendo.
Hermes- Mercurio e Vulcano-Efesto
Mercurio viene seguito volentieri dagli insegnanti. “Mercurio, con le ali ai piedi, leggero e aereo, abile e agile e adattabile e disinvolto, stabilisce le relazioni degli dei tra loro e quelle tra gli dei e gli uomini, tra le leggi universali e i casi individuali, tra le forze della natura e le forme della cultura fra tutti gli oggetti del mondo e fra tutti i soggetti pensanti”8, scrive Calvino.
Sembra che volando insieme a mercurio si possa dominare l’indominabile . Sembra che regolando la relazione si possa regolare l’insegnamento. E l’insegnamento è in ultima analisi relazione. È certo. Ma è una relazione speciale, diversa da quelle di amicizia, di parentela, di conoscenza occasionale o di rapporto formale. E’ una relazione in cui la persona si mette in gioco sui contenuti disciplinari, su di essi parla, su di essi discute con l’insegnante e con i compagni. E’ una relazione, come ho detto altre volte, asimmetrica perché l’insegnante ne sa di più dell’alunno, nonostante ciò è paritaria sul terreno del mettersi in gioco. Se anche l’insegnante non si mette in gioco, non ci mette tutto se stesso non si arriva a nessuno scambio con l’alunno. Ma torno a ripetere: gli oggetti di scambio in questa relazione così particolare sono i contenuti disciplinari, non le chiacchiere generiche sull’affettività. Se i contenuti sono adeguati all’età scolare, allora sono autenticamente affettivi, perché sono capaci di stare dentro un mondo conosciuto, hanno la capacità di essere accolti.
Per costruire i contenuti giusti per i ragazzi non abbiamo bisogno di Mercurio, che viaggia per i cieli. Abbiamo bisogno di un dio che sta con i piedi per terra, abbiamo bisogno di Vulcano- Efesto “…dio che non spazia nei cieli ma si rintana nel fondo dei crateri, chiuso nella sua fucina dove fabbrica instancabilmente oggetti rifiniti in ogni particolare, gioielli e ornamenti per le dee e gli dei, armi, scudi, reti, trappole. Vulcano che contrappone al volo aereo di Mercurio, l’andatura discontinua del suo passo claudicante e il battere cadenzato del suo martello”.9
Occorrono la forza e la concentrazione di Vulcano per forgiare strumenti nuovi d’insegnamento, per provarli e riprovarli con gli alunni, per confrontare il proprio lavoro con quello degli altri insegnanti. Sembra in questo lavoro di stare proprio in una fucina e non si sa se gli oggetti creati riusciranno mai a venire alla luce. Per farli uscire dalla fucina, per farli nascere, occorre però l’agilità e la sveltezza di Mercurio.
Per insegnare e stare sia in rapporto con gli oggetti del sapere e con i ragazzi che devono imparare non si può fare a meno né di Mercurio né di Vulcano. Calvino citando lo studioso André Virel scrive che “Mercurio e Vulcano rappresentano le due funzioni vitali inseparabili e complementari: Mercurio la sintonia, ossia la partecipazione al mondo intorno a noi; Vulcano la focalità, ossia la concentrazione costruttiva”.10 E che: “ La mobilità e la destrezza di Mercurio sono le condizioni necessarie perché le fatiche interminabili di Vulcano diventino portatrici di significato, e dalla ganga minerale informe prendano forma gli attributi degli dei, cetre o tridenti, lance o diademi”.
Note:
1 – Questo articolo è stato pubblicato su Insegnare, numero 2, 2008, p. 24-27. Ringraziamo l’editore per il permesso.
2 – R. Calasso, Le nozze di Cadmo e Armonia, Milano, gli Adelphi, 2004, p.432-433.
3 – Ibidem , p. 114
4 – Ibidem, p. 117
5 – Ibidem, p 120.
6 – Ibidem, p 121.
7 – F. Braccini, R. Taddei, La scuola laica del prete -Don Milani, Roma, Armando, 1999, p.107.
8 – I. Calvino, Lezioni Americane, Milano, Garzanti, 1988, p. 50.
9 – Ibidem, p. 51-52.
10 – Ibidem, 52.