Note redazionali: * **
* “La psicoterapia centrata sulla persona” è un breve saggio, materialmente opera di Nathalien Raskin, collaboratore di Rogers, ma idealmente scritto da entrambi. È stato pubblicato, a cura di Raskin, dopo la morte di Rogers (1987). La prima pubblicazione italiana risale al 1991, per i tipi della rivista “Da persona a persona”, in occasione del Secondo Congresso Italiano dell’Associazione Europea della Psicoterapia Centrata sul Cliente e dell’Approccio Centrato sulla Persona “CARL ROGERS”, tenutosi ad Arco (Trento) dal 3 al 5 Maggio 1991. La pubblicazione ha gli aspetti di un resoconto esaustivo dei principi e della pratica di tutta l’attività rogersiana. È una sorta di grande dispensa, un “verbale globale” dei fondamenti dell’Approccio Centrato sulla Persona. Risente fondamentalmente di un linguaggio colto nel farsi della realtà, con forti caratteristiche di parlato e di comunicato in vivo, come se fossero appunti che un alunno diligente ha raccolto durante le lezioni di un maestro amato e rispettato. Non si trovano, né nella redazione in lingua inglese, né nella traduzione italiana qui riportata, le caratteristiche di uno scritto programmato per una pubblicazione ufficiale, trattandosi di un “fondamentale promemoria per uso interno”, da diffondere all’interno della Comunità rogersiana e per conoscenza informale nei confronti degli addetti ai lavori e di ogni persona in diverso modo interessata. Risente perciò di caratteristiche immediatamente didattiche, come aspetti ripetitivi, esperienze riportate alla lettera, fluire di un linguaggio parlato che non ha pienamente le caratteristiche di estrema precisione della lingua nata scritta. In un certo senso questo ha le caratteristiche di un omaggio a Carl Rogers, che amava socraticamente molto di più la lingua viva del parlato (il dialogo, gli incontri, lo scambio di idee), rispetto alla consacrazione della stampa, pur avendo operato in tal senso in più occasioni della sua vita. La redazione di “Script riflessioni” presenta questo contributo rogersiano nella versione italiana comparsa sulla rivista “Da persona a persona”, per la traduzione di G. Giovagnoni.
Un ringraziamento particolare va alla redazione della rivista rogersiana per la concessione alla pubblicazione, ed uno ancor più particolare al Dottor Alberto Zucconi, che ha tenuto per l’occasione i contatti con noi.
(Nota redazionale della rivista “Script riflessioni”).
** Questo articolo è uno dei tanti progetti cui Rogers stava lavorando fino a pochi giorni prima della sua morte, avvenuta il 4 febbraio 1987, all’età di ottantacinque anni.
Il testo definitivo è stato curato da Raskin che ha lavorato con Rogers per quarantasette anni.
Dopo averlo letto lo abbiamo pensato documento centrale di questo numero, in quanto riporta in forma chiara, essenziale e organica i principali contributi di Rogers nel campo della psicoterapia e delle scienze sociali.
Questo articolo è stato tratto da “Current Psichoterapies” (Fourth Edition, Raymond J. Corsini-Danny Wedding).
(Nota della redazione della rivista “Da Persona a Persona”, premessa alla traduzione italiana dell’articolo).
1. Premessa
La Terapia Centrata sulla Persona è un approccio per gli individui ed i gruppi in situazione di conflitto.
Le sue linee essenziali sono state formulate dallo psicologo Carl Rogers nel 1940.
La teoria è formulata con chiarezza, è accompagnata da trascrizioni testuali della psicoterapia, ha stimolato una grande mole di ricerche su di un’ipotesi rivoluzionaria: che un processo di crescita autodiretto si sarebbe realizzato offrendo e ricevendo un rapporto caratterizzato da genuinità, attenzione non giudicante, empatia.
Questa ipotesi è stata sottoposta a verifica per decenni, in situazioni coinvolgenti maestri ed allievi, direttori e subalterni, facilitatori e membri di gruppi interculturali, psicoterapeuti e clienti.
2. Concetti fondamentali
Il concetto più basilare e diffuso della Terapia Centrata sulla Persona è la fiducia.
Alla base dell’approccio di Rogers vi è una tendenza attualizzante presente in ogni organismo vivente e negli stessi esseri umani, una fiducia in un processo costruttivo che si dirige verso la realizzazione del pieno potenziale di ognuno. Rogers (1980) ha descritto questa tendenza alla realizzazione come parte di una tendenza formativa verso maggiore ordine, complessità, interdipendenza, che si osserva sia nelle stelle, nei cristalli e nei microorganismi, che negli esseri umani [1]. Come presupposto di base vi è la fiducia che gli individui ed i gruppi siano in grado di darsi i propri obiettivi verso i quali tendono progressivamente. Questo ha uno speciale significato, in relazione ai bambini, studenti e lavoratori, che vengono spesso considerati bisognosi di guida particolareggiata e costante e di supervisione.
Nel contesto della psicoterapia, un approccio centrato sulla persona presuppone che i clienti siano capaci di scegliersi gli psicoterapeuti, la frequenza e la lunghezza della terapia, la libertà di parlare o di stare in silenzio, di decidere quello che vogliono esplorare, di raggiungere le proprie prese di coscienza e di pianificare la propria vita.
Si ritiene altresì che i gruppi siano capaci di sviluppare i processi a loro adatti e di risolvere i conflitti che emergono al loro interno.
Un’applicazione della fiducia caratteristica dell’Approccio Centrato sulla Persona riguarda il terapeuta o facilitatore. Nei primi tempi del movimento la messa a fuoco era interamente sul cliente. Il terapeuta offriva un’empatia ininterrotta e congruente a quanto il cliente percepiva, intendeva dire e sentiva. Con l’esperienza ci si è accorti sempre di più dell’importanza che il terapeuta venisse considerato come persona all’interno del rapporto e che anch’egli fosse oggetto di fiducia così come lo è il cliente.
Eugene Streich ha formulato una delle prime definizioni di questa fiducia:
“Quando il terapeuta è in grado di capire liberamente e pienamente, senza limitazioni teoriche e di ruolo, ci accorgiamo di avere, non un individuo che potrebbe nuocere, o che deve attenersi a determinati metodi, ma una persona che, grazie alla notevole capacità integrativa del proprio sistema nervoso centrale, è in grado di comportarsi in modo equilibrato, terapeutico e facilitante la crescita altrui. In altre parole, quando il terapeuta non è pienamente se stesso, quando non è consapevole dei vari aspetti del proprio vissuto, spesso manca di efficacia, come alcuni fallimenti stanno a provare.
Quando è pienamente se stesso, in contatto con il proprio organismo e pienamente consapevole del proprio vissuto, allora è affidabile ed il suo comportamento è costruttivo” (1951, pp. 8-9).
Circa trent’anni dopo, Rogers, con un linguaggio più intuitivo e spirituale, ha espresso tale fiducia nel terapeuta o facilitatore di gruppo, riferendosi ad essa come ad “un’ulteriore caratteristica” del rapporto che favorisce la crescita e che quindi va aggiunta alle tre condizioni classiche: congruenza, considerazione positiva incondizionata ed empatia:
“Quando sono al meglio come facilitatore di gruppo, scopro un’altra caratteristica. Mi accorgo che quando sono più in contatto con il Sè profondo, intuitivo, quando sono in qualche modo in contatto con lo sconosciuto dentro di me, quando sono magari in uno stato di coscienza lievemente alterata all’interno del rapporto, allora, qualunque cosa io faccia, questa si rivela profondamente terapeutica. Allora la mia presenza di per sé è liberatoria e curativa” (1986 a, pag.198).
La congruenza, la considerazione positiva incondizionata e l’empatia rappresentano i concetti fondamentali della Psicoterapia Centrata sulla Persona. Sono caratteristiche offerte dal terapeuta.
Pur essendo differenziati, questi tre concetti sono intimamente collegati fra loro (Rogers,1957).
La congruenza si riferisce alla corrispondenza fra i pensieri del terapeuta ed il suo comportamento, equivale quindi ad essere genuini. Il terapeuta non presenta una facciata professionale o impersonale.
Il terapeuta ha per il cliente una considerazione positiva incondizionata. Il cliente è libero di essere riservato o comunicativo, di orientarsi verso qualsiasi argomento di sua scelta ed arrivare a qualunque tipo di consapevolezza o di soluzione che sia significativa per lui. La considerazione del terapeuta per il cliente non sarà influenzata dalle sue scelte, caratteristiche o risultati.
Il terapeuta esprime questo rispetto mediante l’empatia. L’essere empatico riflette un profondo interesse per il mondo dei significati e dei sentimenti del cliente, così come egli desidera rappresentarlo. Il terapeuta riceve le comunicazioni del cliente e gli comunica a sua volta apprezzamento e comprensione, incoraggiando in tale modo il cliente ad andare oltre o più in profondità. L’idea che questo consista solo nel ripetere le ultime parole del cliente è erronea. Avviene, invece, un’interazione in cui una persona si pone come un compagno caldo e sensibile, pieno di rispetto, nella difficile esplorazione del mondo emozionale dell’altro.
Il modo di rispondere del terapeuta dovrebbe essere personale, spontaneo, genuino.
Quando I’ empatia è al meglio, i due individui partecipano ad un processo paragonabile ad una coppia di danzatori: il cliente è quello che conduce, il terapeuta quello che segue. Il fluire armonioso e spontaneo dell’energia durante l’interazione ha un suo ritmo estetico di particolare bellezza.
I concetti basilari del processo riguardo al cliente sono: concetto di Sé, livello di autostima, esperienza.
Nel localizzarsi su quello che è importante per la persona, i terapeuti centrati sul cliente scoprirono presto che la percezione di sé ed i sentimenti riguardo se stessi erano di grande importanza (Raimy, 1948).
Ad esempio, una cliente potrebbe credere che in lei ci fosse qualche cosa che non va, in quanto gli uomini interrompono il rapporto con lei. Oppure un cliente potrebbe sentirsi un incapace, per non riuscire a trovare un lavoro ed a conservarlo. In un modo o nell’altro il concetto di sé risulta limitato o conflittuale.
Uno dei maggiori elementi del concetto di sé è il rispetto di sé. La caratteristica generale dei clienti risulta essere la mancanza di autostima. Alcuni dei primi progetti di ricerca in psicoterapia, indicarono che quando i clienti venivano valutati come aventi successo nella psicoterapia, il loro atteggiamento verso se stessi diveniva molto più positivo (Sheerer, 1949).
Si trovò anche che i clienti che avevano successo progredivano in una data dimensione: il livello di valorizzazione di sé. Nel migliorare l’autostima, tendevano anche a spostare il punto di riferimento per i propri standard e valori dagli altri verso se stessi. Generalmente le persone iniziavano la terapia dando un peso eccessivo a quello che gli altri pensavano di loro, il punto di riferimento per la propria valutazione era esterno.
Con il successo in terapia, i loro atteggiamenti verso gli altri e verso se stessi, diventavano positivi ed essi dipendevano meno dagli altri per i propri valori e per i propri standard (Raskin, 1962).
Un terzo concetto centrale nella Terapia Centrata sulla Persona è lo sperimentare, una dimensione lungo la quale i clienti che riuscivano nella terapia miglioravano, passando da un modo rigido di sperimentare se medesimi ed il mondo, ad un modo caratterizzato da apertura e flessibilità (Rogers, Gendlin, Kiesler e Truax, I967).
Le tre qualità del terapeuta ed i tre costrutti del cliente descritti fin qui, sono stati accuratamente definiti e misurati in progetti di ricerca, che confrontano il comportamento e l’operare del terapeuta con gli effetti della psicoterapia.
Appare chiaramente che, quando i clienti ricevono congruenza, considerazione positiva incondizionata ed empatia, il loro concetto di sé diviene più positivo e realistico, si esprimono in modo più aperto, divengono più autonomi nelle scelte, più aperti e più liberi nel modo di sentire, più maturi nel comportarsi, più capaci di gestire lo stress (Rogers, 1986 a).
3. Altri sistemi
La Terapia Centrata sulla Persona si fonda prevalentemente sull’esperienza di Rogers. Tuttavia, fra l’Approccio Centrato sulla Persona ed altre teorie della personalità, vi sono sia notevoli differenze che somiglianze.
Autorealizzazione, un concetto fondamentale della Teoria Centrata sulla Persona, fu introdotto da Kurt Goldstein. La sua teoria olistica della personalità sottolinea che gli individui vanno considerati come un tutto e che essi tendono alla propria realizzazione (Goldstein, 1959).
L’opera e le idee di Goldstein precedettero quelle di Abraham Maslow, uno dei fondatori della psicologia umanistica, che si contrappose alle interpretazioni dei freudiani e dei comportamentisti riguardo la natura umana.
Heinz Ansbacher, grande fautore della teoria di Adler, si unì a Maslow (1968) ed a Floyd Matson (1969), nel riconoscere molteplici teorie e terapeuti “uniti da sei presupposti di base della psicologia umanistica”:
- Il potere creativo delle persone è una forza cruciale, in aggiunta all’eredità ed all’ambiente.
- Un modello antropomorfo di umanità è superiore ad un modello meccanomorfo.
- La dinamica decisiva è lo scopo e non la causa.
- L’approccio olistico è migliore di uno basato su elementi singoli.
- Si deve tenere nella massima considerazione la soggettività dell’individuo, le sue opinioni ed i punti di vista personali, la sfera cosciente e quella inconscia.
- La psicoterapia si basa principalmente su di un buon rapporto umano (Ansbacher, 1977, pag.51).
Tra quelli che sottoscrissero queste affermazioni vi furono Alfred Adler, William Stern, Gordon Allport, gli psicologi della Gestalt (Max Wertheimer, Wolfgang Kohler e Kurt Koffka), i neofreudiani (Franz Alexander, Erich Fromm, Karen Horney e Harry Stack Sullivan), i post freudiani come Judd Marmor e Thomas Szasz, gli psicologi fenomenologici ed esistenziali, come Rollo May, il teorico del cognitivismo George A.Kelly e, naturalmente, Carl Rogers (Ansbacher, 1977).
Mentre alcuni concetti e valori fondamentali dell’Approccio Centrato sulla Persona concordano con i presupposti di altri sistemi, la Terapia Centrata sulla Persona ha numerose caratteristiche proprie, che sono state elencate da Rogers e Sandford (1985). Esse comprendono:
- L’ipotesi che alcuni atteggiamenti del terapeuta costituiscono le condizioni necessarie e sufficienti per l’efficacia terapeutica.
- La concezione che il terapeuta è immediatamente presente ed accessibile ai clienti ed ha fiducia in quanto essi provano, di momento in momento, all’interno del rapporto.
- La focalizzazione intensa e continua sul mondo fenomenologico del cliente (di qui il termine “centrato sul cliente”).
- Una elaborazione teorica che il processo terapeutico è caratterizzato da un cambiamento nel modo di essere del cliente e nella sua immediatezza del sentire con un’aumentata capacità di vivere più pienamente nel presente.
- Un interesse maggiore per il processo di cambiamento piuttosto che per la struttura della personalità.
- Grande importanza data alla ricerca per aumentare le conoscenze sulla psicoterapia.
- L’ipotesi che gli stessi principi di psicoterapia convengono a tutte le persone definite psicotiche, nevrotiche o normali.
- Considerare la psicoterapia come esempio di tutte le relazioni umane costruttive, con la conseguente applicabilità generalizzata di tutte le conoscenze tratte dal campo della psicoterapia.
- Una determinazione a costruire tutte le formulazioni teoriche, a partire da una base di esperienza, piuttosto che deformare l’esperienza per adattarla ad una teoria preformata.
- Un interesse ai temi filosofici che derivano dalla pratica della psicoterapia.
Meador e Rogers (1984) distinsero la psicoterapia centrata sulla persona dalla psicoanalisi e dal comportamentismo in questi termini:
“Nella psicoanalisi l’analista si propone di dare al paziente le interpretazioni sulle connessioni passate e presenti. Nella Terapia Centrata sulla Persona, il terapeuta facilita al cliente la comprensione dei significati della propria esperienza attuale . Lo psicoanalista nel dare al paziente le interpretazioni assume il ruolo di un insegnante e favorisce lo sviluppo di un rapporto di transfert, un rapporto basato sulla nevrosi del paziente.
Il terapeuta centrato sulla persona, si presenta il più onestamente possibile e con la massima trasparenza, cercando di instaurare un rapporto basato sull’ascolto e sull’interesse genuino.
Nella terapia centrata sulla persona possono iniziare rapporti di transfert, senza peraltro giungere alla piena fioritura. Rogers ha affermato che le relazioni transferali si sviluppano in un clima valutativo, in cui il cliente sente che il terapeuta ne sa più di quanto egli non sappia su se stesso ed in tale modo diviene dipendente.
I terapeuti centrati sulla persona tendono ad evitare la valutazione. Essi non danno interpretazioni, non fanno domande in maniera inquisitiva, non rassicurano né criticano i clienti.
Nella terapia comportamentale il cambiamento avviene mediante il controllo esterno delle risposte associate agli stimoli e delle conseguenze delle varie risposte.
In pratica, se non in teoria, la terapia comportamentale non presta attenzione al cambiamento terapeutico bensì a cambiamenti specifici di specifici comportamenti.
I terapeuti centrati sulla persona, invece, ritengono che il cambiamento di comportamento scaturisca dall’individuo al suo interno.
Lo scopo della terapia comportamentale è l’eliminazione del sintomo. Non si interessa al rapporto fra l’esperienza interna ed il sintomo, né al rapporto fra terapeuta e cliente od al clima di tale rapporto. Cerca di eliminare il sintomo con la massima efficacia possibile, usando i principi della teoria dell’apprendimento.
Ovviamente questo punto di vista è completamente opposto alla Terapia Centrata sulla Persona, che afferma che le persone pienamente funzionanti dirigono il proprio comportamento basandosi sulla propria esperienza interiore” (1984, p. 146).
Raskin (1974), confrontando l’operare di Rogers con quello di altri cinque grandi terapeuti di altri orientamenti, trovò che la Terapia Centrata sulla Persona si distingueva per l’empatia e la considerazione positiva incondizionata.
Gli psicoterapeuti ad orientamento analitico e quelli eclettici concordavano con la Teoria Centrata sulla Persona sulla desiderabilità dell’empatia, del calore, della considerazione positiva incondizionata, ma alcuni esempi di colloqui ad orientamento razionale-emotivo o psicoanalitico e analitico, furono valutati come aventi un basso livello in queste caratteristiche.
Questo studio fornì un confronto diretto di campioni registrati di sedute terapeutiche tenute da Rogers e da Albert Ellis, il fondatore della terapia razionale-emotiva (RET).
Tra dodici variabili riguardanti il terapeuta valutate da ottantatre terapeuti giudici, l’unica in cui Rogers ed Ellis risultarono eguali fu quella della fiducia.
L’esempio della terapia di Rogers ricevette punteggi alti nelle seguenti dimensioni: empatia, considerazione positiva incondizionata, congruenza e capacità di ispirare fiducia.
Le sedute terapeutiche di Ellis ebbero valutazioni alte riguardo alle abilità cognitive e alla direttività del terapeuta.
Rogers ricevette punteggi bassi in direttività del terapeuta, mentre Ellis ricevette una valutazione bassa nella considerazione positiva incondizionata.
Questa ricerca contribuisce a formulare le seguenti differenze fra la Psicoterapia Centrata sulla Persona e la Psicoterapia Razionale-emotiva:
- A differenza della Terapia Razionale Emotiva (RET), I’Approccio Centrato sulla Persona dà grande importanza alla relazione terapeutica.
- I terapeuti razionali-emotivi danno molto orientamento, sia durante il rapporto terapeutico che fuori; L’Approccio Centrato sulla Persona incoraggia il cliente a determinare la propria azione sia all’interno che all’esterno della terapia.
- I terapeuti razionali-emotivi evidenziano le manchevolezza nei processi di pensiero dei propri clienti, i terapeuti centrati sulla persona accettano e rispettano il modo di pensare e di sentire dei propri clienti.
- La Psicoterapia Centrata sulla Persona porta ad azioni o scelte dei clienti; i metodi razionale-emotivi comprendono compiti a casa assegnati dal terapeuta.
- Il terapeuta centrato sulla persona si mette in rapporto con il cliente ad un livello emotivo ed in un modo rispettoso ed accettante; il terapeuta razionale-emotivo sarà incline ad interrompere questo processo affettivo per evidenziare il danno irrazionale che il cliente potrebbe arrecare sia a se stesso che alle proprie relazioni ambientali.
Mentre Rogers ed Ellis hanno filosofie e metodi molto diversi nel cercare di aiutare le persone, essi condividono importanti opinioni e valori:
- Un grande ottimismo sulle possibilità di cambiamento degli individui, anche se profondamente disturbati.
- La convinzione che gli individui sono spesso critici verso se stessi senza motivo e che gli atteggiamenti negativi possono cambiarsi in positivi.
- L’intenzione di effettuare un grande sforzo per cercare di aiutare le persone, sia mediante la terapia individuale, sia mediante scritti professionali e divulgativi.
- L’intenzione di dimostrare pubblicamente i propri metodi.
- Il rispetto per la scienza e la ricerca.
Simili differenze ed affinità si troveranno confrontando Rogers con altri terapeuti cognitivi, come ad esempio Aaron Beck.
4. Storia.
4.1 I precursori.
Uno degli eventi che ha avuto più influenza su C. Rogers è stato il suo progressivo rendersi conto che i metodi tradizionali di cura da lui appresi per il trattamento dei bambini non erano efficaci.
Al “Teacher’s College” della Columbia University aveva appreso a somministrare i test, gli strumenti di misurazione, l’intervista diagnostica e l’ analisi interpretativa.
A questa fase seguì un internato all’Institute for Child Guidance di orientamento psicoanalitico, ove egli apprese a raccogliere storie di casi ed a somministrare test proiettivi di personalità.
È importante notare che Rogers, originariamente, andò all’Istituto Rochester per la cura dei bambini, credendo a questo approccio diagnostico prescrittivo, professionalmente impersonale; soltanto a seguito della propria esperienza arrivò a concludere che tale metodo non era efficace.
Come alternativa egli provò ad ascoltare ed a seguire la direzione del cliente piuttosto che assumere il ruolo di esperto. Questo metodo si rivelò più efficace; Rogers trovò un sostegno sia teorico che pratico per questo approccio alternativo nel lavoro di Otto Rank e dei suoi seguaci, alla scuola di Lavoro Sociale presso I’ Università della Pennsylvania ed alla Child Guidance Clinic di Filadelfia.
Un evento di particolare importanza fu un seminario di tre giorni a Rochester, con Rank (Rogers e Haigh, 1983).
Un altro fu la sua collaborazione con un’assistente sociale di formazione rankiana, Elisabetta Davis, dalla quale “per la prima volta afferrai il concetto di rispondere quasi completamente ai sentimenti che venivano espressi; quello che più tardi venne chiamato il riflettere i sentimenti, scaturì dal mio contatto con lei” (Rogers e Haigh, 1983 pag. 7).
La metodologia di Rogers e più tardi la sua teoria scaturiscono dalla sua personale esperienza e dal suo tenere conto di quello che era terapeuticamente efficace.
Nel lavoro iniziale di Rogers appaiono inoltre molti collegamenti con Otto Rank.
Gli elementi di teoria rankiana che risultano strettamente connessi con i principi della terapia non direttiva sono:
- La ricerca di aiuto individuale non è soltanto un campo di battaglia di forze impersonali come l’Es e il Super-Io, ma ha poteri creativi personali.
- Lo scopo della terapia diviene l’accettazione da parte dell’individuo del proprio sé e della sua unicità.
- A tale fine il cliente e non il terapeuta diviene la figura centrale nel processo psicoterapeutico. Il cliente è il proprio terapeuta, con potere sia di autocreazione
che di autodistruzione. La prima può emergere se il terapeuta si pone non come autorità, ma come aiuto verso la persona. - Il terapeuta non è né uno strumento di amore, il che renderebbe il paziente maggiormente dipendente, né uno strumento di educazione, il che porterebbe a cercare di cambiare l’individuo.
- I fini della terapia vengono perseguiti dal paziente, non mediante una spiegazione del suo passato, alla cui interpretazione il cliente resisterebbe e che, anche se accettato, servirebbe a diminuire la responsabilità per il presente, ma piuttosto mediante l’esperienza attuale all’interno della situazione terapeutica. (Raskin, 1948, pp. 95-96).
Rank esplicitamente, eloquentemente e ripetutamente, rifiutava una terapia basata sulle tecniche o sulle interpretazioni, affermando:
“Ogni singolo caso, ogni ora individuale dello stesso caso è diversa, in quanto deriva dal giuoco delle forze che si trovano in quella situazione. La mia tecnica consiste essenzialmente nel non avere tecniche, ma nell’utilizzare il più possibile l’esperienza ed il capire che questa viene costantemente convertita in efficacia terapeutica, ma mai cristallizzata in regole tecniche. Vi è tecnica solo in una terapia basata sulla teoria ove la tecnica coincide con la teoria ed il compito principale dell’analista è l’interpretazione, non il portare al cambiamento e la verifica dell’esperienza”. (1945,pag.105).
Rank è oscuro riguardo al suo modo di fare psicoterapia, soprattutto per quello che riguarda quanto e come egli intervenga durante l’ora del colloquio. Riferimenti non sistematici in “Will Therapy” (1945) rivelano che, nonostante la sua critica delle tecniche educative ed interpretativi ed il suo enunciato che il paziente stesso è il proprio terapeuta, egli, all’interno della situazione, assume una posizione di potere.
4.2 Gli inizi
Carl Rogers nacque a Oak Park, Illinois, l’8 Gennaio 1902. I suoi genitori credevano nel lavoro duro, nel senso di responsabilità, nella stretta osservanza della religione protestante e disapprovavano talune attività, come bere, ballare, giocare a carte. La famiglia era caratterizzata da affetto e dedizione reciproca, che non mostrava in pubblico.
Mentre era alla Scuola Superiore, Carl lavorava nella fattoria; cominciò, allora, ad interessarsi alla sperimentazione ed all’aspetto scientifico dell’agricoltura, pur mantenendo il suo amore per la natura e per la letteratura.
Più tardi entrò all’Università del Wisconsin, affiancando contemporaneamente i propri genitori e fratelli maggiori come ispettore agricolo. Rogers, inoltre, continuò nella tradizione religiosa della propria famiglia. Era attivo nel campus YMCA e fu scelto per essere uno dei dieci rappresentanti della Gioventù Americana alla Conferenza della Federazione degli Stati Uniti (Pechino 1922). Fu allora che egli passò dall’interesse per l’agricoltura a quello per la storia, ritenendola più adatta per prepararsi a fare il ministro protestante.
Dopo la laurea (1924, all’Università del Wisconsin) ed il matrimonio con Elena Elliott, un’amica d’infanzia, entrò nello Union Theological Seminar. Due anni più tardi, in parte come risultato dei molti corsi di psicologia frequentati, Rogers si spostò “al di là di Broadway”, al Teacher’s College della Columbia University, dove entrò in contatto con quello da lui descritto come una miscela contraddittoria di pensiero educativo, “freudiano, scientifico e progressivo” (Rogers e Sanford, 1985, pag.1374).
Dopo il Teacher’s College Rogers lavorò per dodici anni a Rochester, New York, al Centro per la Guida del Fanciullo, di cui presto divenne amministratore e psicologo praticante.
Cominciò a scrivere articoli e svolse un’azione a livello nazionale. Il suo libro “Il trattamento clinico del bambino problematico” fu pubblicato nel 1939 e gli venne offerto un insegnamento di psicologia nell’Università Statale dell’Ohio.
Una volta nell’Ohio, in un clima di grande entusiasmo, nel crescente numero di studenti che sceglievano di lavorare con lui, Rogers cominciò ad insegnare modi nuovi per aiutare i bambini problematici ed i loro genitori.
Nel 1940 Rogers insegnava un illuminato insieme di metodi per il trattamento dei bambini, descritto nell’opera “The Clinical Treatment of the Problem Child”.
Dal suo punto di vista, questo approccio rappresentava la direzione comune in cui ci si stava muovendo ed era evolutiva anziché rivoluzionaria. Il processo clinico cominciava con una valutazione, comprendente la somministrazione di test ai bambini ed interviste ai genitori, ed i risultati della valutazione fornivano le basi per un piano di cura. Una volta in cura, si seguivano principio non direttivi.
Le opinioni di Rogers divennero poi più radicali. La sua conferenza, tenuta all’Università del Minnesota, l’11 dicembre 1940, intitolata “Alcuni Concetti Innovativi in Psicoterapia”, è l’evento simbolo con il quale si può identificare la nascita della Terapia Centrata sul Cliente.
Rogers decise di diffondere questa concezione in un libro intitolato “Counseling and Psychotherapy”, più di un terzo del quale consisteva nella trascrizione alla lettera della registrazione delle otto sedute di un caso clinico.
Il libro descrive il processo generale in cui il cliente comincia con una situazione conflittuale ed un predominio di atteggiamenti negativi, e si muove verso l’intuizione, l’indipendenza ed atteggiamenti positivi.
Rogers formula l’ipotesi che il terapeuta promuova tale processo evitando i consigli e le interpretazioni e mediante il riconoscere, il prendere in considerazione ed accettare i sentimenti del paziente.
Questo nuovo modo di fare consulenza psicologica e psicoterapia è stato affiancato da varie ricerche, la prima delle quali (Porter, 1943) ha dato inizio a tutta una serie di dissertazioni accademiche pionieristiche sul processo ed i risultati della psicoterapia.
In un tempo molto breve, era nato un approccio completamente nuovo così come lo era il campo della ricerca in psicoterapia.
Questo approccio e le relative ricerche hanno fatto sì e la psicoterapia potesse venire considerata una importante funzione degli psicologi clinici.
Dopo avere svolto l’incarico di Direttore dei Servizi Consulenza per le “United Service Organizations”, durante seconda guerra mondiale, Rogers divenne professore di psicologia all’Università di Chicago e poi direttore del Centro Consulenza Psicologica della stessa Università.
I dodici anni in cui Rogers rimase a Chicago furono un periodo di grandissima crescita della Teoria Centrata sul Cliente, della sua filosofia, della pratica, della ricerca, delle applicazioni e implicazioni.
Nel 1957 Rogers pubblicò uno scritto classico sulle “Condizioni Necessarie e Sufficienti”, in cui alla congruenza e considerazione positiva incondizionata veniva aggiunta l’empatia, e così venivano costituite le tre condizioni essenziali per il cambiamento.
A questo seguì una rigorosa teoria della psicoterapia, della personalità e delle relazioni interpersonali (Rogers, 1959, b).
La filosofia di Rogers sulla natura “squisitamente razionale del comportamento e della crescita degli esseri umani venne ulteriormente elaborata e connessa al pensiero di Kierkegaard, Maslow ed altri. La pratica della Terapia Centrata sul Cliente venne sia approfondita che ampliata, così che, nei casi di maggiore durata, ne conseguiva un approfondimento dell’esplorazione personale. Inoltre, all’interno della relazione terapeutica, il terapeuta veniva maggiormente “apprezzato” come persona.
La ricerca in psicoterapia, iniziata nell’Ohio, continuò con ricerche di Godfrey T. Barret-Lennard (1962), Jonh Butler e Gerard Haigh (1954), Desmond Cartwright (1957), Eugene Gendlin (1961), Nathaniel Raskin (1952), Julius Seeman (1959), Jonh Shlien (1964), Stanley Standal (1954 ) ed altri.
All’Università dell’Ohio si era cominciato a pensare che principi della Psicoterapia Centrata sul Cliente potessero avere applicazioni al di fuori del setting terapeutico.
A Chicago questo divenne più evidente, anche in seguito all’aumento di influenza degli studenti e dello staff del Centro di Consulenza.
La metà circa del libro di Rogers “Client Centered Therapy” (1951) fu dedicato alle possibili applicazioni della Terapia Centrata sul Cliente e conteneva capitoli aggiuntivi sulla terapia di gioco, la terapia di gruppo, le funzioni di guida e di amministrazione.
Nel 1957 Rogers accettò una cattedra in psicologia e psichiatria all’Universìtà del Wisconsin. Con la collaborazione di associati e laureati impiantò un grosso progetto di ricerca basato sull’ipotesi che l’Approccio Centrato sulla Persona poteva essere efficace con gli schizofrenici ospedalizzati (Rogers, Gendlin, Kiesler, Truaux, 1967)
Dalla raccolta, analisi e valutazione di un numero considerevole di risultati emersero abbastanza chiaramente due conclusioni:
- I clienti che avevano ottenuto i migliori risultati erano quelli che avevano sperimentato il più alto grado di accurata empatia;
- Il giudizio sulla relazione terapeutica dato dal cliente era meglio correlato con il successo o il fallimento della terapia, rispetto al giudizio dato dal terapeuta.
4.3 Stato attuale
Nel 1964 Rogers lasciò l’Università del Wisconsin e 1’insegnamento universitario a tempo pieno ed andò a vivere a La Jolla, in California; per quattro anni fu “membro residente” al “Western Behavioral Sciences Institute”.
Dal 1968 fu al “Center for Studies of the Person”.
Nei due decenni e più passati in California, Rogers scrisse libri sull’Approccio Centrato sulla Persona, applicato all’insegnamento ed all’educazione, sui gruppi di incontro, sul matrimonio ed altre forme di “partnership”, e sulla “rivoluzione silenziosa” che doveva emergere da un nuovo tipo di persona “che ritrova il proprio potere”.
Rogers riteneva che tale rivoluzione contenesse il potenziale per cambiare “l’essenza stessa della psicoterapia, il matrimonio, l’educazione, l’amministrazione e la politica” (Rogers, 1977).
Questi libri si fondavano su osservazioni ed interpretazioni di centinaia di esperienze individuali e di gruppi.
Un marcato interesse di Rogers e collaboratori si concentrò anche sull’estendere l’Approccio Centrato sulla Persona alla risoluzione dei conflitti internazionali. Questa attenzione si estrinsecò in viaggi in Sudafrica, nell’Europa dell’Est ed in Russia, oltre che in incontri fra cattolici e protestanti irlandesi e con rappresentanti di nazioni coinvolte nei conflitti dell’America Centrale (Rogers e Ryback, 1984).
Oltre ai libri di Rogers, un notevole numero di filmati e video-cassette ha fornito dati per la ricerca sull’ipotesi fondamentale dell’Approccio Centrato sulla Persona, cioè che gli individui ed i gruppi che abbiano goduto di empatia, congruenza e considerazione positiva incondizionata attraversino un processo costruttivo di cambiamento autodiretto.
La fiducia dell’Approccio Centrato sulla Persona è oggi estesa a livello internazionale. Questo si rileva in molti modi:
- L’Approccio Centrato sulla Persona è divenuto un importante orientamento per la pratica della psicoterapia in Giappone, Germania, Svizzera, Italia ed altri Paesi europei.
- Fin dagli inizi degli anni settanta, Charles Devonshire, Alberto Zucconi ed altri hanno iniziato programmi di formazione centrati sulla persona per psicologi, insegnanti, medici ed operatori sociali in tutta Europa.
- Reinhard Tausch (1978), Germain Lietaer (1981) e Godfrey T.Barret-Lennard (1986) hanno organizzato e diffuso gli scritti le ricerche sull’Approccio Centrato sulla Persona a livello internazionale.
- Il presupposto di base di Rogers, la fiducia nella fondamentale positività della natura umana e nelle sue capacità autodirezionali, hanno influenzato i popoli di ogni continente e gli scritti di Rogers sono stati tradotti e diffusi nel mondo intero.
- Vi è una partecipazione internazionale nelle attività centrate sulla persona attraverso un programma di formazione per facilitatori, noto come “La Jolla Program” e mediante un workshop interculturale organizzato annualmente.
- Convegni internazionali sull’Approccio Centrato sulla Persona hanno avuto luogo a Oaxtepec (Messico), Norwich (Inghilterra) ed a La Jolla, California.
Due convegni della Associazione per lo sviluppo dell’Approccio Centrato sulla Persona hanno avuto luogo a Chicago e New York, rispettivamente nel 1986 e nel 1988, con una partecipazione internazionale. - Un appassionato interesse per la pace e per la risoluzione dei conflitti internazionali appare negli incontri di Rogers con gli Irlandesi, cattolici e protestanti, nelle sue visite in Sud Africa ed in Unione Sovietica, negli workshop interculturali tenutisi in Brasile, Irlanda ed Ungheria, nonché in un workshop centrato sulla persona su “La Sfida del Centro America” (Rogers, 1986 e).
- La “Person Centered Review”, una rivista internazionale di ricerca, teoria e pratica, è stata fondata da David Cain nel 1986. La metà dei ventiquattro membri del comitato editoriale risiede fuori dagli Stati Uniti.
A partire dal 1980, quando un gruppo chiamato “Carl Rogers e collaboratori” si formò per incrementare la teoria e la pratica dell’Approccio Centrato sulla Persona, sono sorte numerose istituzioni per portare avanti questo orientamento.
La Rivista Centrata sulla Persona è una espressione di tale diffusione, così spiegata da Rogers nel primo numero:
“Mi sono sempre opposto alla istituzionalizzazione di una Scuola Centrata sul Cliente, alla fondazione di Istituti, alla garanzia di attestati di aver frequentato corsi, alla definizione dei livelli per l’appartenenza. Nonostante le buone intenzioni, tale istituzionalizzazione porta quasi inevitabilmente ad una mentalità sempre più ristretta, rigida, burocratica … “.
“Vi è un secondo elemento da considerare…l’approccio enfatizza i valori condivisi e nello stesso tempo incoraggia l’unicità…, incoraggia gli individui a sviluppare il proprio personale ed esclusivo modo di essere, il proprio modo di realizzare questa filosofia condivisa”.
“Questi due fattori, il mio rifiuto di istituzionalizzare e la natura paradossale dell’approccio, stanno a significare che l’impatto della mia opera è andato oltre il campo psicologico”.
“In molte nazioni numerose persone, terapeuti, insegnanti, gente di affari, medici, operatori sociali, ricercatori, consulenti familiari, religiosi, dimostrano grande interesse per l’Approccio Centrato sulla Persona e per il suo sviluppo. Troppo spesso tali persone lavorano da sole e si sentono sole… per questo la nuova “Person Centered Review” contribuirà a collegare la rete di comunicazioni già esistente. La rivista può essere veicolo di nuove idee, metodi innovativi, critiche serie, nuovi modelli di ricerca e pensiero integrativo, sia filosofico che teorico” (Rogers, 1986 b, pp. 3-5) [2].
5. Teoria della personalità.
Rogers passò da un atteggiamento apertamente negativo, verso la teoria psicologica, allo sviluppo di una rigorosa “teoria della psicoterapia, della personalità e delle relazioni interpersonali” (Rogers 1959 b).
Da una parte questo sta a significare un cambiamento nella sua concezione della teoria, dall’altra questa formulazione può essere intesa come una evoluzione logica di quanto in Rogers si trova in germe fin dalla sua infanzia: il suo interesse per la natura e per la crescita dei suoi elementi ed il piacere da lui provato nel vedere l’ordine sottostante ai processi naturali.
La sua fiducia nell’importanza degli atteggiamenti coscienti del bambino verso se stesso ed il proprio Sé ideale, è stato fondamentale nell’elaborazione del suo test di personalità per bambini (Rogers, 1931).
Il processo di crescita del cliente mediante un processo di diminuzione di un atteggiamento difensivo e di ampliamento dell’area della consapevolezza autodiretta è stato descritto da Rogers in un saggio sui processi della psicoterapia (Rogers, 1940), opera all’interno della quale Rogers parla di un graduale riconoscere ed accettare il proprio Sé reale, sia con gli aspetti infantili, aggressivi, ambivalenti, che con quelli più maturi.
Quando i dati sui cambiamenti di personalità nella psicoterapia cominciarono ad accumularsi rapidamente, mediante le analisi obiettive dei colloqui registrati, Rogers trovò conferma alla propri convinzione che, nonostante alcuni risultati negativi, i fatti gli erano sempre favorevoli.
Come Presidente uscente della l’American Psychological Association, Rogers trasse queste conclusioni: “La Terapia Centrata sul Cliente ci ha portato a ricercare nel campo fenomenologico del cliente la base per capirlo veramente. Nel cercare di entrare nel suo mondo interiore noi ci troviamo in posizione di vantaggio per capire le dinamiche della personalità.
Ci accorgiamo che il suo comportamento diviene più comprensibile, se messo in relazione al suo modo di vedere la realtà.
Scopriamo che il modo in cui la persona si vede e le percezioni che non osa assumere come proprie, sembrano essere in relazione con la pace interiore in cui risiede il senso di benessere. Scopriamo… una capacità di ristrutturare e riorganizzare il Sé e di conseguenza una riorganizzazione del comportamento che ha profonde implicazioni sociali.
Consideriamo queste osservazioni e le formulazioni teoriche che esse ispirano come un nuovo e ricco contributo allo studio ed alla ricerca in vari campi psicologici” (1947, pag. 368).
Rogers estese le sue osservazioni fino a formulare una teoria della personalità e del comportamento descritta nel suo libro “Client Centered Therapy” (1951).
Questa teoria si basa su diciannove presupposti:
- Ogni individuo si trova al centro di un mondo di esperienze continuamente mutevoli.
- L’organismo reagisce all’ambiente secondo il modo in cui questo viene da lui percepito e sentito. Questo campo percettivo costituisce la “realtà” dell’individuo.
- L’organismo reagisce a questo campo fenomenologico come un tutto organizzato.
- L’organismo ha la tendenza fondamentale a realizzarsi, conservarsi e migliorarsi.
- Il comportamento è fondamentalmente il tentativo finalizzato dell’organismo di soddisfare propri bisogni come li sente, nell’ambiente come esso viene percepito.
- Le emozioni accompagnano e facilitano tale comportamento finalizzato. L’emozione è connessa alla fase di perseguimento di qualcosa, mentre, al polo opposto si trova il comportamento di soddisfazione dei bisogni, e l’intensità dell’emozione si trova in relazione al significato percepito che un comportamento ha per il mantenimento ed il miglioramento dell’organismo.
- Il punto migliore per capire un comportamento si trova all’interno del quadro di riferimento dell’individuo stesso.
- Una porzione del campo percettivo totale comincia gradualmente a differenziarsi, così come avviene per il Sé.
- La struttura del Sé si forma sulla base delle interazioni ambientali, in particolare come effetto della interazione valutativa con gli altri. Essa è una forma concettuale organizzata, fluida ma coerente, di percezioni delle caratteristiche e delle relazioni dell’Io e del Sé, insieme con i valori annessi a questi concetti.
- I valori attribuiti all’esperienza ed i valori facenti parte della struttura del Sé, in alcuni casi sono valori sperimentati direttamente dall’organismo ed in alcuni altri sono valori introiettati o assunti da altri, ma percepiti in maniera distorta, come se essi fossero stati sperimentati direttamente.
- Le esperienze che accadono nella vita di un individuo vengono:
- simbolizzate, percepite ed organizzate in relazione al Sé;
- ignorate in quanto non se ne percepisce alcuna relazione con la struttura del Sé;
- se ne rifiuta la simbolizzazione o se ne dà una simbolizzazione distorta, perché l’esperienza non è congruente con la struttura del Sé.
- La maggior parte dei modi di comportamento adottati dall’organismo sono quelli che rientrano nel concetto di sé.
- Il comportamento può, in alcuni casi, derivare da esperienze organismiche e da bisogni che non sono stati simbolizzati. Tale comportamento può essere incongruente con la struttura del Sé ma in tali casi il comportamento non è sentito come “proprio” dall’individuo.
- Si ha disagio psicologico quando l’organismo nega la consapevolezza ad esperienze sensoriali e viscerali significative che, di conseguenza, non vengono simbolizzate ed organizzate nella configurazione generale della propria struttura del Sé. Quando si dà tale situazione vi è la base per una potenziale tensione psicologica.
- Si ha benessere psicologico quando il concetto di Sé è tale che tutte le esperienze sensoriali e viscerali dell’organismo sono o possono essere assimilate, a livello simbolico, in armonia col concetto di Sé.
- Ogni esperienza dissonante con la organizzazione o la struttura del Sé, può essere percepita come una minaccia e più vi sono tali percezioni, più la struttura del Sé, per mantenersi, si struttura in modo rigido.
- In alcune situazioni, ivi compresa innanzitutto quella in cui non vi è alcuna minaccia alla struttura del Sé, anche esperienze con essa dissonanti possono entrare nella sfera della consapevolezza e venire esaminate, ed in tal caso la struttura del Sé si modifica per potere assimilare e contenere tali esperienze.
- Quando l’individuo percepisce ed accetta, in un sistema egosintonico ed integrato, tutte le proprie esperienze sensoriali e viscerali, aumenta anche la sua capacità di capire gli altri e di accettarli come individui separati.
- Man mano che l’individuo percepisce ed accetta nella propria struttura del Sé un parte maggiore delle proprie esperienze organismiche, si accorge che sta rimpiazzando l’attuale sistema di valori, così ampiamente basato su introiezioni simbolizzate in modo distorto, con un processo valutativo organismico (pp.481-533).
Rogers sottolinea che questa teoria è fondamentalmente di tipo fenomenologico e si basa sul concetto del Sé come costrutto esplicativo.
Per Rogers il punto di arrivo dello sviluppo della personalità consiste nella congruenza fra il campo fenomenologico dell’esperienza e la struttura concettuale del Sé, una condizione che, se raggiunta, rappresenterebbe liberazione da tensioni ed ansia, sarebbe cioè il massimo per un adattamento realisticamente orientato e significherebbe che si è formato un sistema di valori individualizzato, avente considerevole identità con il sistema di valori di ogni altro essere umano ugualmente ben adattato (pag. 532).
Questi presupposti di base sono stati ulteriormente approfonditi al Centro di Consulenza Psicologica dell’Università di Chicago nei primi anni cinquanta, mediante ricerche accuratamente preparate e controllate sui cambiamenti di personalità nel corso della psicoterapia.
Per misurare i cambiamenti nel concetto di Sé e nel Sé ideale, durante e dopo la terapia ed in un periodo di controllo, è stata usata la tecnica Q. di Stephenson.
Molti risultati confermarono le ipotesi di Rogers: nel corso della terapia aumentava la concordanza fra il Sé-reale ed il Sé-ideale e gli individui percepivano un migliorato senso di benessere psicologico (Rogers e Daymond,1954).
La teoria della personalità di Rogers è stata definita “orientata verso la crescita” piuttosto che evolutiva. Anche se questo è esatto, non tiene conto della grande sensibilità di Rogers verso lo stato d’animo dei bambini fin dalla prima infanzia.
Mentre io sono stato affascinato dalla diffusione orizzontale dell’Approccio Centrato sulla Persona, in tante aree della vita, altri hanno avuto maggiore interesse in senso verticale e stanno scoprendo il profondo valore della cura del “bambino”, durante tutto il processo del parto, come di una persona che dovrebbe essere capita, le cui espressioni dovrebbero essere considerate con rispetto, e col quale si dovrebbe comunicare in modo empatico.
Questo è un nuovo e stimolante contributo di Frederick Leboyer, un ostetrico francese il quale “ha assistito al parto di almeno un migliaio di bambini in un modo che non si può che chiamare centrato sulla persona” (Rogers, 1977, pag. 31).
Rogers descrive la grande sensibilità del bambino alla luce ed ai suoni, la delicatezza della sua pelle, la fragilità della testolina, lo sforzo per respirare, ecc. ed i modi specifici in cui Leboyer ha insegnato a genitori ed operatori ad offrire un’esperienza iniziale di vita piena di cure, amore e rispetto.
Questa attenzione ai bambini è stata ulteriormente espressa da Rogers nella spiegazione del suo quarto presupposto “l’organismo ha una tendenza fondamentale a realizzare, mantenere e sviluppare ciò che esperimenta dentro di sé”:
“L’intero processo di sviluppo può essere simbolizzato ed illustrato dal modo in cui il bambino impara a camminare.
I primi passi implicano uno sforzo e talvolta anche farsi male. È spesso vero che I’ immediata soddisfazione di fare pochi passi non è in alcun modo paragonabile col dolore della caduta e dei bernoccoli. Può darsi che il bambino, causa il dolore provato, ritorni per un certo tempo ad andare carponi. Tuttavia, la tendenza alla crescita è più forte del vantaggio di rimanere infantile. I bambini crescono, nonostante le esperienze dolorose che questo implica.
Allo stesso modo essi diventeranno indipendenti, responsabili, capaci di autogestirsi e socializzati, nonostante la sofferenza che spesso si accompagna a questi passi. Anche quando, per vari motivi, non sembrano crescere, questa tendenza è presente. Una volta che il bambino venga messo chiaramente in condizioni di poter scegliere tra progredire e regredire, la tendenza alla crescita si renderà operante” (Rogers, 1951, pp. 490-491).
Un’ipotesi di Rogers sulla personalità (presupposto 8) è che una parte del mondo privato del fanciullo, nel suo formarsi, venga riconosciuta come “Sé”, “Io” oppure “se stesso”.
Rogers descrisse come i bambini, nell’interagire con l’ambiente esterno, si formino il proprio concetto di Sé, dell’ambiente e di sé in relazione all’ambiente.
Le successive supposizioni di Rogers sono fondamentali per la sua teoria di come lo sviluppo può procedere verso il benessere o verso il malessere.
Egli ritiene che i bambini molto piccoli effettuino una “valutazione organismica diretta”, con pochissima o nessuna incertezza. Hanno esperienze del tipo “Ho freddo e non mi piace”, oppure “Mi piace essere tenuto in braccio”, il che può accadere nonostante essi manchino di parola o simboli per questi esempi.
Nel corso di questo processo naturale, il bambino valuta positivamente esperienze da lui percepite come migliorative di sé e negativamente quelle percepite come minacciose o sfavorevoli alla sua sopravvivenza.
Questa situazione cambia quando i bambini cominciano ad essere valutati da altri (Holdstock e Rogers, 1983). L’amore che ricevono e l’essere considerati amabili dipendono dal loro comportamento. Picchiare oppure odiare un fratellino può derivare dal sentirsi dire che si è cattivi e non si merita amore. Il bambino, pur di conservare un concetto di sé positivo, può deformare l’esperienza:
“È in questo modo… che gli atteggiamenti dei genitori non solo vengono introiettati, ma … vengono vissuti in modo distorto, in base a quanto viene provato a livello sensoriale e viscerale. Può quindi avvenire che l’espressione della rabbia sia ritenuta cattiva, anche se una simbolizzazione più accurata sarebbe che la rabbia è spesso soddisfacente e migliorativa.
Il Sé che si forma su questa base di distorsione dell’evidenza sensoriale e viscerale, per adattarsi alla struttura già presente, acquista un’organizzazione ed integrazione che l’individuo cerca di mantenere” (Rogers, 1951 pp 500-501).
Questo tipo di interazione potrebbe gettare semi di confusione e dubbio sul Sé, sul valore da attribuire alla disapprovazione e al bisogno di approvazione. Secondo Rogers, tutto questo si può evitare se il genitore accetta i sentimenti negativi del bambino ed il bambino stesso, nel suo insieme, pur non permettendogli certi comportamenti, come, ad esempio, colpire il fratellino.
6. Concetti specifici.
Nella esposizione della teoria della personalità e del comportamento di Rogers, appaiono vari termini e concetti, che spesso hanno un significato specifico e caratteristico di questo orientamento.
6. 1 Esperienza.
Esperienza si riferisce al mondo interiore dell’individuo.
In ogni momento, parte di questo è conscio. Molto è presente alla consapevolezza, come la pressione della penna sulle dita mentre scriviamo. Parte può essere difficile da portare alla consapevolezza, come il considerarsi una persona aggressiva.
Anche se la consapevolezza di tutto il proprio mondo esperienziale può essere limitata, ogni individuo è il solo a poterla conoscere completamente.
6. 2 Realtà.
“In ambito psicologico la realtà è fondamentalmente il mondo delle percezioni individuali, nonostante in ambito sociale per realtà si intenda l’insieme delle percezioni che vari individui hanno in comune” (Rogers, 1951, p. 485).
Due persone ad esempio possono concordare sul fatto che una donna sia dedita alla politica. Tuttavia, l’uno può vederla come una persona buona che vuole aiutare gli altri e, basandosi su questa propria realtà, le darà il voto. Per l’altra persona la realtà potrebbe essere che i politici stanziano denaro per essere eletti, e voterà, quindi, contro di lei.
Nel corso della psicoterapia i sentimenti e le percezioni possono cambiare: il cliente può iniziare la terapia presumendo che il terapeuta sia interessato soprattutto ai soldi, nel corso della terapia può modificare questa sua realtà e percepire il terapeuta come uno che si prende cura di lui.
6.3 L’organismo reagisce come un tutto organizzato.
Una persona potrebbe avere fame ma, dovendo finire un lavoro, può decidere di saltare il pasto. Nel corso della psicoretapia i clienti spesso individuano che cosa è più importante per loro e modificano il proprio modo di comportarsi in vista delle nuove mete identificate. Un uomo politico, ad esempio, potrebbe decidere di non perseguire troppo il successo considerando la vita familiare più importante della carriera.
6.4 La tendenza dell’organismo alla propria realizzazione.
Questo è un concetto fondamentale negli scritti di Kurt Goldstein, Hobart Mowrer, Harry Stack Sullivan, Karen Horney e Andras Angyal, per citarne solo alcuni. Lo sforzo del bambino per imparare a camminare ne è un esempio.
Rogers e molti altri teorici della personalità sostengono che se c’è libertà di scelta ed assenza di pressioni esterne, gli individui preferiscono stare bene piuttosto che male; di essere indipendenti piuttosto che dipendenti, perseguire lo sviluppo ottimale dell’organismo anziché una situazione di stasi.
6.5 Lo schema di riferimento interno.
È il campo percettivo dell’individuo, è il modo in cui egli vede il mondo ed in cui dà significato alle proprie esperienze ed emozioni. Dal punto di vista “centrato sulla persona”, questo schema di riferimento interno fornisce la spiegazione del comportamento degli individui e si differenzia dalle valutazioni del comportamento, degli atteggiamenti e della personalità provenienti dall’esterno.
6.6 Il Sé, concetto di Sé, struttura del Sé.
“Questi termini si riferiscono all’insieme concettuale, coerente, organizzato della percezione e delle caratteristiche dell’Io o Sé e della percezione delle relazioni dell’Io o Sé con gli altri e con i vari aspetti della vita, assieme ai valori annessi a tale percezione.
È un insieme di cui si può divenire consapevoli, ma di cui non necessariamente si è consapevoli. È un processo fluido e mutevole, ma ad ogni preciso momento … è, almeno parzialmente, definibile in termini operazionali” (Meador e Rogers, 1948, pag. 158).
6.7 Simbolizzazione.
Questo è un processo mediante il quale l’individuo prende coscienza di un’esperienza. Vi è una tendenza a rifiutare la simbolizzazione di esperienze dissonanti con il concetto di Sé; per esempio, individui che si ritengono sinceri, tendono a resistere dal simbolizzare una menzogna. Esperienze ambigue tendono ad essere armonizzate col proprio concetto di Sé.
Un individuo con scarsa fiducia in sé potrebbe credere che un uditorio silenzioso sia privo di interesse, uno che abbia fiducia in se stesso, potrebbe crederlo attento ed interessato.
6.8 Benessere e malessere psicologico.
Quest’ultimo aspetto si riferisce alla congruenza o meno fra quanto un individuo sente a livello sensoriale e viscerale ed il suo concetto di Sé. Un concetto di Sé che comprenda elementi di debolezza ed imperfezione favorisce la simbolizzazione di esperienze di fallimento L’assenza del bisogno di negare o distorcere tali esperienze consente il benessere psicologico.
6.9 Processo di valutazione organismico.
Si tratta di un processo continuo nel quale gli individui effettuano valutazioni basandosi liberamente su quanto avvertono a livello sensoriale. Questo si distingue da un sistema fisso di valori introiettati caratterizzati dal “dover essere” e dal “dover fare” e da quanto è comunemente considerato giusto o sbagliato.
Il processo di valutazione organismico è congruente con l’ipotesi “centrata sulla persona” di una fiducia fondamentale nell’individuo e che, anche se i valori personali sono stabiliti dall’individuo stesso, essi hanno per effetto un grande senso di responsabilità sociale.
Il senso di responsabilità deriva dal fatto che le persone scelgono, sulla base della propria valutazione diretta delle situazioni, anziché secondo la paura del giudizio altrui o secondo insegnamenti esterni sul come pensare ed agire.
6.10 La persona pienamente funzionante.
Rogers ha definito persone pienamente funzionanti coloro che si basano sui processi di valutazione organismica e sono capaci di accettare i propri sentimenti senza averne paura, lasciando che la consapevolezza fluisca liberamente dentro e fuori dalle proprie esperienze.
Seeman (1984) ha collaborato ad un programma di ricerca venticinquennale per individuare e descrivere le caratteristiche di tali individui funzionanti in modo ottimale.
Questi studi empirici evidenziano come tali requisiti corrispondano ad un concetto di sé positivo, ad una grande affidabilità a livello fisico ed ad un efficace “uso” dell’ambiente.
7. Psicoterapia.
7.1 Teoria della psicoterapia.
Il presupposto di base della “Psicoterapia Centrata sulla Persona” è che, se il terapeuta riesce a comunicare genuinità, considerazione positiva incondizionata ed empatia, il cliente risponderà con cambiamenti costruttivi nell’organizzazione della propria personalità.
Le ricerche dimostrano che queste qualità si possono realizzare e venire apprezzate in un breve periodo di tempo.
Cambiamenti nella accettazione di sé, immediatezza di esperienza, modo diretto di relazionarsi e passaggio ad un punto di valutazione interno, possono realizzarsi in workshop intensivi brevi od anche in colloqui singoli.
Dopo un workshop di quattro giorni con psicologi, educatori ed altri operatori professionali, condotto da Rogers e Sandford a Mosca, i partecipanti hanno riferito le loro reazioni.
Una risposta tipica è stata la seguente:
“Sono passati solo due giorni dall’esperienza ed io ancora mi sento un partecipante. Io sono uno psicologo, non uno psicoterapeuta. Ero a conoscenza della teoria di Rogers, ma questo è stato un processo in cui eravamo coinvolti personalmente. Voglio comunicare molte mie impressioni. La prima è l’efficacia di questo approccio: è stato una specie di processo, nel quale tutti noi abbiamo appreso. In questo processo, pur senza un “motore”, ci si muoveva. Nessuno doveva stare alla guida, era il processo che evolveva da solo. Era come il racconto di Cecov, in cui si aspettava il suonatore di pianoforte ed il pianoforte cominciò a suonare da solo. Sono stato colpito dai modi di Carl e di Ruth. Inizialmente li sentivo passivi, poi mi sono accorto che era il silenzio della comprensione.
Desidero testimoniare quanto questo processo sia penetrato nel mio mondo interiore. Al principio mi sentivo un osservatore, poi questo finì. Non soltanto ero circondato da questo processo, ma ne ero assorbito! Per me è stata una rivelazione. Cominciammo a muoverci. Non stavo soltanto vedendo gente che conoscevo da anni, ma vedevo anche i loro sentimenti. Un’altra sensazione è stata di non riuscire a controllare il flusso delle emozioni, lo scorrere del processo.
Talvolta qualcuno esplodeva, o piangeva. È stata una ricostruzione del sistema di percezione.
Infine desidero notare la grande capacità di Carl e di Ruth, dei loro silenzi, delle loro voci, dei loro sguardi. Si trattava sempre di una risposta e ricevevano anche una risposta. È stato un grande fenomeno ed una grande esperienza” (Rogers, 1987, pp. 298-299).
Questo genere di esperienza contrasta con l’opinione di un Approccio Centrato sulla Persona come una forma di terapia senza pericoli, innocua ed improduttiva. Essa non soltanto è sicura, ma è anche efficace.
7.1.1 Empatia
L’empatia, nella Teoria Centrata sulla Persona, è un processo attivo, immediato, ininterrotto. Il consulente fa il massimo sforzo per entrare “sotto la pelle del cliente”, all’interno del suo mondo, e per immedesimarsi negli atteggiamenti espressi, piuttosto che osservarli soltanto, per cogliere ogni sfumatura della loro mutevole natura e lasciarsi assorbire completamente dagli atteggiamenti dell’altro.
A tal fine, se uno cerca di immedesimarsi nello stato d’animo dell’altro, non può farne la diagnosi o spingere il processo a progredire più rapidamente. Tale capacità di capire si acquista mediante un’attenzione intensa, continua ed attiva al sentimenti degli altri, escludendo ogni altra forma di attenzione” (Rogers, 1951).
L’accuratezza della comprensione empatica del terapeuta è stata spesso enfatizzata, ma è più importante l’interesse del terapeuta nell’apprezzare il mondo del cliente ed offrirgli tale sua comprensione con la disponibilità a venire corretto. Questo crea un processo in cui il terapeuta si accosta sempre più ai significati ed ai sentimenti del cliente, sviluppando un rapporto che si approfondisce sempre più, basato sul rispetto e sulla comprensione per 1’altro.
I terapeuti centrati sulla persona variano nella concezione del processo di comprensione empatica. Alcuni tendono a comunicare una comprensione soltanto di quello che il cliente desidera comunicare. A Rogers è sembrato giusto non soltanto chiarire i significati del quale il cliente è consapevole, ma anche quelli al di sotto del livello di consapevolezza.
Rogers insiste sul fatto che 1’empatia non è una tecnica di “riflessione dei sentimenti”, bensì un modo di essere in cui il terapeuta è profondamente immerso nel mondo esperienziale del cliente.
7.1.2. Considerazione positiva incondizionata
Altri termini per descrivere questa condizione sono calore, accettazione, interessamento non permissivo, apprezzamento.
“Quando il terapeuta prova un atteggiamento positivo, non giudicante, accettante verso il cliente, comunque egli sia in quel momento, il cambiamento terapeutico è più probabile. Questo implica che il terapeuta accetti il cliente in qualunque stato d’animo egli si trovi, confusione, risentimento, paura rabbia, coraggio, amore, orgoglio… Quando il cliente si sente accettato dal terapeuta in modo totale, anziché condizionato, un progresso terapeutico diviene molto probabile” (Rogers, 1986 a, pag. 198).
Le radici di questa condizione offerta dal terapeuta si trovano profondamente racchiuse nella storia di questo approccio, che già mezzo secolo fa è stato chiamato “terapia di relazione”:
“L’operatore non fa alcuno sforzo per portare il cliente a conclusioni od azioni, ma gli dà piuttosto la più piena opportunità di esprimere sentimenti abitualmente inibiti, e di vedere ed accettare se stesso con tutti i propri limiti. All’interno del rapporto l’individuo comprende come affrontare i problemi e come assumersi le proprie responsabilità. È all’interno di questo rapporto, con un operatore non critico e accettante, che il cliente persegue una crescita emozionale fino allora impossibile, in quanto, in altre condizioni, si poneva in atteggiamento difensivo” (Rogers, 1937, pag. 240).
7.1.3 Congruenza.
Rogers considera la congruenza come”la più basilare delle condizioni che promuovono la crescita… Essa non significa che il terapeuta deve comunicare al cliente tutti i propri problemi o sentimenti o esprimere impulsivamente qualunque cosa gli venga in mente. Significa, invece, che il terapeuta è in contatto con i propri sentimenti ed è pronto ad esprimere ogni emozione persistente all’interno di quel rapporto. Significa evitare la tentazione di nascondersi dietro una maschera di professionalità” (Rogers e Sandford, 1985, pag. 1379).
Conseguentemente, un modo efficace per fare fronte alla propria fatica è di esprimerla, questo rinforza il rapporto in quanto il terapeuta non cerca di tenere nascosto quello che sente. Questo può anche ridurre od eliminare la fatica e riportare il terapeuta ad uno stato di completa attenzione ed a una condizione di empatia.
7.1.4. Realizzazione delle condizioni terapeutiche.
Vi sono altre tre condizioni, in aggiunta a quelle offerte dal terapeuta, cioè empatia, congruenza e considerazione positiva incondizionata (Rogers 1957):
- Il cliente ed il terapeuta debbono essere in contatto psicologico.
- Il cliente deve trovarsi in uno stato di ansia, di vulnerabilità o di incongruenza.
- Il cliente deve ricevere e provare le condizioni offerte dal terapeuta.
Rogers descrive le prime due come precondizioni per la psicoterapia, la terza (il ricevere da parte del cliente le condizioni offerte dal terapeuta) è essenziale anche se talvolta la si trascura. Le ricerche sui risultati terapeutici dell’empatia, congruenza e considerazione positiva incondizionata, basate sulla valutazione esterna di queste variabili, convalida moderatamente tale ipotesi; se però le valutazioni provengono dai clienti stessi, la correlazione con il risultato è molto più forte. Orlinsky e Howard (1978) hanno passato in rassegna quindici studi che mettevano in relazione la percezione dell’empatia da parte dei clienti con il risultato, e hanno trovato che dodici suffragavano l’importanza fondamentale dell’empatia da essi percepita.
7.2. Il processo della psicoterapia.
La pratica della Psicoterapia Centrata sul Cliente evidenzia le differenze dalla maggior parte degli altri orientamenti.
La terapia inizia immediatamente, il terapeuta cerca di capire il mondo del cliente in qualunque modo egli cerchi di comunicarglielo.
Il primo colloquio non viene usato per fare un’anamnesi e per arrivare ad una diagnosi, per decidere se il cliente è adatto alla cura o per stabilire la lunghezza di essa.
Il terapeuta esterna subito il proprio rispetto per il cliente consentendogli di procedere come vuole.
Ascolta senza pregiudizi. Non ha un proprio programma.
È aperto sia ai sentimenti positivi che a quelli negativi, al parlare o al tacere.
La prima ora può essere la prima di cento o l’unica, sta al cliente determinarlo.
Se il cliente fa delle domande, il terapeuta cerca di riconoscere e di rispondere ai sentimenti sottostanti, di qualunque genere siano.
“Come posso fare ad uscire da questo guaio” può essere l’espressione del sentimento: “la mia situazione mi sembra senza speranza”. Il terapeuta comunicherà il riconoscimento e l’accettazione di questo stato d’animo.
Se la domanda è una richiesta di consigli, il terapeuta può rispondere che non ha risposte, ma spera di poter aiutare il cliente a trovarle. Vi è l’intenzione di stare col cliente nei momenti di confusione e disperazione.
Rassicurare e dare facili risposte non è di aiuto e dimostra mancanza di rispetto per il cliente.
Anche per stabilire la frequenza delle sedute, il terapeuta si attiene ai desideri del cliente. Il terapeuta deve tenere conto della propria disponibilità, ma si lascia guidare il più possibile dai tempi che sembrano adatti al cliente.
I terapeuti centrati sulla persona, generalmente, decidono assieme al cliente anche il prezzo e le modalità di pagamento. In una società orientata al denaro questa è un’area adatta, a dimostrare il rispetto per il cliente.
La considerazione viene dimostrata anche interpellando il cliente su possibilità quali terapia di gruppo o familiare, diversamente da terapeuti di altri orientamenti, che “mettono” il cliente in un gruppo o subordinano la psicoterapia al coinvolgimento dell’intera famiglia.
Questo non significa che al cliente sia permesso di dettare le modalità della terapia, ma serve per chiarire che il cliente è un interlocutore attivo nel deciderle.
Per molti aspetti il cliente viene esso stesso considerato l’esperto.
7.2.1 Un colloquio che illustra il processo della psicoterapia.
È sempre stato caratteristico dell’Approccio Centrato sulla Persona di illustrare i propri principi con colloqui registrati testualmente. Questo ha il vantaggio di descrivere l’interazione fra terapeuta e paziente in modo più esatto e di dare al lettore la possibilità di essere d’accordo o di dissentire dall’interpretazione dei dati.
Qui di seguito è riportato un colloquio dimostrativo tenuto da Rogers nel 1983. Causa limiti di spazio, la parte intermedia, pari ad un terzo dell’intero colloquio, è stata omessa. Gli asterischi indicano le parole non trascritte in quanto incomprensibili.
(T.= terapeuta, C.=cliente)
T.1: OK, credo di essere pronto. E lei è pronta?
C.1: Sì
T.2: Non so di cosa lei voglia parlare, ma io sono molto disponibile ad ascoltare. Abbiamo mezz’ora, spero che in questa possiamo arrivare a conoscerei il più profondamente possibile, ma non dobbiamo sforzarci per raggiungere uno scopo. Credo che questo sia quello che sento. Vuole raccontarmi qualunque cosa lei abbia in mente.
C.2: Ho molti problemi con mia figlia. Ha vent’anni, è all’Università, mi costa molto lasciarla andare e ho molti sensi di colpa verso di lei, ho proprio bisogno di starle attaccata.
T.3: Un bisogno di starle attaccata, e, in un certo senso se ne sente in colpa, è anche così.
C.3: In gran parte sì… inoltre è stata una vera amica per me ed ha riempito la mia vita…ed è molto duro… vi sono tanti vuoti ora che non è più con me.
T.4: Un certo senso di vuoto quando lei non c’è.
C.4: Sì. Sì. Io vorrei anche essere una madre capace di essere forte e dire, sa: “Vai e vivi la tua vita” ed a me fare questo riesce proprio difficile.
T.5: È molto difficile lasciare qualcosa che è stato tanto prezioso nella sua vita, ma anche qualcosa che, immagino, è stata fonte di pena, quando lei ha parlato di colpa.
C.5: Sì e so di avere un po’ di rabbia contro di lei per il fatto che non sempre ottengo quello che voglio. Ho aspettative che non trovano riscontro. E, oh, non sento di avere diritto a queste aspettative. Sa… è una figlia, non è mia madre, anche se talvolta vorrei che mi facesse da madre… per me è molto difficile chiederlo, anche se ne ho il diritto.
T.6: Così, anche se sembra irragionevole, quando sua figlia non capisce i suoi bisogni, la fa diventare matta.
C.6: Sì, sento una gran rabbia contro di lei… proprio tanta.
(pausa)
T.7: Immagino che in questo momento lei senta anche un po’ di tensione.
C.7: Sì. Sì, un grande conflitto …
T.8: Uhm, Hmm…
C.8: Molto dolore.
T.9: Molto dolore… può dire qualcosa di più su questo?
C.9: (sospiro) Io la cerco e lei si allontana da me e fa un passo indietro e si tira indietro, allora io sento me stessa come una persona davvero cattiva. Come un mostro, tanto che lei non vuole che io la tocchi e che la abbracci, come facevo quando era piccola.
T.10: Sembra come che ci sia un sentimento duplice. Parte di esso è: “Maledizione, ti voglio vicina”, l’altra parte è: “Oh mio Dio, che mostro sono io, a non lasciarti andare”.
C.10: Uhm, hmm. Sì… dovrei essere più forte. Dovrei essere una donna adulta e lasciare che questo accada.
T.11: Ma, invece, lei si sente come se fosse sua figlia.
C.11: Uhm, uhm… sì….. talvolta, quando la abbraccio, sento come se ne venissi abbracciata.
T.12: Uhm, uhm…Ma lei si aspetta molto da se stessa: “Io dovrei essere differente”.
C.12: Sì, dovrei essere più matura. Dovrei soddisfare i miei bisogni, in modo da non aspettarmi niente da lei.
T.13: Lei dovrebbe trovare altri modi ed altre fonti per andare incontro ai propri bisogni, ma, in un certo qual modo, non sembra che questo accada.
C.13: Bene, sento che molti dei miei desideri sono soddisfatti, ma il bisogno di lei è molto forte. Le aspettative che ho nei suoi confronti non hanno niente a che fare con quelle che ho per gli uomini.
T.14: Vi è qualcosa che vuole proprio da lei.
C.14: Uhm, uhm, sì, proprio da lei, (sospiro).
T.15: Quando si tira indietro è un’esperienza molto penosa.
C.15: Sì, questo fa proprio male, mi fa proprio male, (grande sospiro, pausa).
T.16: Sembra che questa sofferenza la stia sentendo proprio ora.
C.16: Sì, sento proprio come lei si ritira da me.
T.17: Uhm …uhm…uhm…uhm…
(pausa)
Il fatto che lei si ritiri indietro.
C.17: Sì, che se ne vada.
T.18: Se la sente come scivolare via e… fa male… e fa male…
C.18: Sì, è come me ne stessi qui sola. È come se sentissi che se ne è andata via ed io sono rimasta qui sola.
T.19: Uhm…uhm… lo sta sentendo proprio adesso che lei se ne sta andando e qui lei è tutta sola.
C.19: Sì, sì,sì, mi sento proprio sola (piange).
T.20: Uhm…uhm, sì capisco bene, non sola del tutto, ma sola rispetto a lei.
C.20: Sola rispetto a lei. Sì, sì (piange).
T.21: Non sono un buon terapeuta. Ho dimenticato di prendere i Kleenex, ma… credo di avere… (ride).
C.21: Grazie, (ride). Sento che potrei versare un milione di lacrime per questo. (ride).
T.22: Uhm…uhm, sembra che per questo le lacrime potrebbero scorrere all’infinito.
C.22: Sì, senza fine.
T.23: Questo lasciarla andare, lasciare che si tiri indietro è più di quanto lei riesca a fare.
C.23: Sì, sì, è molto duro andare avanti senza di lei, (piange).
T.24: Sembra quasi che questo sia il centro della sua vita.
C.24: È molto vicino a questo. Mio marito, i figli, la casa. Il mio lavoro, anche è importante, ma c’è qualcosa nel mio cuore che è legato a lei. (sospiro).
T.25: E il cuore le fa proprio male, perché lei se ne va.
C.25: Sì, sì, (piange, pausa). Oh, oh io non voglio proprio che se ne vada.
T.26: Voglio tenermela come figlia, come la mia bambina. Voglio potermela coccolare.
C.26: Sì, sì quella che posso coccolare, anche a lei piace.
T.27: Uhm…uhm
C.27: (piange) e poi sa, ho anche paura per lei. Mi fa paura che vada incontro a tutto quello che ho affrontato io e questo è molto penoso, vorrei risparmiarglielo.
T.28: Vorrebbe proteggerla dalla vita fuori e da tutto ciò che lei ha passato.
C.28: Sì, sì! È tutto il nuovo che ora i giovani stanno passando … è molto dura, lei lotta …
T.29: È un mondo duro.
C.29: Sì, molto duro.
T.30: E lei vorrebbe cercare di ammorbidirlo…
C.30: Sì di farglielo perfetto…
(La parte centrale del colloquio è omessa)
T.73: Questo significa che lei sente che nessuno la ama, nessuno la accetta.
C.73: No. sento che c’è chi mi ama e mi accetta, mi ascolta e mi apprezza. Ma c’è questo piccolo …
T.74: Quindi, la persona che non riesce ad amarla, accettarla ed apprezzarla è lei stessa.
C.74: Uhm…uhm… Sì, sono soprattutto io.
T.75: La persona che vede queste cose come imperdonabili è proprio lei.
C.75: Sì, sì, nessun altro è così duro verso di me.
T.76: Uhm…uhm… Nessuno potrebbe essere così crudele con lei o dare giudizi così terribili.
C.76: (sospira)
T.77: 0 odiarla tanto.
C.77: 0 odiarmi tanto. Sì!
T.78: Sembra che lei sia il giudice, la giuria e il carnefice.
C.78: Sì, il mio peggiore nemico.
T.79: Si dà una sentenza veramente dura.
C.79: Sì, sì. È così non sono buona amica di me stessa
T.80: No.
C.80: (silenzio).
T.81: Lei non è buona amica di se stessa. Uhm…uhm…
C.81: Uhm…uhm…
T.82: E lei non penserebbe di fare ad un amico quello che fa a se stessa.
C.82: Proprio così. Mi sentirei malissimo se trattassi qualcuno come tratto me stessa.
T.83: Uhm…uhm…uhm…
C.82: (silenzio) (pausa)
T.84: Perché per lei, se stessa, non è da amare.
C.84: Bene, c’è una parte di me che è da amare.
T.85: Bene, bene.
C.85: Sì.
T.86: Bene. Quindi, per alcuni aspetti lei si ama.
C.86: Sì. Amo e apprezzo quella parte di me bambina.
T.87: Uhm…uhm…
C.87: Quella che ha lottato ed è riuscita.
T.88: Uhm – Hmm.
C.88: Ed è sopravvissuta.
T.89: Uhm…uhm…
C.89: Moltissimo.
T.90: Uhm…uhm… Questa è una bambina davvero carina.
C.90: Sì, è proprio speciale.
T.91: Uhm…uhm…
C.91: È come mia figlia.
T.92: Uhm…uhm…
C.92: (sospira).
T.93: Ed è una figlia che si può tenere stretta.
C.93: Sì, sì, posso ancora coccolarla, dirle che è bella. Mi piace.
T.94: Ed è una sopravvissuta ed è forte, ne ha passate tante, ma sta bene.
C.94: Sì, sì: è proprio speciale.
(pausa)
T.95: Deve essere bello avere una persona così speciale nella propria vita.
C.95: Sì. Lo è. È bello. Sì. È molto bello.
T.96: Può prendere cura delle altre parti di lei.
C.96: Sto cominciando…
T.97: Lei sta cominciando a…
C.97: Sì.
T.98: Uhm – hmm.
C.98: Sta proprio cominciando.
T.99: Uhm…uhm…Non è così severa contro di lei quanto lo è il suo Sé adulto.
C.99: No questo è vero.
T.100: Uhm…uhm…
C.100: È molto più comprensiva. T.101: Uhm…uhm…
C.101: E indulgente.
T.102: Uhm – Hmm.
C.102: (sospira, pausa).
T.103: Sembra che la ami.
C.103: Sì. Mi dà tutto quell’amore incondizionato che mi sembrava di non ricevere.
T.104: Uhm…uhm…(pausa). Ed ama tutto di lei!
C.104: Sì, sì, ama tutto di me.
T.105: Per lei non vi è niente di imperdonabile.
C.105: No, va bene tutto.
T.106: Va bene tutto
C.106: Sì. (sospiro).(pausa)
T.107: A me piace.
C.107: Anche a me piace. (sospira) È quella che mi salverà.
T.108: Uhm
C.108: Mi salverà.
T.109: Ti salverà!
C.109: (ridendo) dal farmi ancora del male.
T.110: Uhm…uhm…(pausa) Può trattenerla dall’essere così dura verso se stessa. Può proprio salvarla.
C.110: Sì, penso che lo farà; lo farà; debbo soltanto aiutarla un poco.
T.111: Uhm…uhm…
C.111: Sento che è come se potessimo lavorare insieme… per la mia salvezza.
T.112: È una buona compagna, non è vero?
C.112: Sì. lo è (sospiro). È bello avere una amica.
T.113: Sì, uhm…uhm… Il fatto di avere dentro di sé una tale amica, la commuove davvero.
C.114: Sì è vero. Non se ne andrà mai.
T.115: Uhm…uhm…
C.115: Sarà sempre lì per me.
T.116: Uhm…uhm… Non si tirerà indietro e…
C.116: Non vorrà andarsene fuori nel mondo a fare le proprie cose… (ride )… se ne starà a casa con la mamma.
T.117: Uhm…uhm… E farà anche da mamma alla mamma. Uhm…
C.117: Sì, sì.(pausa, sospiro).
T.118: Che cos’è quel sorriso..
C.118: È che i vostri occhi brillano.
T.119: Anche i suoi brillano (ride, sospira).
Fine della registrazione [3].
7.2.2 Commento
Il colloquio illustra in forma concreta molti principi del processo della Terapia Centrata sulla Persona.
In T.2 Rogers chiarisce che egli lascia che la cliente parli di quello che vuole sentendosi a proprio agio.
Indica che può trattarsi di uno scambio profondo ma non necessariamente. T.1 e T.2 significano che Rogers è pronto ad entrare immediatamente in uno scambio da persona a persona, in cui egli sarà molto disponibile all’ascolto, qualunque cosa la cliente decida di dire.
In seguito le sue risposte sono sforzi coerenti per capire la cliente, comunicarle quanto ha compreso e verificare la propria comprensione dei sentimenti di lei. Esse mostrano come egli sia aperto a qualunque tipo di sentimenti la cliente verbalizzi.
In T. 6 riconosce un sentimento negativo: la rabbia.
In T. 10 risponde ad un misto di sentimenti di lei che vuole stare vicina a sua figlia e si sente un mostro a causa della reazione negativa di sua figlia.
In T.23 accetta il suo sentimento che le sue lacrime sono senza fine.
In T.85 e T.86 ed in molte risposte successive, comunica di riconoscere molti atteggiamenti positivi.
Le lacrime della cliente e le sue frequenti espressioni di autosvalutazione potrebbero fornire uno spunto per rassicurarla. Tuttavia, Rogers non lo fa, egli è un interlocutore affidabile nel capire e sta con lo stato d’animo della cliente mentre lei si vive i vari sentimenti negativi, la accompagna quando lei trova la forza di emergere da essi.
7.3 Meccanismi della psicoterapia.
Il colloquio contiene inoltre molti esempi del modo in cui il cambiamento e la crescita vengono facilitati nell’Approccio Centrato sulla Persona. Le parole dirette di Rogers, quando inizia il colloquio (T.1 e T.2), consentono alla cliente di iniziare spiegando il proprio problema e di cominciare il dialogo da un livello in cui si sente a proprio agio.
Rogers come non rassicura, così non fa domande. In risposta a C.2, egli non chiede da quanto tempo il problema si protrae, se lei ha altri figli, le condizioni del suo matrimonio o qualunque altra delle miriadi di domande che potrebbero costituire un contesto logico e la storia del caso in cui il problema emerge.
Rogers non si considera responsabile di arrivare ad un soluzione del problema, così come esso viene presentato, come pure non è lui a decidere se questo è il problema che verrà messo a fuoco nella terapia; neppure si assume la responsabilità di cambiare gli atteggiamenti della cliente.
Il terapeuta considera il cliente responsabile e lo rispetta.
In questo colloquio vi sono numerosi esempi di come la cliente abbia più chiara la propria visione del problema dopo che il terapeuta ha tenuto conto di quanto lei percepiva, lo ha incondizionatamente accettato e glielo ha comunicato, infatti:
- Il riconoscimento, da parte di Rogers, del bisogno dichiarato dalla cliente di aggrapparsi alla figlia (T.3), è seguito dal fatto che la cliente riconosce che sua figlia è stata “l’unica vera amica per me” (C.3).
- Il terapeuta valuta la difficoltà della cliente nel lasciare andare la figlia (T.5) e a questo fa seguito la rivelazione della rabbia verso la figlia perché “non sempre ottengo quello che voglio” (C.5). Il terapeuta accetta la rabbia così come viene espressa (T.6) e questo aiuta la cliente ad esprimere pienamente l’emozione (T.6).
- Il terapeuta continua a riconoscere tutti i sentimenti della cliente (T.7 e T.8) e questo la aiuta ad esprimere partecipare la sua grande sofferenza (C.8).
Il tipo di comunicazione fra cliente e terapeuta, che porta ad una costante espansione degli atteggiamenti, continua attraverso tutto il colloquio. Un altro risultato degno di nota è lo sperimentare l’emozione al momento, il che è diverso dal raccontare un’emozione passata. Questo viene fuori dallo scambio (T 15, C.15) e continua nelle lacrime (C. 20).
Nella terza parte, quella finale del colloquio, vediamo un altro risultato del modo empatico in cui il terapeuta comunica con la cliente. Ora è passata dalla figlia a se medesima come agente di maltrattamenti: “È vero, mi sentirei terribile se trattassi chiunque altro così come tratto me stessa” (C 82).
Il meccanismo dell’accettazione del terapeuta che porta al cambiamento dell’atteggiamento verso se stessi lo si è visto agire con efficacia in T.84 e C.84: “Perché per lei, lei non è da amare”, . “Bene vi è una parte di me che è da amare”. La cliente prosegue descrivendo questa parte come: “la parte di me bambina” (C 86), “Essa è proprio speciale” (C 90); paragona quella parte di sé a sua figlia (C 91) e vede che lei si può procurare da sola tutti quei sentimenti di affetto che non è riuscita ad avere da sua figlia (C. 93).
Il resto del colloquio chiarisce un rapporto reciproco in cui essa vede che una parte di sé che apprezza ed ama è anche affidabile come permanente fonte di appoggio.
Il colloquio esemplifica il meccanismo terapeutico dell’empatia affiancata dalla genuinità e dalla considerazione positiva incondizionata, modi di essere del terapeuta che aiutano la cliente a:
- Esaminare i propri problemi in un modo che sposta la responsabilità dagli altri a se medesima.
- Provare le emozioni nell’immediatezza dell’incontro terapeutico.
- Accettare aspetti di sé precedentemente esclusi dalla coscienza ed innalzare il livello generale di considerazione per se stessa.
Il cambiamento terapeutico comprende un misto di elementi cognitivi ed affettivi. L’integrazione di intelletto e sentimento avviene nel terapeuta e nel rapporto con la cliente.
Il terapeuta afferra il modo di percepire il mondo interiore e quello esterno da parte della cliente e lo fa con calore e genuino interessamento.
La cliente sta guardando ad alcuni degli aspetti più disturbati della propria vita e cambia il proprio modo di vedere gli altri e se medesima mentre nel contempo prova rabbia, dolore, solitudine, pianto, affetto, disgusto, tenerezza e compassione.
La soluzione che introduce verso la fine del colloquio (C 115) sarà sempre lì (quella parte di sé che non l’abbandonerà mai), tale soluzione può essere vista come la miscela terapeutica di volizione, cognizione ed affetto.
7.3. Una formulazione iniziale
In una relazione tenuta alla prima riunione della American Academy of Psychotherapists, nel 1956, Rogers (1959 a) presentò una “concezione Centrata sulla Persona” della essenza della psicoterapia. Egli espose il concetto di una molecola del cambiamento di personalità, ipotizzando: “La terapia è costituita da una serie di tali molecole, talvolta abbastanza serrate fra loro, tal altra intervallate, sempre con delle esperienze preparatorie in mezzo (p.52).
Rogers attribuiva quattro qualità a questo “processo”:
- È qualcosa che avviene in quel preciso contesto esistenziale. Non consiste nel pensare a qualche cosa, è un’esperienza di qualche cosa in quell’istante, all’interno del rapporto.
- È un’esperienza senza ostacoli o inibizioni o freni.
- La persona si sente consapevolmente dispiaciuta per se stessa nella misura in cui è realmente dispiaciuta; questa è un’esperienza ripetutasi molte volte nel suo passato ma che non è mai stata vissuta in modo completo. Nel passato l’ha sentita a livello organismico ma l’ha tenuta coperta.
- Questa esperienza ha la qualità di essere accettabile. Non è: “mi dispiace per me stessa e questo è biasimevole”; è invece un’esperienza del tipo: “il mio sentimento è di dispiacere per me stessa e questa è una parte accettabile di me” (pp.52-53).
Questo processo del cambiamento psicoterapeutico descritto da Rogers nel 1956, è paragonabile all’esperienza della cliente, appena discussa: essa ha una piena esperienza emozionale di una parte di sé, come di bambina amabile, ne era stata consapevole ma l’aveva anche offuscata. Ora essa sperimenta quella parte di sé ed accetta pienamente la bambina come parte di un Sé integrato. I suoi occhi ridenti e brillanti esprimono la grande emozione che accompagna questa gratificazione.
8. Applicazioni.
8.1 Problemi.
I terapeuti Centrati sulla Persona offrono le stesse condizioni fondamentali a tutti i propri clienti. Queste condizioni non consistono in test psicologici, anamnesi, od altre procedure che portino ad una diagnosi ed a un piano di cura.
Le etichette diagnostiche svalorizzano la persona del cliente, così come assumere un ruolo professionale sminuisce il terapeuta come persona. Il terapeuta non deve porsi come un esperto, Rogers lo ha affermato chiaramente:
“Siamo riusciti a riconoscere che se arriviamo a fornire comprensione del come il cliente appare a se stesso in quel momento, egli è in grado di fare il resto. Il terapeuta deve lasciare da parte l’atteggiamento e l’acume diagnostici, la tendenza a valutazioni professionali, deve abbandonare gli sforzi di formulare una prognosi accurata, deve abbandonare la tentazione di guidare sottilmente l’individuo e deve concentrarsi in un solo proposito: quello di fornire una comprensione profonda ed una accettazione degli atteggiamenti di cui il cliente è consapevole al momento, mentre, passo dopo passo, si addentra ad esplorare le aree pericolose che ha escluso dalla propria consapevolezza” (1946 p.420).
Una conseguenza di questo atteggiamento è che l’Approccio Centrato sulla Persona è stato usato con individui diagnosticati come psicotici o ritardati, così come con individui che cercavano soltanto un’esperienza dì crescita.
“James” era uno dei pazienti nello studio a Wisconsin (Rogers et alii 1967). Nel corso di una descrizione dettagliata di due interviste, con questo paziente, viene riportato un “momento di cambiamento” nel quale il guscio duro del paziente si era rotto di fronte al calore e all’interessamento del terapeuta ed egli effondeva il dolore delle sue ferite in singhiozzi angosciosi.
Questo seguiva ad un intenso sforzo da parte di Rogers (due colloqui alla settimana per la maggior parte dell’anno) per riuscire a raggiungere questo uomo di ventootto anni, i cui colloqui erano pieni di lunghi silenzi. Rogers, in seguito racconterà: “Noi eravamo in rapporto come due persone genuine… Nei momenti di incontro vero, le differenze di educazione, di status, di grado di disturbo mentale, non avevano importanza eravamo due persone in rapporto fra loro” (Rogers et alii, 1967, p. 411).
Otto anni più tardi, questo paziente telefonò a Rogers, gli riferì i suo successi nel lavoro, una stabilità generale nella sua vita ed espresse il proprio apprezzamento per la relazione terapeutica con Rogers (Meador e Rogers, 1984).
Quest’esperienza di psicoterapia evidenzia la natura di questo approccio: essere cioè più centrato sulla persona che sul compito.
Tutti hanno sentimenti, tutti amano essere capiti, e tutti tendono a conservare e migliorare il concetto di sé.
L’Approccio Centrato sulla Persona rispetta i vari modi in cui gli individui tendono a ciò. Per questa sua peculiarità l’approccio può essere particolarmente efficace con persone etichettate “diverse”.
Questo trascurare le “categorie” di appartenenza di una persona, è particolarmente evidente nell’applicazione dell’Approccio Centrato sulla Persona alla risoluzione dei conflitti a livello interculturale ed internazionale.
L’empatia viene offerta in eguale misura a cattolici e protestanti nell’Irlanda del Nord (Rogers e Ryback, 1984), ai negri oppressi ed ai bianchi aggressivi del Sud Africa (Rogers, 1986,c).
La risoluzione del conflitto viene favorita quando il facilitatore apprezza gli atteggiamenti ed i sentimenti delle parti opposte. Se i protagonisti raggiungono l’empatia, lo stereotipo che una parte vede nell’altra viene frantumato.
8.2 La valutazione.
Il cuore della valutazione, nella Psicoterapia Centrata sulla Persona, è il processo di valutazione del cliente: egli valuta se la terapia gli è utile ed i modi specifici in cui può servirsene.
Durante il corso della terapia, il cliente decide che cosa esprimere, quanto esplorare ogni tema, il livello di intensità emozionale, ecc…
L’estensione naturale di questa responsabilità centrata sul cliente è che è il cliente a decidere quando è il tempo di terminare la terapia. Mentre gli individui hanno in comune problemi, aspirazioni e sentimenti affini, le differenze fra clienti in quello che vogliono ed in quello che traggono dalla terapia sono enormi, e vanno dal semplice sollievo da un problema a notevoli cambiamenti nella organizzazione della personalità.
Poiché la teoria dello sviluppo della personalità nella Terapia Centrata sulla Persona è basata sul come il cliente sperimenta il cambiamento, vi è una lieve differenza tra le descrizioni del cambiamento date dai clienti e quelle date da terapeuti o da giudici esterni.
Victor Raimy (1948) tenne una conferenza sul concetto di Sé alla Università Statale dell’Ohio, basandosi sui riferimenti a se stessi, forniti dai clienti, nei colloqui di consulenza e sulla semplice analisi quantitativa dei cambiamenti riguardo l’approvazione di sé in quattordici serie complete di colloqui di consulenza psicologica.
Egli definì un “riferimento a se stessi” come un gruppo di parole del cliente che direttamente od indirettamente lo descrivono come egli appare ai propri occhi. Autovalutazioni di questo tipo sono state usate estensivamente negli “Studi paralleli”, progetto di analisi dei primi dieci casi completamente registrati al Centro di Consulenza Psicologica dell’Università di Chicago (Rogers e Raskin, 1949).
Rogers descrisse le proprie esperienze introducendo l’uso del Q-Sort:
“Nei miei primi dieci anni come psicoterapeuta tendevo a trascurare ogni pensiero sul Sé… sembrava così effimero. Un altro problema era che esso aveva significati molto diversi per le varie persone.
Ma i miei clienti mi indussero a prenderlo in considerazione. Spuntava così spesso nei colloqui terapeutici: “Io non riesco ad essere veramente me stesso”. “Credo interiormente di avere un Io solido, se potessi arrivarci”. ” Non riesco a capire me stesso”. “Con mia madre non mostro mai il mio vero io”. “Ho sempre paura che se svelo il mio vero Io troverò che non vi è nulla”. Chiaramente era importante trovare un modo di definire o di considerare il Sé, ma come?” (1986 d pag.1).
Rogers trovò una risposta nella tecnica Q-Sort di William Stephenson. Col metodo di Stephenson era possibile studiare qualunque soggetto per il quale si potesse generare un’ampia gamma di affermazioni descrittive.
Il soggetto scelto fu: “Il Sé come viene percepito dall’individuo”, con la rilevazione di frasi del tipo: “sono assertivo”, “mi sento inadeguato”, “sono una persona responsabile” ecc…
Un centinaio di tali frasi veniva classificato dal cliente in nove gruppi lungo un continuum da: “molto simile a me a “quasi per niente simile a me”.
Questo metodo consentiva descrizioni quantitative del “concetto di Sé” e correlazione fra il concetto di Sé percepito prima e dopo la terapia e tra il “Sé percepito” ed il “Sé ideale”, ecc…
Dopo la formulazione delle “condizioni necessarie e sufficienti per un cambiamento di personalità costruttivo” (Rogers 1957), molte ricerche furono rivolte alla misurazione dell’empatia, congruenza, considerazione positiva incondizionata e sui loro effetti sulla psicoterapia.
Agli inizi degli anni Settanta, la corrispondenza fra risultati e presenza delle condizioni-Centrate-sulla-Persona fu notevole (ßegin e Garfiel, 1971).
Alla fine degli anni Settanta alcuni ricercatori nel campo della psicoterapia conclusero che “l’efficacia e la generalizzabilità” dell’evidenza iniziale non erano così grandi come inizialmente si pensava (Mitchell, Borarth e Krauft, 1977).
Più di recente Patterson (1984) e Raskin (1985) hanno messo in dubbio queste critiche alle conclusioni iniziali.
Attraverso tutti questi sforzi si è giunti ad un notevole risultato: quando la misurazione delle condizioni offerte dal terapeuta è basata sulla percezione del cliente anziché su un giudizio esterno, la correlazione con il risultato è maggiore. Molta di questa ricerca ha utilizzato il: “Relationship Inventory” (Barrett -Lennard, 1986).
8.3 Altre aree delle relazioni umane
Il processo dell’Approccio Centrato sulla Persona è stato descritto in special modo nel contesto della psicoterapia individuale con adulti, il suo iniziale. L’allargarsi della destinazione del significato di “Centrato-sulla-Persona” fece sì che, trattandosi di principi generalizzabili, essi si estendessero ad altre aree delle relazioni umane.
8. 3. 1 La terapia del gioco.
L’esperienza clinica iniziale di Rogers si attuò all’interno di un Centro di Orientamento Infantile e la sua tesi di dottorato richiedeva la elaborazione di un test di personalità per bambini. Il libro che lo fece approdare all’Università Statale dell’Ohio è stato il “Trattamento Clinico del bambino problematico” (Rogers, 1939).
Rogers aveva nutrito una profonda ammirazione per “la terapia di gioco”, attuata da Jessie Taft alla Child Guidance Clinic di Filadelfia e rimase colpito soprattutto dalla sua capacità di accettare i sentimenti negativi verbalizzati o comunque espressi dal bambino, che aprivano la strada all’emergere di atteggiamenti positivi.
Una collaboratrice di Rogers, Virginia Axline, formulò una terapia del gioco, come metodo completo per il trattamento dei bambini. La Axline condivideva la profonda convinzione di Rogers sull’autodirezionalità e sull’autorealizzazione, inoltre si interessava con passione dell’aiuto dei bambini che avevano subito schock, inibiti, talvolta fatti oggetto di abusi. Cercava di capire come fare per sviluppare il coraggio di esprimere sentimenti lungamente soffocati e a provare la sensazione esaltante di potere essere se stessi.
Usava il gioco quando i bambini con le sole parole non riuscivano a superare gli ostacoli frapposti alla loro autorealizzazione. In aggiunta all’importante risultato di formulare il metodo della terapia de gioco non direttiva, Axline diede grandi contributi alla ricerca sulla terapia del gioco, sulla terapia di gruppo con i bambini e per la applicazione di questa nelle scuole e sulle relazioni fra genitori ed insegnanti oltre che fra insegnanti e amministratori.
Dimostrò anche l’importanza della terapia del giuoco fra i bambini che stentavano a leggere, per chiarire meglio la diagnosi di ritardo mentale in età infantile e per occuparsi dei conflitti razziali tra i bambini (Axline, 1947, Rogers, 1951).
8.3.2 Il processo del gruppo Centrato-sul-Cliente.
Nati come metodi di consulenza psicologica individuale negli anni quaranta, i principi centrati-sul-cliente cominciarono ad essere adottati nella terapia di gruppo, nell’insegnamento scolastico, in vari workshop, nello sviluppo delle organizzazioni e nei concetti di leadership, dieci anni più tardi.
La pratica della terapia individuale, l’insegnamento e la ricerca portarono allo sviluppo di una filosofia Centrata sulla Persona che influenzò tutte queste aree dei rapporti umani.
8.3.3. L’insegnamento scolastico.
A Columbus, quando Rogers stava iniziando ad esporre l’approccio non direttivo, accettò il ruolo dell’esperto che si occupava della struttura delle classi e dell’attribuzione dei giudizi agli studenti. A Chicago cominciò ad attuare una nuova filosofia che poi illustrò nel libro “Freedom to Learn”:
“Smisi di «fare l’insegnante», ma non era facile. Successe gradatamente, ma quando cominciai ad accordare fiducia agli studenti, mi accorsi che accadevano cose inaspettate nella comunicazione fra loro, nello studio dei contenuti del corso e nel loro svilupparsi come esseri umani in crescita.
La maggior parte di loro mi diede il coraggio di essere più liberamente me stesso e questo portò ad uno scambio profondo.
Mi raccontavano le loro emozioni, mi ponevano domande alle quali non avevo mai pensato. Cominciai ad avere idee nuove e stimolanti, eccitanti non solo per me, ma credo anche per loro.
Credo di avere passato un punto cruciale quando riuscii ad iniziare un corso con una affermazione un po’ simile a questa:
«Questo corso si intitola Teoria della personalità (o qualcosa di simile), ma sta a noi decidere cosa faremo di questo corso. Possiamo costruirlo attorno alle mete che vogliamo perseguire, all’interno di questa area molto generale, possiamo condurlo come vogliamo noi. Possiamo decidere assieme come gestire questi spauracchi degli esami e dei voti. Ho in mente molte idee e posso aiutare voi a trovarne altre. Sono anch’io una risorsa e sono disponibile per voi nella misura in cui voi lo desideriate. Ma questa è la nostra classe. Quindi, cosa vogliamo farne?».
Queste affermazioni volevano dire:
«Siamo liberi di imparare quello che vogliamo».
Questo rese il clima della classe totalmente diverso. Nonostante fino a quel momento non avessi mai pensato a formularlo in questo modo, allora io, da maestro ed esaminatore, divenni un facilitatore dell’apprendimento, lavoro molto diverso” (1983, p. 26).
Il cambiamento per Rogers non fu facile, né fu facile per gli studenti, abituati ad essere guidati. Sentirono il metodo dell’autovalutazione come strano e non gradito.
8.3.4 Il gruppo intensivo.
I primi anni Sessanta videro un altro importante sviluppo: il gruppo intensivo. Esso aveva radici molteplici, tra queste alcune esperienze di Rogers alla fine dell’incarico alla università dello Wisconsin ed i primi anni dell’appartenenza alla “American Academy of Psychotherapists” (A.A.P.).
Questi workshop AAP, iniziati con lo scopo di avere scambi a livello cognitivo fra terapeuti di diversi orientamenti, si svilupparono rapidamente in incontri frequenti ed “intensivi”.
L’arrivo di Rogers in California, nel 1964, aumentò il suo interesse per i gruppi intensivi e nel 1970 egli formulò, in quindici articoli, la teoria dello sviluppo del “gruppo d’incontro”.
Per Rogers il cuore del processo, l’incontro fondamentale, si ha quando un individuo nel gruppo risponde con empatia ad un altro membro del gruppo che si esprime apertamente con gli altri, senza alzare meccanismi di difesa.
Rogers formulò il concetto che il facilitatore nel gruppo avesse le stesse qualità fondamentali del terapeuta individuale, inoltre, egli riteneva importante l’accettare e rispettare sia il gruppo come un tutto che i singoli membri.
Un esempio eccezionale di incontro di gruppo si trova nel filmato: “Viaggio in se stessi”, che mostra chiaramente la genuinità, la spontaneità, l’interessamento ed il comportamento empatico dei due facilitatori Carl Rogers e Richard Farson (MeGaw, Farson and Rogers, 1968).
8.3.5 Pace e risoluzione dei conflitti.
Ricercare vie per risolvere i conflitti in modo pacifico fra grandi gruppi diventò la punta avanzata del movimento Centrato-sulla-Persona, anche se questo interesse era cominciato qualche anno prima (Axline, 1948; Rogers, 1948).
Lo scopo dell’interesse del movimento-Centrato-sulla-persona in questo campo, si estendeva ai conflitti fra le nazioni.
In alcuni casi i gruppi contrapposti si sono incontrati in modo intensivo con una “leadership” Centrata sulla Persona.
Questo è avvenuto con le parti contendenti nell’Irlanda del Nord, nel Sud Africa, ed in America Centrale.
Ad un incontro in Austria, sulla “Sfida del Centro America”, parteciparono numerosi diplomatici ed altri esponenti ufficiali dei governi (Rogers, 1986 e).
Un grande risultato raggiunto in questo incontro, è stato quello di fornire un modello di esperienze Centrate-sulla-Persona per diplomatici, con la speranza che negli incontri internazionali futuri riuscissero ad essere più empatici ed umani.
Rogers (1987) ed i suoi collaboratori hanno anche tenuto workshop nell’Europa dell’Est e nell’Unione Sovietica.
Rogers offrì una interpretazione Centrata-sulla-Persona dell’accordo di Camp David (fra Israeliani e Palestinesi) ed avanzò una proposta per evitare la catastrofe nucleare (Rogers e Ryback, 1984).
Una nozione è sempre stata centrale in tutti questi sforzi per una risoluzione pacifica dei conflitti:
Quando un gruppo in conflitto riceve empatia ed opera in condizioni di empatia, genuinità ed interessamento, gli stereotipi negativi degli oppositori si indeboliscono e vengono sostituiti da sentimenti personali e umani (Raskin e Zucconi 1984).
8.4 Aspetti del setting.
L’Approccio Centrato sulla Persona implica l’ottimizzazione del rapporto personale fra cliente e terapeuta e richiede di ridurre al minimo gli atteggiamenti professionali, impersonali e istituzionali.
Centinaia di registrazioni, film e colloqui registrati provano la costante attenzione ai sentimenti del cliente nella Terapia Centrata sulla Persona.
Altri modi in cui il terapeuta va incontro al cliente in forma diretta e personale non sono riconoscibili con altrettanta evidenza.
Se sono presenti la segretaria o altro personale dello staff, il terapeuta si comporta in modo da dimostrare attenzione e rispetto per ogni suo cliente.
Il terapeuta sente che è importante essere puntuale con il cliente il quale ha diritto alla sua continua e piena attenzione. Questo significa tenere la porta chiusa, non esaminare la posta e rifiutare di essere interrotti durante la seduta terapeutica.
Anche l’ambiente in cui si svolge la terapia dovrebbe essere comodo e confortevole.
Un clima normale è generalmente desiderabile sia da un punto di vista esterno che psicologico. Sarebbe auspicabile chiamarsi reciprocamente per nome, sempre che questo vada bene sia al terapeuta che al cliente.
Il comportamento del terapeuta comunica rispetto e favorisce l’opportunità che il cliente si senta rispettato.
L’importanza di trasmettere tale senso di rispetto risalta di più quando il cliente è un bambino.
Elaine Dorfman scriveva:
” Il terapeuta è pronto ad aspettare il bambino quando questi arriva. Nonostante il disordine degli incontri precedenti la camera si trova in ordine all’inizio di ogni nuova seduta. Se è in ritardo, il terapeuta si scusa, proprio come farebbe con un adulto. Gli appuntamenti vengono fedelmente mantenuti. Se è necessario spostarne uno, il bambino ne viene avvertito in anticipo. Se il terapeuta non riesce a farlo sapere in tempo al bambino, questi riceve le sue scuse appena possibile, nella forma di una lettera personale, se il bambino è in grado di leggere. Le confidenze fatte dal bambino vengono tenute segrete esattamente come lo sono quelle fatte dagli, adulti. In questi ed altri modi, si comunica al bambino che egli è una persona che merita di essere trattata con rispetto” (1951, pp. 240 – 41).
Per i bambini è importante sapere che quello che essi dicono o fanno nella stanza da gioco non sarà riferito ai genitori. Spesso i bambini scelgono di raccontarlo essi stessi ai genitori. Quando non lo fanno è importante rispettare i loro desideri. L’esprimere sentimenti negativi verso i genitori a parole o in gioco, ad un terapeuta che capisce, può essere di grande importanza per il progresso terapeutico.
L’esigenza del rispetto per la segretezza fu manifestato da Rogers quando accettò l’offerta dell’Universítà di Chicago di fondare un centro di consulenza psicologica. Una delle condizioni poste da Rogers fu che la segretezza sarebbe stata salvaguardata e che nessuna relazione sarebbe stata mandata al Preside della Facoltà.
Mentre alla segretezza si accordava un posto molto speciale, la registrazione dei colloqui continuava a venire incoraggiata. La segretezza esprimeva il profondo rispetto per il cliente. la registrazione si accordava con l’interesse per la ricerca che è la garanzia di questo approccio.
Questi non sono aspetti contraddittori. Le registrazioni venivano prese solo con il permesso della persona interessata, i microfoni e le macchine da presa erano visibili. L’esperienza con la registrazione ha insegnato ai terapeuti centrati sulla persona che riascoltare un colloquio, spesso li aiuta ad intendere più chiaramente i sentimenti del cliente. Spesso il terapeuta avverte così cose che gli erano sfuggite durante il colloquio.
La registrazione è disponibile per il cliente che voglia riascoltarla e questo, spesso, per lui, è rivelatorio. Se al terapeuta sta bene di proporre la registrazione ed allestirla, generalmente questo sta bene anche al cliente. Se il terapeuta si sente un po’ in conflitto, questo, spesso si trasmette al cliente. In ogni caso se vi è qualche richiesta a questo proposito, si rispettano i desideri del cliente sia riguardo alla segretezza che alla registrazione.
9. Esempio di una caso [4].
9.1 Introduzione.
Nel 1964 Carl Rogers fu ripreso nel colloquio di mezz’ora con una cliente, per una serie di filmati: “Tre approcci alla psicoterapia” (Rogers, 1965).
Questo colloquio contiene molti elementi della Teoria-Centrata-sulla-Persona discussi in questo articolo e costituisce un esempio tipico del modo di lavorare Centrato-sulla-Persona.
Il filmato dà al lettore ala possibilità di vedere e ascoltare Carl Roges in azione.
Rogers non aveva mai visto la donna prima del colloquio e sapeva che il suo rapporto con lei si sarebbe limitato ad una mezz’ora. Nella sua introduzione al colloquio, Rogers descrive il modo in cui spera di “essere con lei”. Dice che, se avrà fortuna, cercherà di essere:
- Prima di tutto autentico, vero, congruente, cercando di essere consapevole dei propri sentimenti interiori e di esprimerli in modo da non imporli a lei.
- In secondo luogo egli vuole interessarsi a lei, apprezzandola come persona ed accettandola.
- In terzo luogo egli cercherà di capire il suo mondo interiore “dal di dentro”, cercherà di capire non soltanto i significati in superficie, ma anche quelli sottostanti.
Rogers, sulla base della propria esperienza e delle ricerche, afferma che, se riesce ad essere in questi tre modi, si aspetta che alla cliente accadano alcune cose. Si aspetta che lei passi dall’essere lontana dal proprio mondo interiore ad una più immediata consapevolezza di esso e alla capacità di esprimerlo, dal disapprovare alcune parti di sé ad una maggiore accettazione; dalla paura del rapporto con lui ad un comunicazione più diretta; dall’avere degli schemi rigidi (bianco-nero) ad essere più flessibile e, che infine, nella valutazione delle sue esperienze, passi da criteri esterni di riferimento a criteri interni, basandosi su se stessa e su quello che prova.
Il fatto che il colloquio sia durato una mezz’ora e che la cliente sia stata vista dal terapeuta quell’unica volta, dimostra che l’Approccio Centrato sulla Persona dipende dagli atteggiamenti “qui ed ora” del terapeuta. Atteggiamenti che sono validi sia in una interazione breve sia in una che si estende per un lungo periodo.
9.2 Il colloquio.
Il colloquio è con una giovane donna, Gloria, una divorziata di trenta anni. La prima parte del colloquio riguarda il problema che Gloria presenta all’inizio: non è stata onesta con sua figlia di nove anni, Pammy. Vuole sapere se raccontare a Pammy la verità sulla sue relazioni sessuali potrebbe turbarla.
Al principio Gloria dice a Rogers: “Mi piacerebbe avere da lei una risposta. Vorrei che lei mi dicesse se farò del male a mia figlia raccontandole la verità”.
Più tardi, in due occasioni, chiede nuovamente una risposta diretta alla sua domanda. Chiaramente vuole che una persona “autorevole” le dica cosa è meglio fare.
Le risposte di Rogers la assicurano che egli capisce il suo dilemma, tuttavia lui fa affidamento sulle sue risorse personali per la risposta.
Dopo ogni interazione di questo tipo, in cui lei pone la domanda e sente la risposta di Rogers, Gloria esplora i propri sentimenti un po’ più profondamente.
Alla sua prima domanda, Rogers risponde: “Ed è questa preoccupazione nei suoi confronti (di Pammy) ed il fatto che voi in realtà non siete… il fatto che questo rapporto aperto che c’è stato fra voi due, adesso sentite che è come svanito”.
Dopo la risposta di Gloria egli dice: “Certo io vorrei darle la risposta su cosa dire a sua figlia”; “Avevo paura che mi avreste risposto così” dice lei. Rogers risponde:
“Perché quello che lei vuole è una risposta”.
Gloria comincia ad esplorare il proprio rapporto con Pammy e conclude di essere molto in dubbio se Pammy accetterebbe o no la sua parte “diabolica, oscura”.
Gloria non è certa di accettare questa parte di sé. Di nuovo chiede una risposta a Rogers: ‘Lei se ne sta seduto lì e mi lascia macerare ed io vorrei di più”. Rogers risponde: “No, io non voglio lasciarla macerare nei suoi sentimenti, ma, d’altra parte, sento che questo è un fatto molto personale al quale io non potrei dare una risposta per lei. Ma, una cosa è certa, che io cercherò di aiutarla ad arrivare a una risposta sua. Non so se questo ha senso per lei ma questo è quello che io intendo dire”.
Gloria dice di credere che egli realmente la pensi così, ricomincia ad esplorare i propri sentimenti, questa volta focalizzandosi di più sul conflitto che lei stessa sente esserci fra le proprie azioni ed i suoi “standard” interiori.
In breve ripete:
“Desidero vivamente che lei mi dia una risposta diretta”.
Rogers risponde:
“Immagino, anzi sono sicuro, che questo le sembrerà evasivo, ma a me sembra che forse la persona con cui non è pienamente onesta sia lei stessa, perché sono stato molto colpito dal fatto che lei abbia detto: “Se mi sento a posto con quello che ho fatto, andare a letto con un uomo o altro, se mi sento davvero a posto, allora non ho nessun problema per quello che racconterei a Pammy o per il mio rapporto con lei”.
A questo Gloria risponde:
“Bene. Bene. Ora sento quello che dico. Allora tutto bene. Allora voglio lavorare sull’accettare me stessa. Questo ha un senso per me. Allora tutto sarà naturale ed io non avrò da preoccuparmi per Pammy”.
Quest’affermazione indica che Gloria ha raggiunto una vera intuizione (insight), cioè capire che la soluzione del suo problema è dentro se stessa e non nell’opinione di una persona autorevole, riguardo all’effetto che avrebbe avuto su Pammy venire a conoscenza della vita sessuale di sua madre.
Da questo punto del colloquio, Gloria comincia a focalizzarsi sul proprio conflitto. Dice a Rogers che cosa “desidera che lui le dica”, poi dice che non se la sente di assumersi il rischio di essere come vorrebbe con i propri figli “a meno che un’autorità non me lo dica”.
Rogers dice, con sentimenti ovvii: “Una cosa che sento intensamente è che vivere è una cosa molto rischiosa. Entrando in rapporto con lei (la figlia) affronta un rischio e corre un rischio anche nel farle sapere chi è lei realmente”.
Gloria dice di desiderare molto intensamente di riuscire ad affrontare più rischi, di poter agire sulla base dei propri sentimenti, di quello che è giusto per lei, senza vere sempre bisogno di incoraggiamento da parte di altri.
Di nuovo dice quello che le piacerebbe fare in quella situazione con Pammy ed aggiunge: “Adesso sento come se questo si fosse risolto, e non ho risolto niente, ma mi sento sollevata”.
Gloria: “Sento che se lei, mentre mi dice che non mi darà alcun consiglio, mi dice anche: Lei conosce la via da seguire, vada avanti e la segua. Mi sento come se mi stesse dando appoggio”.
Rogers: “Per come sento io: lei mi ha detto che lei sa che cosa vuole fare, eh sì, io credo nel dare appoggio alle persone in quello che vogliono fare. È un punto di vista leggermente diverso da quello che sembra a lei”.
Il fatto che Gloria esprima il sentimento: “Adesso questo è risolto ed io non ho risolto niente, ma mi sento sollevata” esemplifica una consapevolezza dell’esperienza interiore, un significato emozionale che non ha ancora verbalizzato.
Si “sente sollevata” come se il problema fosse risolto.
Vi è stato un movimento terapeutico all’interno del suo Sé, prima che lei ne capisca il significato in modo esplicito. È interessante che nella stessa frase essa dica: “Sento che mi sta dando appoggio”. Sente il supporto della comprensione empatica di Rogers e la sua accettazione.
Dal punto di vista Centrato-sulla-Persona, vi è una relazione fra il suo sentirsi capita ed apprezzata ed il suo passaggio dal cercare una valutazione esterna al basarsi su quello che lei sente “giusto” per lei.
Nella parte successiva del colloquio, Gloria sperimenta i propri processi di valutazione interiore ed i conflitti in cui talvolta si trova. Essa spiega l’uso della parola “utopia”, riferendosi a quelle volte in cui è capace di seguire i propri sentimenti: “Quando seguo un sentimento e avverto questo buon sentimento dentro di me, è come un’utopia. Questo è quello che intendo. Mi piace sentirmi così, sia che si tratti di una cosa buona sia che si tratti di una cattiva. Ma mi sento a posto”.
Rogers le dice allora: “Se quello che lei fa, sia esso ritenuto «buono o cattivo», a lei va bene, questo è utopia”.
L’affermazione di Rogers che in quei momenti lei: “si sente tutta intera” fa venire le lacrime agli occhi di Gloria, perché quei momenti sono molto rari.
Tra le lacrime, Gloria continua a parlare.
Gloria: “Sa che cosa stavo ancora pensando… Io… una cosa sciocca…che tutt’a un tratto mentre parlavo con lei, pensavo: Guarda come riesco a parlare bene con lui, e desidero che mi approvi. Io la rispetto, ma sento anche la mancanza del fatto che mio padre non era capace di parlarmi come mi parla lei. Voglio dire, mi piacerebbe averla come padre. Non so neanche perché questo mi sia venuto in mente”.
Rogers: “Ai miei occhi lei è come una graziosa bambina. Ma lei, in realtà, sente la mancanza di non avere potuto esprimersi liberamente con suo padre”.
Gloria ora è in contatto con la propria esperienza interiore, lascia che le sue lacrime scorrano, pensando al rari momenti di “utopia” ed esprimendo, poi, un sentimento di affetto per Rogers, che affiora nella sua consapevolezza.
Lei esplora, allora, il suo rapporto col padre, restando in contatto con i suoi sentimenti e dice: “Sa quando ne parlo sembra passeggero, se sto zitta appena un minuto, sento come una grande ferita giù in fondo”.
Gloria guarda alla ferita interiore del proprio rapporto col padre e la sente profondamente.
Si è spostata notevolmente dalla ricerca di una soluzione esterna ad un problema riguardante i figli, al guardare una ferita dolorosa dentro di se.
Dice che cerca di curare questa ferita con rapporti con uomini paterni, facendo finta che siano suo padre, come sta facendo con Rogers.
Rogers: “Non sento che sia un fare finta”.
Gloria: “Bene, lei non è realmente mio padre”.
Rogers: “No, parlavo dell’esserle veramente vicino”.
Gloria: “Vede, in un certo senso, mi sembra che anche questo sia un “fare finta”, perché io non posso aspettarmi che lei si senta davvero vicina a me; non mi conosce abbastanza bene”.
Rogers: “Tutto quello che posso sapere è quello che sento, ed in questo momento io mi sento vicino a lei”.
Qui Rogers si presenta come è realmente, offrendo a Gloria questa esperienza di interessarsi a lei in modo genuino, una esperienza che le era mancata nel rapporto con il suo vero padre.
Poco dopo questo scambio il colloquio finisce.
9.3 Commento.
È chiaro che l’empatia del terapeuta, la sua genuinità e il suo interessamento emergono e vengono recepiti dalla cliente durante tutto il corso del colloquio.
La sua accettazione la aiuta a fare grandi progressi, come si può vedere in molti punti.
Per esempio, Gloria comincia il colloquio cercando un’ autorità che le dica cosa fare, ed alla fine ha molta più fiducia in se stessa e nella propria capacità di prendere decisioni.
Passa dal cercare di tenersi a distanza dalle proprie emozioni al lasciarsi andare ad esprimerle senza inibizioni, andando tanto in là fino a localizzarsi direttamente sulla grande ferita che sente riguardo al proprio rapporto col padre.
Inoltre, inizialmente, essa non accetta una parte di sé, e poi, vede l’aumento della autoaccettazione come un importante compito futuro. Il suo concetto di sé diviene più completo, il proprio vissuto esperienziale diviene meno rigido, il punto di riferimento della propria valutazione si sposta dall’esterno verso l’interno e la sua autostima aumenta.
In questo breve colloquio appaiono tutte le caratteristiche importanti sia del terapeuta che del cliente e si evidenziano il tipo di cambiamento terapeutico ed il processo che ci si può aspettare dall’Approccio Centrato sulla Persona.
Quanto incidano la genuinità di Rogers e la sua stessa presenza, appare a prima vista, guardando il filmato. La forza dei suoi sentimenti traspare quando dice: “Vivere è una cosa straordinariamente rischiosa” e quando esprime chiaramente il proprio Sé interiore. E ancora: ‘Tutto quello che so è quello che sento ed in questo momento mi sento molto vicino a lei”.
Il cambiamento terapeutico della cliente avviene nella direzione e nel modo inizialmente auspicato da Rogers.
Prima di tutto egli dice che lei passerà da un essere lontana dai propri sentimenti a divenirne immediatamente consapevole ed a esprimerli.
Di fatto, essa inizia il colloquio chiedendo una risposta ad una questione delicata e verso la fine giunge ad un punto in cui i suoi sentimenti scorrono verso la consapevolezza e lei riesce ad esprimerli man mano che emergono.
Quando, a proposito del suo desiderio di avere un padre come Rogers, lei dice: “Non so neanche come questo mi sia accaduto”, lascia che i suoi sentimenti si esprimano senza censurarli, senza farsi domande e neanche volere sapere da dove vengano.
Rogers prevede anche che Gloria passerà dal disapprovarsi all’accettarsi.
Inizialmente, Gloria dice di non essere sicura di accettare la sua parte “oscura, demoniaca”.
In seguito chiederà, molto esplicitamente, di lavorare sull’accettare se stessa ed impiegherà molto del tempo rimasto ad esplorare le sfumature dell’accettazione di sé.
Inizialmente, Gloria crede che ci sia una risposta adatta ai propri problemi. Costruisce la realtà in modo bipolare: o è bianco o è nero.
Alla fine cerca di basarsi sulla propria esperienza interiore per trovare le soluzioni e dice: “Mi piacerebbe sapere rischiare di più”.
Nella parte finale Gloria descrive la propria esperienza “utopistica”, di sentirsi così sicura di sé da far sì che le sembri giusto che qualunque cosa faccia scaturisca dalla propria esperienza interiore.
Questo stesso esempio illustra il processo terapeutico del passare da un punto di riferimento esterno ad uno interno per la propria valutazione.
La qualità di questo colloquio è comparabile ad un brano di musica che comincia con una nota tenue e persistente e gradualmente si amplifica e si innalza di tono fino a quando tutta l’orchestra viene coinvolta.
L’interazione intuitiva e le risposte del terapeuta non sono dissimili dagli scambi musicali in un’improvvisazione creativa.
Qualunque sia il contributo della scienza per arricchire la nostra conoscenza della natura degli strumenti, delle possibili combinazioni armoniche e della potenzialità dei suoni, non possiamo mai dimenticare che in una composizione musicale l’elemento fondamentale risiede nella creatività umana.
In seguito alle innumerevoli domande su Gloria da parte di persone che avevano visto questo colloquio con lei, Rogers (1984) pubblicò uno scritto in cui dice che per circa dieci anni dopo il colloquio, Gloria continuò a scrivergli circa una o due volte all’anno.
L’ultima lettera fu scritta “poco prima della morte prematura di Gloria”, quindici anni dopo il colloquio.
Egli descrisse anche le reazioni di Gloria ad un convegno da lui tenuto un anno o poco più dopo il colloquio. Durante il convegno vennero mostrati i colloqui da lei avuti, oltre che con Rogers, con Fritz Perls e con Albert Ellis.
Gloria espresse allora molta rabbia per avere fatto tutte le cose che Fritz Perls le aveva chiesto, cedendo a lui il proprio potere. Rivedendo il colloquio, in quella circostanza, si accorse che non le piaceva, mentre subito dopo averlo fatto la sua reazione era stata positiva.
Rogers scrisse anche che Gloria, alla fine di una colazione con lui e sua moglie Elena, durante quello stesso convegno, chiese di potere pensare a loro come a “genitori nello spirito: i genitori che le sarebbe piaciuto avere”.
“Tutti e due rispondemmo che noi saremmo stati contenti ed onorati di avere quel posto nella sua vita.
I suoi caldi sentimenti verso di noi furono ricambiati… negli anni seguenti mi scrisse raccontandomi molte cose della sua vita…. ebbe momenti belli e momenti tragici… ed. essa dimostrò sensibilità, saggezza e coraggio nell’andare incontro ai vari aspetti della propria esperienza”.
E conclude: “Sono onorato dal fatto che questo rapporto durato quindici anni sia sorto dalla qualità di un colloquio di soli trenta minuti, in cui ci siamo incontrati come persone vere. È bello sapere che anche una sola mezz’ora può cambiare qualcosa in una vita” (pag. 423-425).
10. Sommario.
L’ipotesi fondamentale dell’Approccio Centrato sulla Persona è che gli individui abbiano in sé vaste risorse per comprendersi, per cambiare il proprio concetto di sé, il proprio modo di agire e gli atteggiamenti verso gli altri.
Queste risorse divengono operanti in un clima psicologico definibile come facilitante. Tale clima viene creato da uno psicoterapeuta che è empatico, pieno di interessamento e genuino. L’espressione di ognuna di queste caratteristiche, nella pratica, ha un particolare significato.
L’empatia, così come viene realizzata nell’Approccio Centrato sulla Persona, consiste in un continuo e coerente ascolto di quello che il cliente sente e prova. Implica un processo nel quale il terapeuta si impegna a verificare costantemente col cliente la completezza e accuratezza della sua comprensione. Si sviluppa in modo personale, naturale e fluido; non può essere confusa con l’abilità di riflettere o rispecchiare in modo automatizzato quanto dice o prova il cliente.
L’interessamento è caratterizzato da un profondo rispetto per l’individualità del cliente ed una considerazione positiva incondizionata.
La genuinità è caratterizzata dalla congruenza fra quello che il terapeuta prova e quello che dice, e dall’intenzione del terapeuta di comunicare da persona-a-persona anziché sulla base di un distaccato ruolo professionale.
L’impulso dato alla ricerca, nel campo della psicoterapia, dall’Approccio Centrato sulla Persona è sfociato in un’evidenza sostanziale che dimostra che i cambiamenti nella personalità e nel comportamento avvengono quando viene offerto un clima terapeutico.
Due risultati frequenti di una riuscita psicoterapia Centrata sulla Persona sono: una aumentata autostima ed una maggiore apertura all’esperienza.
La fiducia nelle loro percezioni e la capacità di autodirigersi dei clienti, evidenziate nella “Psicoterapia Centrata sulla Cliente”, sono diventate la base del più ampio “Approccio Centrato sulla Persona” applicabile all’educazione, ai processi di gruppo, allo sviluppo delle organizzazioni ed alla risoluzione dei conflitti.
I facilitatori Centrati sulla persona consentono l’assunzione di responsabilità e di potere da parte degli studenti, dei lavoratori, dei membri di un gruppo e delle parti opposte in un conflitto.
Il mondo nelle ultime decadi del secolo ventesimo è caratterizzato da forze di enorme grandezza che minacciano la vita sulla terra e persino il significato della vita individuale.
In una prospettiva più circoscritta, il cliente ed il terapeuta, nel campo della psicoterapia e della salute mentale, subiscono l’incessante pressione delle forze economiche.
In un certo senso questo indebolisce l’approccio centrato sulla persona, in un altro ne assicura la continuità e la crescita, trattandosi di un sistema scientificamente provato e che valorizza l’individuo.
Bibliografia ragionata:
Rogers, C. R. (1942), COUNSELING AND PSYCHOTHERAPY, Boston: Houghton Mifflin.
Trad.italiana: PSICOTERAPIA DI CONSULTAZIONE, nuove idee nella pratica clinica e sociale di C.Rogers. Roma, Astrolabio, 1971.
Questo libro è la prima presentazione di una psicoterapia interamente basata sulla fiducia che il cliente abbia in sé la capacità del proprio cambiamento di personalità. Il secondo capitolo è una versione lievemente corretta del discorso di Rogers all’Università del Minnesota (11.XII.1940) considerato l’inizio della psicoterapia Centrata-sulla-Persona.
Rogers, C.R.(1951), CLIENT CENTERED THERAPY, Boston: Houghton Mifflin.
-Trad.italiana: LA TERAPIA CENTRATA SUL CLIENTE, Firenze, G. Martinelli, 1970.
Questo libro descrive da una parte l’orientamento del terapeuta centrato sul cliente, dall’altra come sono vissuti dal cliente il rapporto terapeutico ed il processo della terapia.
Amplia e sviluppa le idee espresse nel libro precedente.
Rogers, C.R. (1961), ON BECOMING A PERSON, Boston: Houghton Mifflin.
Trad. italiana: DA PERSONA A PERSONA, Roma, Astrolabio, 1973.
È forse l’opera più conosciuta di Rogers. Questo libro ha contribuito a far sì che il suo stile personale e la sua filosofia propositiva fossero conosciuti in modo completo.
Il libro comprende un capitolo autobiografico, alcune descrizioni della relazione di aiuto e dei modi in cui le persone crescono nel corso della psicoterapia, la descrizione della persona pienamente funzionante, il ruolo della ricerca, le implicazioni dei principi centrati-sulla-persona per l’educazione, la vita familiare, la comunicazione e la creatività e l’impatto sull’individuo del potere delle scienze del comportamento.
Rogers C.R. (1980) A WAY OF BEING, Boston: Houghton Mifflin.
Trad. italiana: UN MODO DI ESSERE, Firenze, Martinelli, 1985.
Come dice la copertina del libro, esso racchiude i cambiamenti avvenuti nella vita del dr. Rogers. È stato pensato durante la decade degli anni settanta, quasi allo stesso modo in cui On Becoming a Person riguardava il periodo precedente. Lo stile è diretto, personale, chiaro. Contiene, sia un’ampia parte a carattere personale in cui l’autore esprime cosa significhi per lui ascoltare ed essere ascoltato ed in cui racconta una sua esperienza di crescita quando era già anziano, sia alcuni importanti capitoli sulla sua teoria.
Una appendice contiene una bibliografia in ordine cronologico delle pubblicazioni di Rogers dal 1930 al 1980.
Rogers, C.R.(1969) FREEDOM TO LEARN. Columbus Ohio: Charles E. Merril.
Trad. italiana: LIBERTA’ NELL’APPRENDIMENTO, Firenze, Giunti e barbera (1973).
Il libro tratta una delle aree in cui Rogers si appassionò maggiormente, quella dell’apprendimento. Rogers si rendeva ben conto della contraddizione esistente fra la prodigiosa capacità di imparare e di crescere dei bambini e degli adulti e l’influenza negativa esercitata dalla maggior parte delle istituzioni educative.
Il libro descrive, inoltre, alcune delle sue esperienze personali nell’agevolare l’apprendimento
nelle classi e gli esperimenti di altri studiosi nel promuovere “una libertà responsabile”.
NOTE:
[1] Le date riportate tra parentesi fanno riferimento alla bibliografia del testo originale inglese (nota della redazione di “Da Persona a Persona”).
[2] Abbiamo evidenziato queste riflessioni di Rogers perché le consideriamo attuali anche per la nostra rivista: “Da persona a Persona”. Intendiamo, inoltre, condividere e contribuire al conseguimento delle finalità proposte da Rogers per “Person Centered Review” (nota redazionale di “Da Persona a Persona”).
[3] Da un articolo non pubblicato di Carl Rogers, da lui consegnantomi in occazione di questo scritto (nota di Nathalien Raskin, nell’edizione originale americana), riportata dalla rivista “Da Persona a Persona”.
[4] Questo esempio è tratto da Meador e Rogers, (1984, pp.187-192) (nota redazionale di “Da Persona a Persona”).