Come abbiamo già fatto in numeri precedenti per la mediazione familiare e per il counselling, cioè per le nuove professioni di aiuto, in questo numero (con continuazione anche nel numero 21) ci occupiamo della pedagogia clinica.
Abbiamo pensato di partire da un’esperienza di formazione (la tesi della scuola di specializzazione delle dottoresse Mariagrazia Palumbo e Ilena Maria Novelli), per proseguire eventualmente con altri contributi legati all’esperienza professionale vera e propria
In questo numero verranno pubblicati i primi due capitoli, riguardanti l’introduzione generale al lavoro e i riferimenti culturali complessivi della disciplina.
Nel numero 21 pubblicheremo la storia di un’esperienza sul campo, che fa parte integrale del lavoro di tesi.
Presentazione
Che dire della proposta interessante di partecipare con la pubblicazione della tesi in Pedagogia Clinica scritta in collaborazione con la mia collega Ilena Novelli, “Progetto Pedagogico Clinico. Stare bene a scuola…corpo, movimento, emozioni. Il teatro come esperienza olistica” al prossimo numero della rivista
“Script riflessioni: i campi della soggettività” ? Che dire se non che mi sono fermata e più volte soffermata sul senso profondo che nasceva in me dalla possibilità di partecipare ad un incontro volto alla ricerca nel campo della soggettività, tema che suscita da sempre in me riflessioni e curiosità. Dico da sempre perché evidentemente il tema della separazione dall’oggetto per individuare la propria soggettività, nasce con la consapevolezza di essere un individuo. Questo è stato il motore della mia crescita e ricerca personale che mi ha portato fino al Corso di formazione come Pedagogista Clinico presso l’Isfar (Istituto Superiore Formazione Aggiornamento Ricerca. Formazione Post-Universitaria delle Professioni) di Firenze.
Ho attraversato studi di filosofia e di psicologia laureandomi a Pisa con una tesi in Psicologia (Identità e relazioni interpersonali nell’adolescenza) alla Facoltà di Lettere e Filosofia e poi ho seguito l’iter della scuola, con relativi concorsi e corsi di Specializzazione per alunni portatori di handicap, come si chiamavano una volta ed entrando di ruolo come insegnante di lettere alle scuole secondarie di I grado.
La curiosità ed il desiderio di confrontarmi su questi temi non è mai diminuita ma semmai cresciuta con la profonda consapevolezza di guardare sempre dentro di me, per comprendere quali movimenti interni mi produceva l’incontro con l’altro, mondo, oggetto, individuo. Tutti mondi, oggetti, individui, alunni, figli , persone. Il mondo mio , il mondo dell’altro. Guardare dentro a questo ignoto e cominciare a comprendere che la chiave stava nella scoperta della propria soggettività. Ed ecco perché mi ha così colpito il titolo della rivista “Script riflessioni i campi della soggettività”. Sono una Pedagogista clinica perché questa scienza mi ha dato la possibilità, attraverso la scoperta delle mie risorse personali ed esercitando le mie potenzialità creative di comprendere la portata della mia trasformazione.
Mariagrazia Palumbo
Ci siamo incontrate, io e la mia collega Mariagrazia, a Firenze al corso di formazione per Pedagogista Clinico e sin dall’inizio abbiamo stabilito un rapporto di collaborazione e di dialogo, nel quale era interessante ascoltarsi e conoscere l’altra, riconoscendo affinità e diversità, che hanno creato opportunità di crescere e di acquisire maggiore consapevolezza di noi.
Mi sono laureata a Firenze alla Facoltà di Magistero in Pedagogia con una tesi sperimentale sull’apprendimento “Comprensione e completamento di storie. Un’esperienza di scrittura in seconda elementare con il supporto del computer” perché ad una certo punto nel corso dei miei studi, ho provato un forte interesse per il mondo dei bambini e dell’educazione in generale.
Ho lavorato nel campo educativo e ho insegnato materie letterarie nelle scuole secondarie di I grado e pedagogia, psicologia e sociologia in quelle di II grado. Oltre ai vari corsi di perfezionamento in pedagogia e nel campo dell’affettività ho frequentato un corso annuale in provincia di Pisa in Pedagogia Clinica, che mi ha mi ha creato ulteriore interesse e voglia di approfondire questa mia formazione.
Successivamente sono approdata al Corso di Formazione in Pedagogia Clinica presso l’Isfar (Istituto Superiore Formazione Aggiornamento Ricerca. Formazione Post-Universitaria delle Professioni) di Firenze.
Oltre agli importanti approfondimenti teorici, il Corso di Formazione mi ha dato l’opportunità di fare esperienze di tecniche e metodi specifici della Pedagogia Clinica, che hanno ampliato canali comunicativi e potenziato forme espressive con l’acquisizione della consapevolezza che nell’ autenticità del rapporto educativo ci si mette in gioco e si trasforma noi stessi nella crescita dell’altro.
Ilena Novelli
Studio di Pedagogia Clinica Via Togliatti n. 1 Ponsacco ( PI)
Mariagrazia Palumbo mariagraziapal@live.it
Ilena Novelli ilena@interfree.it
Introduzione
Un’idea nuova, un approccio innovativo quello della Pedagogia Clinica che apre alla trasformazione profonda della persona del pedagogista clinico, che attraversa in modo trasversale grandi spazi del mondo individuale e ne visita il panorama dei bisogni educativi e relazionali, passando in primo luogo da se stesso.
Le esperienze delle tecniche e dei metodi che non vengono solo descritti ma esperiti e vissuti, aprono un mondo interiore ed espressivo, producono la presa di coscienza di bisogni creativi, sollecitano alla riflessione, coinvolgono e convincono profondamente chi si appresta ad esercitare una tale professione. Attraverso l’esperienza in prima persona dei metodi e delle tecniche propri della Pedagogia Clinica si acquisisce una posizione psichica particolare: l’apertura al cambiamento, la flessibilità della ricerca e dell’ascolto di sè e quindi dell’altro, inteso come mondo unico e dotato di propria individualità e potenzialità, che può trovare voce e forza da se stesso e per se stesso.
Questi concetti resterebbero solo idee se non fossero passate e non avessero profondamente attraversato la dimensione individuale del pedagogista clinico attraverso le esperienze che gli hanno dato la percezione autentica e profonda che la vera trasformazione ed il vero cambiamento sono possibili, mantenendo in sè la sensazione acuta della vita come movimento e ricerca di miglioramento e crescita costante.
Questa consapevolezza è stato il motore del nostro progetto, la convinzione profonda che un cambiamento possa e debba nascere da qualche parte ed è vero e possibile solo se c’è la voglia di metterlo in atto e l’entusiasmo di trasmetterlo.
Attraverso quindi una descrizione della Pedagogia Clinica, delle radici epistemologiche che la sostengono e la fondano come scienza, ci è sembrato interessante, prima di entrare nel vivo del nostro progetto,
attraversare e descrivere il suo cammino e la peculiarità sia dei suoi principi fondanti, che dei suoi metodi, per sottolineare la portata innovativa che può e sa rendere concreto ed effettivo il cambiamento.
Un cambiamento sostanziale che tutti, insegnanti, genitori, alunni e studenti ci auspichiamo avvenga nelle varie agenzie dedicate all’educazione ed in primo luogo nella scuola pubblica.
Non poteva mancare la descrizione della situazione attuale della scuola con i suoi nodi problematici, la sua complessità ma anche con tutta la sostanza di interventi volti al miglioramento, da parte di chi, pur nelle difficoltà e nella sfiducia, crede ancora ad una possibilità di trasformazione e cerca continuamente nuovi strumenti a sostegno di ciò.
Questo bisogno ed esigenza di trasformazione si può rendere possibile in misura più ampia e profonda, negli spazi dei laboratori ancora vivi, anche se più volte colpiti da chi non ha sensibilità nè competenza pedagogica.
La tesi che andiamo a sostenere riguarda proprio questa scommessa, che a partire dagli ambiti meno strutturati e quindi meno rigidi dentro la scuola, possa partire quella profonda trasformazione di cui essa ha così bisogno ed è chiamata a gran voce da ogni parte, senza che ci siano reali suggerimenti e strumenti concreti al suo servizio.
Il teatro, sostenuto da altri presupposti, non più quindi quelli che lo hanno caratterizzato nel corso della sua storia ed evoluzione e nel rapporto con la scuola, ma come modalità di apprendimento olistica che si fonda sulle tecniche ed i principi metodologici della Pedagogia Clinica, può essere la risposta ai bisogni dei bambini e dei ragazzi di essere protagonisti attivi dell’apprendimento, attraverso la presa di coscienza di sè inteso nell’interezza di corpo, mente emozioni e potenzialità e di sè con gli altri, superando tale contraddittoria dicotomia, in un apprendimento globale, vissuto ed interiorizzato, oltre che condiviso. E ricordandoci la celebre frase di A. Einstein “Apprendimento significa esperienza. Qualsiasi altra cosa è solo informazione” sottolineiamo che l’apprendimento avviene solo attraverso l’esperienza, altrimenti si tratta semplicemente di ammaestramento che se, forse nel passato ed in qualche forma ha talvolta funzionato, oggi senz’altro non funziona più … ma questo sarebbe un altro interessante argomento da affrontare in una successiva ricerca …
CAPITOLO I
LA PEDAGOGIA CLINICA
Approcciandosi alla ricerca di una formazione che ci specializzasse in un intervento di aiuto rivolto alla persona, siamo rimaste colpite dalla definizione di Pedagogia Clinica che si definiva pedagogia di aiuto rivolta alla persona e quindi non si limitava all’età scolare, agli apprendimenti e alla scuola, ma a tutti coloro che necessitavano di essere aiutati con adeguati interventi educativi. Il fatto poi che si sottolineasse la possibilità di ripristinare nella persona nuovi equilibri, nuove abilità nel vincere ostacoli, ci ha illuminato sull’importanza di riconoscere che in ogni fase della vita esiste la possibilità di un’evoluzione e trasformazione e del recupero di una posizione attiva e positiva, quando essa è stata persa.
La Pedagogia Clinica viene definita dal suo fondatore, una scienza indirizzata al vasto panorama dei bisogni educativi delle persone, ha il compito di studiare, approfondire, e rinnovare modalità diagnostiche e metodi educativi finalizzati a garantire un aiuto alla persona e al gruppo, allo scopo di liberare l’individuo da ogni disagio psicofisico e socio-relazionale e di permettergli di ripristinare in sé nuovi equilibri e nuove disponibilità allo scambio con gli altri.
1.1 Le basi epistemologiche
Una scienza per essere tale necessita di una base epistemologica e quindi di una riflessione storico analitica che specifici i criteri di validità scientifica di essa.
Le radici della Pedagogia Clinica affondano nella storia della società umana e le sue basi scientifiche sono rintracciabili nella filosofia, nella teologia, nel diritto e nella medicina, in quei campi del sapere nei quali l’uomo si è interrogato e ha tentato di darsi delle risposte su se stesso, sulla vita, sulle regole della convivenza, cercando di trovare o di mantenere forme di benessere e di equilibrio. Il compito della ricerca è stato quello di recuperare da queste discipline i dati ed i risultati delle esperienze pedagogiche, per poterle ridefinire in un conoscere capace di rispondere concretamente alle esigenze dell’uomo.
Ogni società umana, storicamente, ha dato importanza attraverso modalità e forme specifiche diverse, all’educazione e alla condivisione di valori che le caratterizzavano ed ha lasciato testimonianze e influenze nel nostro pensiero, che siamo tenuti a ritrovare, ad analizzare e semmai ad accogliere.
Riconoscere l’importanza del passato significa definire le modalità in cui si sono evolute tali forme di educazione attraverso cui siamo giunti fino a oggi, conoscere ciò che si faceva, cogliere o raccogliere tecniche e metodologie utilizzate nel tempo, per favorire lo sviluppo dell’uomo, per trovare una continuità con ciò che si è fatto e si intende fare d’ora in avanti.
Attraverso la ricerca epistemologica e storico-scientifica sono emersi i suggerimenti ricavati dai presupposti educativi delle posizioni rituali richieste dai sacerdoti taoisti nel 2007 a.C., quelle tecniche di rilassamento che conducevano progressivamente al controllo dei movimenti e di conseguenza alla disponibilità di tutto l’essere, come pure le pratiche mistico-introspettive dei brahmani (sacerdoti) e dei ksatriya (guerrieri), e inoltre anche le tecniche adottate per un’educazione pratico-esperienziale dai sacerdoti nell’antico Egitto.
Allo stesso modo, è stata rivolta l’attenzione a tutte le tecniche che più tardi, verso il 1000 a.C. in India, venivano utilizzate per favorire lo sviluppo del pensiero ed il conseguimento dell’equilibrio psico-fisico. Tali tecniche hanno permesso di sostanziare la Pedagogia Clinica di basi epistemologiche.
Nella filosofia greca diversi altri autori sostengono principi che si ritrovano nella pedagogia clinica.
Eraclito (VI-V sec. a.C.) dichiara che “la natura profonda delle cose ama nascondersi”. È il “filosofo del divenire”: concepì il mondo come un flusso perenne, in cui “tutto scorre” (panta réi) e ogni cosa è soggetta alla trasformazione.
Protagora, uno dei più noti e importanti sofisti (481-411 a.C.) prende in considerazione l’individuo come portatore di una propria verità, di un modo personale di vedere la realtà e a lui si deve l’intuizione che “l’uomo è la misura di tutte le cose”.
Democrito (V- IV sec. a.C.), nell’opera L’animo sereno, parla per la prima volta di benessere. Egli sostiene la natura materiale dell’anima, costituita anch’essa, come la materia, da atomi psichici.
La Pedagogia Clinica viene accompagnata da alcune indicazione che ci giungono dal metodo socratico (dal nome del filosofo Socrate, 470-399a.C.), conosciuto come elenchos, chiamato “maieutico” (da maieutiké, che letteralmente significa “arte della levatrice” o “dell’ostetrica”). L’arte maieutica, affidata al “conosci te stesso”, vuole estrarre e portare alla luce le contraddizioni, le definizioni implicite nelle idee e convinzioni dell’interlocutore, provocando in lui stupore e smarrimento, fino a portarlo nei limiti della propria consapevolezza, al sapere di non sapere, a migliorare la sua comprensione. Ricorre a battute brevi e taglienti (brachilogia), e all’ironia (eironei), che consiste nel far intendere una cosa mediante una frase di senso esattamente opposto.
Anche negli insegnamenti di Platone (428 o 427-348 o 347 a.C., discepolo di Socrate e maestro di Aristotele) si incontrano principi pedagogico clinici e prassi educative da non sottovalutare. Egli nel III libro della Repubblica sollecita alle pratiche fisiche, indicando modalità per realizzarle e sottolinea l’importanza del logos, dell’analisi razionale per la comprensione del mondo, l’insegnabilità della virtù (aretè) che può essere oggetto d’apprendimento solo se coincide con la vera scienza (epistème) Ritiene inoltre che ogni tecnica particolare, che è il luogo della praxis, deve essere fondata universalmente su una conoscenza teorica, il luogo della noesis così come afferma che solo l’anima, e non i sensi, può conoscere l’aspetto “vero” delle cose, un conoscere che è ricordare, reminiscenza (anamnesis), dare forma al sapere.
Anche Aristotele (384-322 a.C.) che ha prospettato una completa e ordinata attuazione di tutte le potenzialità dell’uomo, grazie alla quale esso può realizzare un armonico sviluppo e perfezione, ha apportato un grande contributo nel campo pedagogico clinico.
Erodico (metà III sec. a.C.), maestro di Ippocrate, ha dato un valido apporto nella direzione della conquista degli equilibri psicofisici attraverso l’uso delle tecniche del massaggio, che in Pedagogia Clinica sono diventate un mezzo per favorire uno sviluppo armonico, una conoscenza di sé e una diversa disponibilità a stare con l’altro, attraverso il dialogo corporeo.
Altri importanti contributi, che sottolineano l’importanza del raggiungimento dell’armonia, della ricerca dell’accordo il più possibile completo tra corpo e anima, tra intelletto ed emozioni, sono giunti alla pedagogia clinica dal mondo classico. Esempi significativi sono Icro di Taranto, Diocle, Aristarco, Prassagora e infine Plinio il Vecchio, i quali ci offrono occasioni di insegnamento pedagogico clinico, di azione umana in aiuto alla persona.
Lo studio del culto nei templi di Asclepio (Esculapio per i Romani, Dio della medicina e della salute, figlio di Apollo e della ninfa Coronide, rappresenta un esempio di saggezza, di equilibrio e armonia tra anima e corpo) di cui si ha notizia dal VI sec a.C., ha dato importanti occasioni di insegnamento pedagogico clinico. Nel IV secolo a.C., a Pergamo fu costruito il Tempio di Asclepio che, ampliato continuamente nei secoli successivi, divenne il più famoso centro terapeutico dell’epoca. L’area sacra dell’asclepieo, luogo di culto e di guarigione, era un complesso architettonico cui si accedeva dalla via Sacra. In fondo alla via Sacra sul propileo, si leggeva: “In nome degli dei, è vietato l’ingresso alla Morte“. “Dell’area sacra facevano parte una biblioteca, un ampio cortile, una galleria che andava dalla biblioteca al teatro, spaziose sale e giardini, una fonte sacra, dei bacini, una piscina, un pozzo e, scesi sedici gradini, il criptoportico, un passaggio sotterraneo a volta lungo 80 metri, sul cui tetto c’erano dodici finestrelle. Seguendo il criptoportico si giungeva a un edificio circolare (tempio di Telesforo) dal quale muovendo a destra si poteva uscire dal tempio mentre se si girava a sinistra si tornava di nuovo all’interno di esso. È in questi locali di cura e centri di salute che avevano luogo gli interventi clinici, anticipatori delle terapie e degli interventi di aiuto dei nostri giorni. Nel tempio i malati venivano aiutati a ritrovare il loro equilibrio con la pulizia del corpo, i bagni di acqua e le abluzioni, i bagni di sole, i fanghi, i massaggi, l’esposizione dell’espressione emozionale durante le letture di libri epici e nelle interpretazioni teatrali, e con i suoni-rumori che ascoltavano sostando su un lastricato sotto il quale convergevano più canali di acqua scroscianti. Grande importanza terapeutica era rivolta al grido, alla musica, alle visualizzazioni libere e guidate, e alla suggestione. Quest’ultima in particolare era utilizzata nel tunnel, dove le persone transitavano dopo il buon esito delle terapie seguite. Dall’alto della volta attraverso dei fori erano infatti sollecitate a trovare in sé forze ed energie necessarie per assumere un atteggiamento attivo e positivo verso la vita”.
Nello studio di tali esperienze emerge l’importanza delle suggestioni nell’aiuto all’altro; nei portali si trovavano infatti indicazioni di comportamento quali quella di entrare solo se si sentiva in sé la volontà di affrontare questa esperienza, oppure veniva riconosciuta l’importanza della soglia, che già a quei tempi aveva il significato simbolico di dare valore all’entrare, all’andare oltre un determinato limite, come pure la circolarità nell’atto di accoglienza; infatti lo stare in cerchio era considerata un’opportunità interattiva come il canto, il coro, la musica. Partendo da tutti questi esempi, la pedagogia clinica è arrivata all’elaborazione del metodo Grafo-gestuale.
Anche l’educazione motoria in acqua o l’acquaticità, praticata nei templi di Asclepio, è fondamento ai metodi e alle tecniche pedagogico cliniche che danno all’individuo sensazione di contatto e di disponibilità al ricevere e al dare, analoghe a quelle vissute nel liquido amniotico.
Un’altra importante opportunità era rappresentata nei templi di Asclepio dal teatro, anch’esso adatto al ricreare nuovi equilibri psico-emozionali. L’utilizzo del teatro offre alla persona la possibilità di esprimersi attraverso tecniche di drammatizzazione e di manifestare pensieri, emozioni, attraverso un processo di simbolizzazione. La drammatizzazione è l’atto stesso del fingere, dove la finzione è rappresentazione simbolica nel significato di dare forma a. Nello studio delle radici profonde del fare teatro si evidenzia un piano antropologico, come forma rituale arcaica di auto-rappresentazione da parte di una comunità e un piano psicologico come istanza primaria di espressione, attraverso il meccanismo della finzione ludica, la stessa che presiede al gioco infantile e si introduce con la formula “facciamo che io ero”. In entrambi i casi nel gioco e nel teatro questo meccanismo della finzione genera piacere (già lo sottolineava Aristotele): il piacere della trasformazione, di creare alternative alla realtà, di assumere ed esplorare ruoli diversi, conoscendo più aspetti della propria identità. In Pedagogia clinica ritroviamo sia le tecniche mimico gestuali ed espressive del metodo Educromo® sia l’uso dello psicodramma olistico.
Nei templi di Asclepio era inoltre importante l’ascolto delle narrazioni epiche, adatte a fare emergere sentimenti di condotta coraggiosa, per ridestare la funzione dell’immagine come linea di unione tra pensiero, sentimento ed azione. Immaginarsi qualcosa significa apprestarsi a realizzarla e ciò ha delle implicazioni nella sfera emotivo-affettiva, costituendo un valido aiuto nella dinamica pedagogico clinica.
L’importanza dell’ascolto è stata messa in evidenza anche dal metodo Reflecting® che sottolinea i contributi di alcuni autori classici come Plutarco ed ancora prima di lui Cleobulo che afferma “è più importante ascoltare che parlare”.
Anche il mondo latino non è scevro di antesignani della pedagogia clinica. Marco Varrone, per esempio, sostiene che “il consiglio nuoce sia a chi lo dà che a chi lo riceve”.
Lucrezio ci insegna che è l’uomo a risolvere i suoi problemi, non potendo contare sull’aiuto divino in quanto gli dei sono lontani dagli uomini e non si curano di loro.
In Pedagogia Clinica si accoglie anche quanto sostiene Pietro Pomponazzi (1462-1525), ossia che l’essere umano ha il diritto di pensare qualsiasi cosa perché ognuno è il solo responsabile di se stesso e delle proprie idee, e successivamente ciò che M. Montaigne (1533-1592) ribadisce sull’inopportunità di dare consigli e l’importanza di ascoltare gli altri, rispettando e accettando il loro pensiero, e il cogito ergo sum di Cartesio.
Kant (1724-1804) e Hegel (1770-1831) ci ricordano l’importanza della razionalità per la vita umana mentre Schopenauer (1788-1861) e poi Nietzsche(1844-1900) hanno centrato l’attenzione sulle motivazioni pulsionali.
Questa ricerca storico-scientifica ed epistemologica ha permesso alla Pedagogia Clinica di individuare le connessioni con il fare ed il sapere del passato nei diversi campi della conoscenza, come quello della medicina, del sapere dei sacerdoti, della filosofia e delle diverse tecniche usate nell’approccio educativo o di cura quali la musica, il massaggio, il rilassamento, la suggestione, la prossemica, il canto e il coro, la motricità e l’acquaticità, saperi, tecniche ed attività che la fondano e la sostanziano come scienza attraverso una sua originale e creativa rivisitazione di essi.
Lo studio epistemologico ovviamente non può tralasciare i fondamenti scientifici della pedagogia evidenziati attraverso l’analisi degli studi e delle ricerche dei pedagogisti del 1800 e dei primi del 1900, che spesso vengono dimenticati o poco conosciuti. Si tratta di contributi pratici, di molti che si sono dedicati alla ricerca ed all’azione educativa, allo studio sperimentale delle diverse manifestazioni della natura dell’infanzia.
E’ fondamentale ricordare il Congresso Internazionale di Pedagogia di Bruxelles e quanti parteciparono a questo congresso.
Inoltre un altro importante contributo alla fondazione della Pedagogia Clinica come scienza viene dalla ricerca di quei pedagogisti che hanno individuato metodi e tecniche, occupandosi della pedagogia sperimentale, che ha sottolineato il ruolo della psicologia in aiuto alla pedagogia, così come degno di interesse sono stati quelli della pedagogia della personalità, anch’essa non molto ricordata (Hohmann, Goergen) o quelli della pedagogia scientifica (Rein e Zimmermann).
Nonostante ci siano stati studi riguardo al rapporto tra pedagogia e psicologia come scienza ausiliaria ad essa, sarebbe interessante capire la ragione del fatto che questo è stato successivamente ampliamente trascurato, così come spesso i pedagogisti si sono ricordati più dei medici che dei loro stessi colleghi. Anche se tanto di ciò che è stato sperimentato, analizzato e scritto in pedagogia nel passato è stato ignorato o ricordato poco e con molte mancanze o lacune, oggi la Pedagogia Clinica, attraverso lo studio epistemologico, ha riconosciuto tutti questi contributi, conferendo ad essi valore e spessore di ricerca, riconoscendone l’importanza ed una adeguata collocazione storico-scientifica.
Grande considerazione è stata giustamente attribuita ancor più a ciò che è accaduto in Italia, ed in particolare all’apertura del primo istituto per frenastenici a Chiavari, a cui sono dedicati diversi congressi, ad opera del pedagogista Antonio Gonnelli-Cioni. Il suo operato è stato descritto da numerosissimi articoli; egli ha ideato e definito un metodo per il recupero dei soggetti in difficoltà, dieci anni prima della M. Montessori. Inoltre ha fondato una rivista intitolata “l’Ortofrenia”, ha scritto libri e ha insegnato il suo metodo nel primo corso di ortofrenia di Milano, dal quale sono nate le Scuole Magistrali Ortofreniche, che non esistono più solo dal 1980. Il Gonnelli-Cioni ha messo in atto un metodo intuitivo-pratico-razionale che dava spazio all’educazione fisica, a quella intellettuale e quella tecnica, intervenendo nel recupero dell’individuo e delle sue abilità fisiche e psichiche. L’intervento era individuale o nel gruppo e sottolineava e valorizzava l’importanza educativa che potevano mettere in atto le madri. A testimonianza riportiamo quanto egli afferma:
“ A voi, madri di famiglia, ed a voi che lo sarete un giorno, io mi rivolgo […]. Applicatevi, come prime educatrici, a migliorare le condizioni di esistenza dei vostri figli se sono deboli: voi concorrerete così a preparare una società più sana, più forte e più saggia di quella in mezzo alla quale viviamo, una società che non offrirà agli sguardi dei buoni lo spettacolo dei risultati lamentevoli, ai quali, nei nostri giorni, siamo troppo spesso obbligati ad assistere”.
Grande riconoscimento è stato attribuito anche al contributo di M. Montessori per l’importanza che lei ha dato alla creazione degli ambienti educativi su misura dei bambini, affinché possano essere sperimentati in autonomia, senza bisogno dell’intervento dell’adulto, e per l’importanza dell’utilizzo del materiale senso percettivo che costituisce la base dello sviluppo intellettuale.
Nel Novecento nasce la psicoanalisi, il cui fondatore è S. Freud, a cui seguiranno altri importanti contributi come quelli di C.G. Jung e di A. Adler. La psicanalisi nasce come metodo di indagine per scoprire le cause delle nevrosi e come terapia per guarire le persone da tali disturbi. Essa si fonda su molti contributi sia psichiatrici ed in particolare della psichiatria dinamica che cerca le cause delle patologie cerebrali anche nella sfera mentale, che filosofici (Schopenhauer e Nietzsche). La pedagogia clinica, pur discostandosi sia dai principi che dai metodi utilizzati sia in psicanalisi che in psicoterapia, non ne disconosce i contributi soprattutto per quanto riguarda il concetto di personalità e di temperamento.
Un altro fondamentale contributo, ma anche un’individuazione dei limiti delle posizioni dei pedagogisti del passato, arriva da S. Vygotskji (1896-1934) che sottolineava quanto ancora l’integrazione fosse scambiata con una educazione condotta su un modulo quantitativo, come lui stesso definiva “delle sottrazioni”, poiché si riducono di numero o di velocità le proposte didattiche agli alunni cosiddetti “handicappati”. Essi infatti sono considerati malati da chi si occupa di loro e quindi l’intervento è realizzato attraverso una pedagogia “patologico-terapeutica,” mentre quello che viene ignorato secondo Vygoskji è che si tratta di bambini che si sviluppano in modo diverso, poiché su di loro non pesano solo cause organiche ma anche la “degradazione della posizione sociale”, “ l’anormalità sociale”. Egli affermava: “Non è il deficit in se stesso a decidere le sorti della personalità, ma le sueconseguenze sociali”. Il libro di S. Vygotskji “Fondamenti di difettologia” di cui G. Pesci ha curato la prefazione e l’edizione italiana (1986), descrive una disciplina orientata al recupero delle persone con particolari difficoltà e G. Pesci ed altri pedagogisti clinici hanno approfondito la conoscenza di metodi e tecniche della Difettologia all’Università di Lubiana.
In Europa intanto in quello stesso periodo si stava diffondendo la psicomotricità che risultava utile e ha offerto validi contributi alla pedagogia clinica. G. Pesci ha organizzato incontri, convegni e seminari con i più grandi maestri di questa scienza tra cui Le Bouche.
La Pedagogia Clinica era intanto nata a Firenze agli inizi degli anni ’70 dallo studio di alcuni orto-pedagogisti (tra cui il citato G. Pesci fondatore di tale scienza), un gruppo di persone laureate in lettere, filosofia sociologia e pedagogia, che avevano acquisito professionalità nell’affrontare problemi di individui in difficoltà. La loro intenzione era quella di mettere a punto un percorso formativo per quanti avevano l’obiettivo di svolgere la professione di orto-pedagogista. Durante tali studi e ricerche nacque anche l’esigenza di liberarsi dall’aggettivo “orto”, un termine che risentiva di un orientamento medico, per creare un ambito proprio e meglio orientato a questa nuova scienza che stava appunto nascendo. Il termine orto-pedagogista nasceva dall’uso del prefisso “orto”, allora molto usato, basti pensare ai termini “ortofrenia” e “ortofrenici” da cui sono derivate le scuole ortofreniche, in cui gli orto-pedagogisti insegnavano per formare gli insegnanti ortofrenici che, in seguito alla nuova normativa vengono definiti specializzati.
1.2 La nascita della Pedagogia Clinica e sua definizione
Nel 1974 questi pedagogisti, riuniti nel Cenacolo Antiemarginazione di Firenze, un centro di ricerca molto attivo, e guidati dal professor Guido Pesci, decisero di sostituire il termine ortopedagogista con quello di pedagogista clinico. Il movimento dei pedagogisti clinici è un movimento scientifico professionale che ha ricavato orientamenti scientifici dalla ricerca e dalla sperimentazione ed è arrivato ad assumere un ruolo fondamentale nella prevenzione e nel far fronte ai disagi della persona, favorendone un equilibrio psico-affettivo e socio-relazionale e si è avvalso di tecniche e metodologie esclusive per affrontare i molteplici bisogni dell’individuo. In questa ottica è stata data particolare attenzione all’uso di parole e di un linguaggio che contraddistinguesse questa scienza andando a sottolineare l’aspetto positivo e le potenzialità piuttosto che le difficoltà e i limiti della persona.
Tale formazione post-laurea è triennale, viene svolta presso l’Isfar di Firenze, che nasce nel 1996 per far fronte alle diverse richieste di formazione come pedagogista clinico, formazione che prima veniva impartita individualmente. Nel 1997 il movimento dei pedagogisti clinici ha fondato l’ANPEC (Associazione Nazionale Pedagogisti Clinici), costituita con atto pubblico e registrata a Firenze il 16 Aprile 1997 che riconosceva l’Isfar, (Istituto Superiore Formazione Aggiornamento Ricerca) Post Università delle Professioni, come l’unico istituto idoneo alla formazione del pedagogista clinico. Nel 2002 si è costituita in Belgio l’Associazione Pedagogisti Clinici (ANPC) e nel 2004 si è costituita la Federazione delle Associazioni Europee, Euro-Anpec.
Il pedagogista clinico è abilitato all’esercizio della pedagogia clinica, nell’ambito dell’anamnesi, della diagnosi, dell’intervento educativo e della prevenzione. La parola anamnesi, dal greco anamnesis (ricordo, reminescenza) viene ampliato in pedagogia clinica fino ad essere una raccolta di informazioni, più complete possibili, sulla storia di un individuo, ottenute nel pieno rispetto della persona, informazioni che è importante conoscere per realizzare un percorso pedagogico clinico adatto a quell’individuo. L’anamnesi pedagogico clinica è stata però depurata da tutte le modalità di indagine ritenute non idonee ad un atto educativo: l’anamnesi pedagogico clinica non deve essere un interrogatorio, né un’inchiesta, né un’intervista guidata ma deve partire da una costruzione simpatetica che ha trovato il suo riscontro esclusivo nella modalità del colloquio, dove il pedagogista clinico interviene il meno possibile e dove è possibile cogliere la trama delle motivazioni della persona, l’immagine che l’individuo ha di se stesso, i suoi bisogni, la sua situazione sociale, le difficoltà nel vivere i rapporti.
Il pedagogista clinico non chiede del disturbo, non assume un modello autoritario che rende passiva la persona, non si basa su classificazioni. Il colloquio è un’occasione per un incontro con la persona, serve per un’analisi approfondita e raccoglie informazione anche per mezzo di messaggi silenziosi. Al pedagogista clinico si richiede di apprendere e progressivamente di personalizzare il fare, dall’aspetto tecnico alla modalità di applicazione della tecnica, aggiungendo tatto e disponibilità.
La fase di rilevazione diagnostica impone un’attenta osservazione, cioè l’andare oltre la superficie, muovere dallo studio dei sintomi per poi analizzare ciò che essi celano, il legame interno ai fenomeni per osservare i rapporti nei quali si realizza il processo di sviluppo. Non avviene quindi una misurazione ma, nel rispetto dell’unità psicofisica della persona, si analizzano le potenzialità, l’integrità e ci si muove su ogni sfaccettatura che riguarda tale persona: dalla diagnosi dell’autonomia a quella delle abilità nel rapportarsi all’ambiente, ad altre abilità più specifiche (abilità e potenzialità segnico-grafiche, di codifica e decodifica scrittoria ecc..) fino a quelle dell’espressività motoria che permettono di leggere ogni aspetto della personalità in un intreccio organizzativo motorio ed emotivo relazionale. L’analisi dei graphonage e dell’espressività cromatica è un ulteriore ausilio, insieme a quello di alcuni test standardizzati, che però non vengono utilizzati per giungere a valutazioni misurabili in cifre o a classificazioni e tabelle, ma come stimolo alla riflessione per una maggiore conoscenza dell’altro, ai fini di un’azione pedagogica in risposta alle sue reali esigenze.
1.3 La Pedagogia Clinica e i bisogni educativi della vita moderna
Le conoscenze scientifiche che sostanziano i principi della Pedagogia Clinica hanno già evidenziato la concezione secondo cui l’educazione è un continuum in ogni età, si tratta di un’educazione che non ha termine e si colloca in ogni circostanza di relazione. Lo scopo è quello di far nascere nell’individuo le forze per realizzare e vivere la sua vita. Essa propone quindi un’educazione che attinge alla sorgente operativa del bene, è rivolta alla vita nell’intento di integrare il pensare e l’agire.
Tradizionalmente il pedagogista è orientato all’aiuto del bambino, mentre il pedagogista clinico si rivolge alla persona di ogni età, comprese quelle persone che, a causa di disagi fisici, psichici e sensoriali, hanno bisogno di interventi per trovare risposte adeguate per integrarsi nella società.
Se il termine Pedagogia indica l’azione dell’educare ed aiutare a comprendere, come risposta a bisogni educativi concreti della persona, il termine clinico in educazione riunisce in sé il significato di osservazione, e di aiuto dell’altro.
Di grande interesse è il concetto di persona, intesa come un individuo intero, unitario ed unico. Tale concezione comporta una conseguenza estremamente significativa ed innovativa dal punto di vista pragmatico: la pedagogia clinica ed il pedagogista clinico non intervengono sul disagio, sulla difficoltà della persona o su ciò che ad essa manca, sia nel campo delle strumentalità che in quello degli equilibri psicoemotivi ed affettivi, ma attraverso il riconoscimento delle caratteristiche individuali di ciascuno, predispone interventi atti ad agire sulle potenzialità, su ciò che esiste, favorendo ed accompagnando la presa di consapevolezza e lo sviluppo da parte della persona, proprio partendo da tali aspetti. A fondamento di ciò sta la convinzione che il potenziamento, la trasformazione e l’evoluzione di una parte della dimensione individuale, comporta, attraverso la visione olistica dell’essere umano, il trasferimento ad altre parte della dimensione di quell’individuo, per arrivare ad integrare nel miglior modo possibile tutti gli aspetti e componenti di quella persona nella sua interezza. Altrettanto fondamentale è la concezione di bisogno educativo, un concetto che è profondamente connesso ad altri concetti quali quello di libertà individuale e di sfera relazionale e sociale, che fra gli altri ambiti include anche quello dei valori individuali e socialmente condivisi da un gruppo, ad essi legato da un punto di vista etico.
L’interesse scientifico e l’impegno orientato alla ricerca nel campo sconfinato della vita umana, nella direzione del miglioramento e della costruzione di nuovi equilibri, della libertà e individualità, hanno permesso di arrivare ad un profondo mutamento di concetti e di valori propri della nostra cultura. L’analisi della situazione esistente e la ricerca di un costrutto alternativo rispetto alla situazione attuale che non ha dato grandi soddisfazioni riguardo ai risultati ottenuti in tale ambito, hanno permesso di percepire la possibilità del raggiungimento per l’individuo di una maggiore indipendenza e di un migliore equilibrio fisico, psichico ed emotivo relazionale, attraverso l’applicazione di formulazioni concettuali e tecnologiche innovative, con un indirizzo autonomo ed originale, aspetti dei quali i nuovi tempi necessitavano urgentemente.
Lo scopo del pedagogista clinico è quindi quello di aiutare la persona a trovare in se stessa le risorse per affrontare le situazioni di disagio, per agire con indipendenza organizzativa e avviarsi alla ricerca del proprio equilibrio, scopo che esclude ogni principio connesso a forme di controllo della vita dell’altro, ma che semmai spingono la persona a modificare il concetto che ha di sé, indirizzandola alla ricerca del proprio equilibrio e della propria armonia per poter diventare indipendente.
Si tratta di sostanziali modifiche in molte teorie e procedure operative su metodologie e criteri di intervento fondamentali per il progresso sociale, che hanno rinunciato ad interventi stereotipati, rapidi e poco costosi, a classificazioni secondo parametri che orientano su ciò che manca o sul disturbo, ma che danno invece spazio all’analisi di ciò che la persona mette in atto per compensare, che prendono in considerazione la vita di tale persona, le sue esigenze e bisogni in quanto essere che vive in una società.
Lo studio della Pedagogia Clinica implica la conoscenza di tutte le scienze umane quali la psicologia, la sociologia e l’antropologia, la neurologia la fisiologia ed altre ancora perché esse hanno privilegiato e si sono concentrate su una tematica sola, mentre essa è incentrato su un problema più vasto, dal quale dipendono gli equilibri dell’ndividuo e del cosiddetto tessuto sociale. Non si differenzia dalle altre solo per la qualità dei metodi adottati ma perché ha un modo diverso ed originale di rapportarsi all’individuo di ogni età e alla società intera.
In questa costante ricerca la Pedagogia Clinica individua tutti quei fattori che connettono l’educazione al progresso umano e cresce la consapevolezza in quanti fanno ricerca pedagogico clinica, della necessità pressante di nuove soluzioni educative che rinforzino sia l’individualità che lo stare in relazione con l’altro, in una società sempre più complessa e differenziata ma che contemporaneamente crea isolamento ed esclusione, oltre che modelli culturali stereotipati e talvolta invadenti se non addirittura invasivi. Basta pensare alla pubblicità, alla forza di certe immagini o di certi messaggi e all’uso indiscriminato della televisione per i bambini e di internet per i ragazzi, per comprendere quanto sia necessario un lavoro di prevenzione realizzata per mezzo di una pedagogia clinica legata all’idea della valorizzazione del singolo individuo e alle sue energie e risorse interne, che lo rendano protagonista attiva delle proprie esperienze e della propria vita e non fruitore passivo o spettatore inconsapevole. Non si tratta di demonizzare nessuno strumento e nessun ambito ma semplicemente di stimolare alla presa di coscienza del bisogno, spesso assopito e disconosciuto, dell’essere protagonisti attivi della propria esistenza.
Va sottolineato con forza quanto sia fondamentale per il benessere di ciascuno che in ogni situazione ed ad ogni età, colui che ha perso la consapevolezza di questo fondamentale bisogno, può essere indirizzato alla riconquista di una dimensione vitale e creativa che rimette in moto il desiderio, la voglia di esprimere parti di sé e la libera espressione della propria creatività. Il Pedagogista Clinico e la Pedagogia Clinica quindi come forze propulsive verso una nuova educazione dell’uomo, per il riconoscimento da parte di ciascuno dei suoi bisogni ma anche delle sue risorse, come pedagogia flessibile che si adegua allo sviluppo e al cambiamento sociale e quindi degli individui, per un reale rinnovamento della società in cui l’uomo vive, come campo di battaglia contro ogni cristallizzazione e conformizzazione, in qualsiasi ambito che riguardi l’approccio alla persona, dagli interventi educativi, scolastici e sociali a quelli familiari e a quelli sanitari.
In quanto dotati di una consapevolezza della propria esistenza, tutti noi, da una certa età in poi sappiamo di essere vivi e dotati di una individualità che ci differenzia dagli altri esseri viventi, dotati cioè di ciò che in termini specialistici si chiama identità, ma che il senso comune, già dalle prime fasi di sviluppo del pensiero simbolico definisce come io. Durante il cammino della vita può nascere, in diverse situazioni di disagio, di crisi, di cambiamento o di crescita, il bisogno riconosciuto o meno dall’individuo stesso, bambino, ragazzo, adulto o anziano, di riflettere su di sé, per trovare o ripristinare equilibri persi in tali momenti.
A questa riflessione, che le società antiche hanno riconosciuto come diritto e bisogno umano legato alla sua trasformazione ed alla sua crescita, e alla quale hanno dato connotazione e dignità pedagogico-educativa, oggi talvolta viene dato il nome di terapia, una parola che richiama un ambito di malattia, che crea inevitabilmente nella persona un senso di allarme, preoccupazione e talvolta disagio e vergogna nel comunicarlo ad altri: “allora forse ho bisogno di curarmi”, quando magari ha solo bisogno di comprendere meglio se stesso e le proprie esigenze, attraverso una riflessione ed una ricerca su di sé, per attivare strategie adeguate per il miglioramento della qualità della vita.
Pedagogia clinica quindi anche come riconoscimento del bisogno umano non sempre consapevole ma ineliminabile e comune a tutti gli uomini, di riflettere su di sé, sulle proprie relazioni, sul proprio ruolo e di essere sempre protagonisti attivi della propria vita, pena la caduta in stati di immobilismo, passività, conflittualità con se stessi e con gli altri ed infelicità.
1.4 Metodi e tecniche del pedagogista clinico
Metodi:
Self® per il risveglio delle abilità nell’autonomia e coscienza di sé
MPI® (Memory Power Improvement) per l’attentività e la mnesi
BonGeste® per la grafo espressività
Prismograph® per educare al segno grafico
Eucalculia® per le abilità logico matematiche
Writing Codex® per la codifica scrittoria
Educromo® per la decodifica scrittoria
Edumovement® per le esperienze organizzativo motorie
Ritmo Fonico®, Coreografia Fonetica®, Vibro-vocale® per l’ascolto, l’espressività e la comunicazione orale
Inter-Art® per lo sviluppo della creatività
Musicopedagogia® per la facilitazione delle modalità interattive
Discover Project®, Trust System®, Touch-Ball®, Body-Work® per l’esplorazione del corpo
Training induttivo® per favorire il rilassamento
Reflecting® per favorire l’evoluzione positiva
Psicofiabe® per stimolare l’immaginazione.
Picturefantasmagory®, ClinicMentalPicture®, Cyberclinica® per favorire rinforzi ergici e nuove disponibilità al rapporto.
CAPITOLO II
LA PEDAGOGIA CLINICA E LA SCUOLA
2.1 La scuola ha bisogno di una trasformazione
La scuola in una società complessa e strutturata come la nostra ha un ruolo fondamentale nel processo di formazione ed educazione dei bambini e dei ragazzi e questo risulta sempre più evidente dalle crescenti richieste dei genitori e di chi si occupa di analisi e di studi sociali.
La scuola, in una società che cambia velocemente e dove i punti di riferimento spesso vengono a mancare o emettono segnali contrastanti e per questo capaci di disorientare sia i ragazzi che i genitori che gli stessi insegnanti, continua a interrogarsi su se stessa senza trovare risposte concrete e incisive.
La scuola oggi è lontana e vicina ai bambini e ai ragazzi: lontana perché strutturata in un modo burocraticamente statico ed imbavagliata nella sua potenzialità creative dal centralismo, che detta regole senza conoscere profondamente la realtà, dai programmi talvolta inefficaci, ma anche dalla perdita dell‟ importanza e del rispetto delle regole e dei valori quali la condivisione, la cooperazione, il riconoscimento profondo del diritto alla propria ed altrui crescita individuale, senza che qualcosa di altrettanto profondo sia andato a sostituirli. Vicina fisicamente perché ogni giorno ci si incontra e scontra su un terreno arduo, ma talvolta anche costruttivo.
Noi, come insegnanti della scuola media, abbiamo visto tanti cambiamenti soprattutto formali, nei programmi o nei corsi di aggiornamento ed abbiamo visto ragazzi sempre più lontani ed in situazioni di disagio rispetto agli apprendimenti, all’impegno, all’interesse, alla motivazione, ai rapporti e alle relazioni umane tra loro e con gli adulti ma è sempre più evidente che essi non sono sufficienti a rispondere ai bisogni che emergono ed alle necessità educative attuali.
2.2 I principi educativi della Pedagogia Clinica in aiuto alla trasformazione della scuola
Se l’educazione diventasse “arte educativa idonea ad aiutare l’allievo ad apprendere in un clima di cooperazione, nella consapevolezza che ogni suo errore può essere specchio di un possibile errore da imputare a se stessi” (G.Peci, M. Mani, Scuola che cambia, Edizione Magi, Roma, 2011) come educatori, questa potrebbe essere la risposta per vincere la sfida educativa in una società che cambia velocemente, che sta mettendo a dura prova tanti insegnanti anche i più appassionati e motivati.
Il desiderio di apprendere fa parte dell’essere umano, è insito nel processo evolutivo ontogenetico e filogenetico, perché legato alla sopravvivenza, è la spinta naturale del bambino che va verso il mondo reale e lo conosce attraverso i sensi, il movimento e attraverso il gioco motorio e poi simbolico, è la spinta stessa dell’uomo verso il nuovo, il progresso, la scoperta. Poi il bambino entra nelle istituzioni scolastiche e gradualmente perde la curiosità, la voglia di conoscere, di imparare, di fare.
Noi adulti ci interroghiamo su questo ed in misura maggiore gli insegnanti, che vedono man mano che passano gli anni ed il bambino diventa ragazzo, una progressiva perdita di curiosità ed una posizione degli allievi sempre meno attiva rispetto alla scuola, intesa come luogo di conoscenza, di apprendimento e di crescita.
Il periodo storico che stiamo vivendo è complesso e difficile poiché il ruolo della scuola, e di conseguenza quello dell’insegnante, hanno perso quell’importanza e quel rispetto da parte della società che meno di quarant’anni fa riconosceva loro un ruolo privilegiato nell’istruzione e nell’educazione del futuro cittadino.
La società ha subito delle profonde e rapide trasformazioni e il ruolo tradizionale dell’insegnante e della scuola sono venuti meno, ma niente di altrettanto profondo si è radicato nella coscienza collettiva, che andasse a riempire il vuoto lasciato da tale perdita. “La qualificazione accademica non ha mantenuto il passo che sarebbe stato necessario per lo sviluppo delle tecnologie educative e non ha perseguito concretamente i principi pedagogici di apprendimento collettivo e di programma individualizzato.” (ibidem)
“Strumenti, oggetti, corsi di formazione non hanno lavorato sulla crescita e trasformazione degli insegnanti come individui “…. “hanno interrotto la mediazione personale … hanno impedito che nascessero le occasioni per sviluppare costrutti psicodinamici e generare scambi simpatetici, tentando la soluzione dei problemi in termini quantitativi” . (ibidem)
Su queste mancanze si è inserito inoltre il graduale tentativo centralistico di trasformazione della struttura scolastica in azienda educativa, tentativo di cambiare e progressivamente eliminare quei valori da cui da tempo era sostenuta, almeno in linea di principio, valori fondanti quali la cooperazione, la condivisione e la collegialità.
“L’industria dell’educazione … si è potuta inserire nel circuito acritico della scuola dove, in assenza della ricerca e della sperimentazione, tutto è stato accolto”. (ibidem) La scuola è diventata un’acquirente di materiali, con i quali si è proposto ed imposto modelli standard, percorsi programmati con utilizzo di schede predisposte e programmi per i computer dove è venuta meno un insegnamento pedagogico, che andasse ad amalgamarsi al desiderio dell’alunno di imparare, essendo lui stesso al centro del processo creativo dell’apprendimento.
Questo è potuto accadere anche grazie alla perdita di fiducia nella struttura scolastica e nell’insegnante, messi continuamente in discussione in modo non costruttivo da parte della società e alla perdita di autostima degli insegnanti stessi che credono sempre meno nella propria identità professionale, nella propria importanza come ruolo sociale e nella efficacia delle proprie strategie educative.
Diventa necessario ed urgente che l’insegnante torni ad essere il fulcro e il costruttore della sua attività pedagogica, che metta in moto le proprie competenze e strategie basate su una metodologia creativa, per favorire apprendimenti in individui con caratteristiche ed abilità diverse, comprendendo che la noia dell’alunno è responsabilità dell’insegnante e che è necessario che l’allievo riconosca in sé la voglia di imparare.
Il corso di formazione in Pedagogia Clinica ha reso sempre più evidente ai nostri occhi come sia indispensabile una trasformazione della scuola, che non può attuarsi se non attraverso una reale, profonda e radicale trasformazione degli insegnanti, i quali hanno bisogno loro stessi per primi di stare bene a scuola, di credere nella propria creatività pedagogica e nelle proprie risorse educative, liberandosi da un modo di relazionarsi con gli altri inefficace e talvolta anche dannoso, per se stessi e per gli alunni.
Nella scuola di oggi sono stati riversati sugli insegnanti centinaia di corsi di formazione che vanno nella direzione di tentare di abbellire una facciata, senza entrare nell’analisi e nella ricerca di costruttive soluzione ai sostanziali disagi insiti sia nei processi di apprendimento degli alunni, che in quelli relazionali. Purtroppo, pur riconoscendo su un piano teorico ormai condiviso da molti insegnanti, che l’autostima è il più forte motore per l’apprendimento, solo in rare situazioni si è compresa la portata di questa affermazione e quindi si è tentato una reale trasformazione dell’approccio. Partendo da una specifica formazione, che trasmetta e renda padrone l’insegnante delle proprie strutture espressive nella relazione e che favorisca positive situazioni di scambio con gli alunni, questo cambiamento diventa possibile.
All’interno della struttura scolastica, anche se organizzata in modo rigido e arbitrariamente dall’alto, esistono degli spazi in cui è più facile inserirsi per iniziare un processo di graduale cambiamento, anche se è evidente che gli spazi hanno bisogno di essere riempiti e vissuti da persone che credano in una reale trasformazione e abbiano la voglia di mettere in discussione i propri costrutti più rigidi, tornando ad alimentare quella voglia di espressività e di creatività, che dà spazio alla crescita psichica come individuo in rapporto con sé e con l’altro. La voglia cioè di ripensare sé, sé con se stesso e sé con l’altro, nel proprio ambito relazionale e lavorativo.
Gli spazi da cui partire potrebbero essere quelli dei progetti, terreno di cui riappropriarsi da parte di quegli insegnanti realmente motivati, perché diventato talvolta ambito di contesa tra servizi sociali e scuola anziché di collaborazione, dove vanno a giocare anche situazioni di investimenti e profitti economici. Dove è possibile i progetti potrebbero essere inseriti nei laboratori ed in tutte quelle attività laboratoriali e pratiche, dove già per loro stessa definizione dovrebbero trovare spazio esperienze, che hanno tempi di realizzazione più distesi e sgombri dalla valutazione quantitativa, rispetto alle prestazioni curricolari richieste agli allievi nelle conoscenze delle singole discipline.
Questa valutazione è una delle prime cause di dicotomizzazione del rapporto tra docente e discente, dove non esiste una reale e progressiva mediazione tra gli individui, né scambi di informazioni autentiche né ricerca da parte dell’insegnante sul reale processo di apprendimento dell’allievo, sui suoi dubbi o incertezze. Il terreno per costruire le intese in questa situazione è completamente minato dall’esistenza di due fronti che si scontrano: l’alunno che cerca di “fregare” l’insegnante che giudica quantitativamente le sue prestazioni. Questo fronteggiarsi nasce dalla mancanza della volontà di attraversarsi come individui e di interrogarsi su ciò che avviene in un reale incontro tra due entità psichiche, che al di fuori di ciò non hanno e non trovano niente da dirsi.
2.3 La scuola secondaria di primo grado e i preadolescenti/adolescenti
La scuola secondaria di primo grado, per sua struttura e caratteristiche, rappresenta una scuola di passaggio e di trasformazione, più di altri ordini di scuola per diverse ragioni: perché è organizzata in un triennio e si trova tra due ordini, la primaria e la secondaria di secondo grado, che invece sono organizzate in un quinquennio. La scuola media rappresenta una meta per i bambini della scuola primaria ma contemporaneamente accompagna un periodo dell’età evolutiva, la preadolescenza che è attraversato da rapidissime trasformazioni fisiche (morfologiche, sessuali ed organiche) psichiche e cognitive.
I rapidi cambiamenti del corpo comportano di conseguenza una trasformazione della percezione di sé, della mappa mentale del proprio corpo, ma anche una nuova definizione di sé rispetto a se stesso e rispetto agli altri. Il corpo che cambia mette in gioco una serie importante di ridefinizioni, sia a livello di movimenti, di padronanza che di coordinazione dei vari segmenti corporei, da rapportare anche alla relazione di questo negli spazi che vengono talvolta percepiti come prima, ma dove ci si muove con un corpo diverso, più grande, più ingombrante o anche più visibile o addirittura più vistoso.
Questo produce talvolta critiche severe al proprio aspetto o al proprio modo di muoversi e di conseguenza anche a quello dei compagni, può causare insicurezze, ricerca di modelli ai quali riferirsi e con i quali confrontarsi.
Inoltre la costruzione della nuova identità sessuale comporta un evidenziarsi nitido di caratteri sessuali secondari e caratteristiche fisiche tipiche dello sviluppo, con tutte quelle trasformazioni nella forma che questo corpo sta assumendo, assomigliando ad un corpo adulto senza ancora esserlo e nella produzione di umori ed odori. Ciò può produrre un approccio al proprio corpo e al corpo degli altri, in termini di imbarazzo o esibizione, attrazione o repulsione, con connotazioni contrastanti e contraddittorie e talvolta ambivalenti.
Diventa importante sentirsi dentro al gruppo, accettati da esso, perché ogni influenza esterna è profondamente significativa sia in senso positivo che negativo.
Su questo terreno fragile e facilmente manipolabile si inseriscono tutti quei fattori condizionanti di una società che si fonda sul principio del profitto e quindi sfrutta ogni spazio che si apre, per creare nuovi consumatori e nuovi orizzonti al mercato: abbigliamento, profumi e tutti quegli accessori che definiscono lo status simbolo dell‟adolescente.
Un altro importante cambiamento tipico di questa età riguarda il pensiero e l‟aspetto cognitivo che, secondo la teoria stadiale piagetiana da operatorio concreto diventa gradualmente astratto. Anche senza essere così strettamente schematici, risulta evidente a tutti gli insegnanti più attenti che questo è un passaggio importante che viene raggiunto gradualmente e in modi e forme differenti, ma che conduce l’individuo ad una capacità critica che viene rivolta sia verso se stessi che verso l‟altro ed in particolare verso le figure degli educatori e dei genitori. Tale capacità permette all‟adolescente di cogliere tutti quegli aspetti contraddittori in ambito relazionale ed educativo e suscita proprio per la natura stessa di tale conquista, atteggiamenti di protesta e di ribellione. Allo stesso tempo quindi, tipico di questo momento della vita, si fa sempre più pressante il bisogno di autonomia e di autodeterminazione, che può produrre il mettere in discussione le regole e gli ambiti che i ragazzi considerano limitanti rispetto alla loro stessa autonomia: la famiglia con le figure genitoriali e la scuola con gli adulti (insegnanti, dirigenti e personale ata) che la “abitano”.
In tale presa di distanza dal mondo degli adulti vi è di conseguenza una ricerca di condivisione e di conferma da parte di chi sta vivendo esperienze simili, e un consolidarsi ed intensificarsi dei rapporti con i coetanei, accompagnati dal bisogno di sentirsi accettati dal gruppo. I preadolescenti si rispecchiano nel gruppo e vedono attraverso l‟altro i propri cambiamenti.
La scuola come luogo fisico di incontro tra ragazzi ma anche con gli adulti, potrebbe essere lo strumento attraverso il quale favorire esperienze di partecipazione reale e di crescita degli individui, di costruzione di significati condivisi.
Come insegnanti talvolta abbiamo notato che l’inserimento nei gruppi di nuovi individui o di individui che si discostano dagli altri per qualche aspetto fisico, culturale, psichico o di comportamento non è sempre facile, così come ci sembra sempre più frequente che i rapporti dei ragazzi tra di loro e con gli adulti, non vadano molto in profondità ma rimangano spesso in superficie.
I gruppi di ragazzi che si frequentano e stanno insieme nella scuola, infatti, non coincidono con la suddivisione logistica in classi, considerate sia come luogo fisico che come gruppo di alunni e quindi lo stare insieme per un numero di ore settimanali imposto, diventa molto spesso uno stare insieme privo di un reale scambio comunicativo e della voglia di approfondire la conoscenza reciproca tra i membri di una stessa classe.
E’ anche molto frequente che in simili contesti si creino situazioni di conflitti, di competitività e di giudizi tra i ragazzi. L’inevitabile conseguenza di ciò è un profondo disagio soprattutto per chi per sue caratteristiche di carattere e modalità di relazionarsi, non riesce a reagire e sovente si creano conseguenze negative per chi è più fragile, che può diventare vittima di scherzi, prepotenze ed episodi di bullismo.
Le classi quindi, pur avendo per loro stesso carattere connotativo quello di favorire esperienze di incontro e di crescita individuale, non riescono a rispondere a tali esigenze se non saltuariamente, casualmente ed in minima parte. Spesso invece all’interno delle classi esistono dinamiche relazionali pregresse o si formano durante la frequentazione e tali dinamiche producono contrapposizioni che nascono da fraintendimenti, comunicazioni falsate, giochi di potere e di invidia. A tutto questo si unisce la complessità della gestione delle relazioni che gli insegnanti devono affrontare con gli strumenti tradizionali quali l’imposizione delle regole, la valutazione, le punizioni e quant’altro, in rapporto alle trasformazioni generazionali e i mutamenti dei nuovi adolescenti e preadolescenti.
La situazione è resa ancora più complessa dal fatto che tale approccio talvolta frettoloso ed impulsivo nei rapporti e nelle relazioni umane è analogo a quello che molti ragazzi mettono in atto nello studio e nell’apprendimento, aggravato se non provocato dall’atteggiamento disorientato e contraddittorio di molti insegnanti.
2.4 Teatro e scuola: un rapporto complesso
L’inserimento del teatro nella pratica educativa italiana rappresenta un punto di incontro variegato e talvolta contraddittorio tra due realtà che hanno avuto tra loro momenti di avvicinamento ed attrazione ma anche di negazione e critica. Questo è probabilmente causato dal fatto che la scuola ed il teatro appartengono a mondi diversi e mettono in campo forme diverse di fare educazione. La conoscenza sistematica che si basa su processi logico-cognitivi che appartengono tradizionalmente all’ambito scolastico, l’uso di processi analogici, esplorativi, che si basano sull’intuizione e sull’emozione che appartengono invece all’ambito del teatro.
E’ ormai diventata però una convinzione condivisa e condivisibile l’idea che nell’incontro e nell’integrazione armonica di questi due aspetti stia il successo del processo educativo.
Nel passato ci sono significativi esempi di felice incontro tra prassi educativa ed il teatro, come per esempio le esperienze teatrali realizzate da Don Giovanni Bosco nell’Oratorio Salesiano, ma non si tratta della scuola statale e pubblica che viene istituita con la legge Casati del 1859 in un momento in cui l‟unificazione del paese non è ancora attuata.
Con i “Programmi Ministeriali per i futuri maestri” del 1887 nella scuola strutturata ed improntata al pragmatismo non trova spazio il teatro, elemento problematico e per sua natura poco schematizzabile. Nemmeno nei primi decenni del Novecento vi sono significative trasformazioni in questa direzione, mentre i “Programmi per la scuola Primaria del 1923/24 introducono almeno a livello teorico l’idea di “scuola attiva” ed il principi dell’educazione con l’arte del valorizzare l’aspetto dell’oralità e della recitazione. Di fatto però il teatro nella scuola è visto dalla cultura ufficiale come un aspetto di evasione e comunque non considerato come vera arte universale, pura ed autonoma.
Questo atteggiamento rimane diffuso e più o meno immutato fino agli anni sessanta. In questi anni ed in quelli successivi una crisi accomuna il teatro e la scuola e si mette in moto un’esigenza di profonda innovazione.
Sul versante educativo vi sono tentativi di attuazione dei principi della scuola attiva, della pedagogia del gioco, del gioco drammatico, dell’imparare attraverso il fare, sul versante teatrale si comincia ad avere interesse per esperienze che fanno leva su concetti come partecipazione, gruppo e creatività.
Si comincia a parlare dell’importanza fondamentale della funzione creativa nell’apprendimento e si cominciano ad unire il teatrale e lo scolastico. Il teatro e la drammatizzazione cominciano a mostrare la funzione multi-espressiva nell’utilizzo di più canali: uditivo e sonoro attraverso la parola ed il suono, corporeo ed espressivo attraverso il gesto, il movimento e la mimica, mentale e di astrazione attraverso la finzione, il simbolo e la rappresentazione stessa della realtà. Ma poiché la trasformazione e la rottura con il passato ha poi generato confusione e perdita di punti di riferimento, negli anni successivi, anche per una reazione difensiva rispetto alla paura della perdita dei ruoli prestabiliti e fissi e della caduta nell’approssimazione e nella superficialità, si torna a separare i ruoli.
Da una parte l’insegnante con il suo ruolo istituzionale dentro al curricolo scolastico e dall’altra l’animatore teatrale organizzatore e supporto dell’arte scenica.
Accade così che nelle scuole e nella scuola si continui a fare teatro in uno spazio incerto tra sperimentazioni e progetti talvolta anche molto innovativi e il ritorno ad una forma più tradizionale attraverso metodi di ammaestramento ed addestramento alla recitazione.
Anche nei programmi Ministeriali non vi è molta chiarezza e nei riferimenti all’attività teatrale non emerge una chiara visione della caratteristica di integrazione nel percorso educativo ad eccezione di quelli per la scuola materna per l’attività educativa del ’91 che contengono una reale valorizzazione dell‟attività teatrale, attraverso l’evidenziazione dell’importanza del gioco dramma, del gioco simbolico e dei giochi con maschere.
Nei programmi per la scuola media manca ogni riferimento esplicito alla pratica teatrale anche se attraverso l’affermazione dei principi come il superamento del cognitivismo, la valorizzazione della pluralità dei linguaggi e dell’espressività, si apre uno spazio alla sua introduzione che di fatto è già in atto senza appunto che sia prescritta. Si riconosce nelle disposizioni relative all’insegnamento dell’italiano un riferimento importante ai vari usi del linguaggio (informare, persuadere, raccontare, esprimere sentimenti ) ed uno sguardo attento all’oralità che presuppone un’alternanza tra un emittente ed un ricevente e in senso lato tra attore e spettatore/ascoltatore. In realtà però l’impulso all’attività teatrale arriva attraverso circolari ministeriali e i progetti e le variegate forme di sperimentazione, attraverso Protocolli d’Intesa stipulato tra Ministero della Pubblica Istruzione e Dipartimento dello Spettacolo e L’Ente Teatrale e attraverso la legittimazione della fondamentale importanza del ruolo delle discipline espressive ed artistiche nell’educazione delle giovani generazioni. La normativa più recente è quella del 2004 nelle “Indicazioni Nazionali per i Piani personalizzati delle Attività Educative nelle Scuole dell’Infanzia e nella Scuola Primaria.
Mentre però in molti paesi europei la pratica teatrale ed il teatro ha un ruolo istituzionalizzato, da noi non è così ed è persino sorprendente che emerga nella realtà una tendenza ed una messa in atto così significativa della pratica teatrale in questa scarsità di indicazioni legislative e metodologiche. Perché avviene questo ? Da cosa nasce quest’impulso all’attività teatrale della scuola italiana che spesso mette in atto lavori e spettacoli con sforzi enormi e minimi riconoscimenti economici agli insegnanti? Ci siamo interrogate su questo fenomeno al quale siamo particolarmente interessate come insegnanti di lettere nelle scuole medie e nel laboratorio teatrale del tempo prolungato che per motivi di taglio alle spese andrà a sparire. L’esperienza nel laboratorio teatrale ci ha reso sempre più consapevoli che la pratica teatrale è vitale ed utile se non addirittura necessaria per lo sviluppo della personalità dei bambini e dei ragazzi, poiché ha lo scopo di affinare le potenzialità espressive e di formare il senso della socialità.
Oggi poi, in una società dove prevale la multimedialità ed il virtuale, diventa ancora più importante la partecipazione in prima persona dei bambini e dei ragazzi al processo dell‟apprendimento poiché essi possono nello spazio privilegiato della drammatizzazione, essere attori e quindi attivi anziché spettatori passivi di programmi televisivi e di giochi interattivi dove al massimo ciò che mettono in moto del corpo sono le dita, le mani e gli occhi.
Oggi c’è ancora più di prima bisogno di teatro, per mettere insieme esperienze che passano attraverso il corpo, per dare voce ad aspetti affettivi, emotivi e comunicazionali, per diventare processi di apprendimento e di crescita. Inoltre attraverso la forte spinta progettuale di uno spettacolo finale si mettono in moto modalità di lavoro comune quali la progettazione, la cooperazione, la condivisione, la partecipazione alla realizzazione di un prodotto visibile all’esterno, del quale tutti sono autori e responsabili di una degna riuscita.
Le grandi potenzialità dell’attività di drammatizzazione nei laboratori teatrali delle scuole sono evidenti a molti, ma oggi attraverso la formazione pedagogico clinica, abbiamo visto in maniera più chiara anche i limiti di una tale attività che, pur esercitando più canali comunicativi e incrementando l’espressività dei ragazzi, non aveva mai fino in fondo centrato nel segno. Questa consapevolezza è nata dall’aver riconosciuto l’importanza della Pedagogia Clinica a sostegno di un laboratorio teatrale, la quale aiuta a far lavorare sul corpo in modo mirato e per creare o potenziare la consapevolezza dei ragazzi dei propri segmenti corporei, dello schema e dell’asse del corpo, consapevolezza che offre padronanza e sicurezza. Da qui e attraverso ciò si arriva alla padronanza effettiva del gesto e alla creazione personale ed originale dell’individuo che, attraverso essa, scopre e costruisce la sua identità, padronanza del corpo nei canali espressivi, mimico-facciali, nell’uso della voce e del ritmo personale e della consapevolezza delle preferenze, attitudini e potenzialità individuali. La scuola e gli insegnanti dovrebbero mettere in atto questo ribaltamento, questa rivoluzione copernicana, che sposta dal centro dell’universo scuola la realizzazione dei percorsi di qualsiasi tipo e mette al centro di esso, l’effettiva crescita degli studenti e degli alunni, cioè dei bambini e dei ragazzi .
Quindi non il teatro e lo spettacolo devono essere il fine del percorso, ma la costruzione dell’individuo ed il suo stare bene con sé e con il gruppo.
E’ la filosofia stessa che sorregge questo modo di procedere che è capovolta ed è questo principio fondante della Pedagogia Clinica che più di ogni altro aspetto abbiamo appreso e fatto nostro, attraverso questa nostra tras-formazione come pedagogisti clinici: lo scopo di un intervento educativo sono solo e soltanto la formazione dell’individuo, con la sua identità, la sua crescita e il suo stare bene nel gruppo ed il gruppo stesso come entità nuova portatrice di nuove istanze dinamiche ed energetiche per ogni suo componente.
Il fine è la prassi educativa e la trasformazione dinamica dell’individuo, compreso l’insegnante che attraverso il mettersi in gioco con un atteggiamento flessibile ed aperto all’evoluzione, accetta e apprezza l’opportunità di crescere attraverso l’esperienza dell’educazione e del dialogo con gli studenti, nella convinzione del principio pedagogico clinico che l’adolescenza non sia l’ultimo stadio dell’età evolutiva, ma che tutta la vita sia un percorso di evoluzione, crescita e trasformazione.
2.5 La Pedagogia Clinica a sostegno delle attività laboratoriali
Per migliorare la sfera relazionale e quella dell’apprendimento nei ragazzi, sarebbe necessario mettere in atto attività che siano occasioni di scambio tra gli allievi e che incrementino il gusto di conoscere e di conoscersi e la condivisione in un clima sereno e rispettoso dei ritmi di ciascuno, secondo i principi della nuova maieutica e della pedagogia clinica stessa.
Lo spazio dei laboratori e delle attività laboratoriali in diverse scuole medie soprattutto in quelle nelle quali è presente il tempo prolungato con rientri pomeridiani, offre per sua stessa natura un ambito nel quale poter creare situazioni ed attività che diano la possibilità di mettere in campo le potenzialità espressive dei ragazzi in considerazione dell’unità della persona attraverso più canali: affettivo-emotivo, sensoriale, propriocettivo e cinestesico.
Diventa inoltre possibile una modalità relazionale che, partendo dal rispetto e dall’ascolto di sé e dell’altro, crei un clima di armonia e di piacevolezza nell’imparare non in maniera nozionistica che diventa un reale processo di apprendimento attraverso l’esperienza, il fare, il mettersi alla prova. Questo aiuta a scoprire nuovi aspetti di sé, dove si impara a comprendere messaggi e significati più complessi per avvicinarsi ad una conoscenza più vera, depurata da approcci approssimativi affrettati e superficiali.
In questi ambiti il valore del gruppo diventa molto più grande, perché in esso si può sperimentare un modo di apprendere diverso: i processi relazionali e in quanto tali contraddistinti da movimenti ed evoluzioni, danno la possibilità di incrementare la consapevolezza, arricchendo sia l’aspetto emotivo-affettivo che quello cognitivo. Si fa esperienza insieme sviluppando la comunicazione, le emozioni, la percezione del sé fisico e psichico, la creatività, il movimento e l’espressione corporea e la consapevolezza.
Il principio che sostiene l’intervento pedagogico clinico nel gruppo classe e ancora di più nei laboratori è quello di promuovere negli alunni la spinta a rendersi protagonisti attivi nella realizzazione di attività in cui si valorizza istanze di autorealizzazione nella consapevolezza dello stare con l’altro.
La pedagogia clinica a sostegno delle attività laboratoriali offre tecniche e metodi e quindi possibilità di interventi concreti e mirati allo sviluppo di tutti quelle componenti che costituiscono l’unità psico-fisica dell’individuo. Offre cioè in una integrazione di esperienze che vanno a sollecitare gradualmente ed in maniera diffusa ogni aspetto della persona una reale possibilità di crescita unitaria ed armonica che, in una concezione olistica dell’essere umano non può mai in nessun modo essere realizzata stimolando solo l’aspetto logico razionale. Il presupposto nasce e si fonda proprio sul nuovo concetto pedagogico-clinico di mente e di apprendimento che utilizza l’integrazione dei due emisferi cerebrali che ha ormai superato l’idea di pensiero legata alla fredda concezione cartesiana della scissione res cogitans e res estensa.
L’idea della persona che percepiva ed interpretava il mondo come un insieme di oggetti organici e separati, tipica della fisica Newtoniana, sta lasciando spazio all’idea di una dimensione dell’universo, del cosmo, nel quale anche l’essere umano è immerso e del quale deve divenire consapevole. La dimensione educativa non può più essere succube di questa concezione dualistica e scissa del pensiero ma deve muoversi verso l’alunno, lo studente, il ragazzo nella consapevolezza della interconnessione di tutti gli aspetti e di tutti i fattori della sua personalità, del suo comportamento, del suo personale approccio all’apprendimento, e senza quindi tralasciare la logica formale , stimolando però l’apprendimento convergente e divergente e l’integrazione, fonderla con il linguaggio poliespressivo del corpo e della psiche.
Il corpo nella sua complessa unitarietà e nella percezione analitica di tutte le sue parti diventa nell’attività laboratoriale veicolo e strumento espressivo e dell’apprendimento. Attraverso esperienze in cui si pone l’attenzione sul riequilibrio tonico, si arriva alla conquista di una padronanza delle reazioni tonico-emozionali e al recupero di un rapporto più autentico e consapevole della propria corporeità. Tali esperienze possono essere offerte sia dal Metodo Discover Project verbalizzato® che dal Metodo Edumovement® che tiene conto anche del contributo che il movimento apporta alla sviluppo della consapevolezza del sé, alla costruzione della propria identità e alla capacità di instaurare rapporti soddisfacenti con l’altro.
Tali metodi si saldano tra loro attraverso la valorizzazione pedagogico clinica dell’unitarietà dell’individuo e della evoluzione delle potenzialità individuali anche sul piano dell’apprendimento, attraverso un’educazione che mira ad inserire l’individuo stesso nella dimensione relazionale, nel rispetto della disponibilità espressivo corporea di ciascuno: un’educazione depurata da forme di ammaestramento o allenamento. Questa possibilità di raggiungere una espressione più creativa e libera di sé può essere incrementata dai contributi offerti dal metodo Ritmo Fonico® e, attraverso una attenta educazione al suono e al movimento, favorita dagli apporti dei metodi Bon Geste® e Prismograph® con cui poter raggiungere una più equilibrata distribuzione della propria tonicità muscolare e del proprio dinamismo respiratorio e, attraverso questa via una maggiore disponibilità a superare forme di inibizione o di imbarazzo nello sperimentare e fare esperienze di vissuti spazio temporali, alla scoperta e valorizzazione del proprio sé .
Anche la Musicopedagogia® che utilizza l’elemento sonoro, ritmico, spazio temporale e vibratorio aiuta ad indurre e a stimolare le condizioni per uno stato di benessere emotivo, apre i canali di comunicazione non verbale e cioè corporeo-sonoro e musicale e favorisce processi di socializzazione e di scambio comunicativo ed espressivo interpersonale. Utilizzando l’ascolto di musica preliminarmente composta si favorisce effetti regressivi e flussi affettivi positivi, l’attenuazione dell’aggressività, il recupero dei ritmi biologici ed il riequilibrio tonico/muscolare.
Negli spazi dei laboratori attraverso la messa in atto di tecniche tratte dal metodo Interart® che prende in considerazione tutte le forme espressive quali la musica, la poesia, la pittura, la scultura, il disegno, la danza, gli individui sono sollecitati a cimentarsi con una produzione estetica personale per giungere a vivere esperienze centrate sul bello ed ottenere una stimolazione affettivo-emotiva ed intellettuale che guidi verso una maggiore sensibilità al valore dell’armonia.
Una più adeguata percezione del sé corporeo, nei suoi aspetti emotivi ed affettivi, attraverso giochi di esplorazione dell’ambiente e del proprio asse corporeo e di distribuzione di esso nello spazio vissuto e percepito, diviene un obiettivo raggiungibile con i contributi offerti dal metodo Educromo®. Attraverso i giochi di relazione inoltre si permette e si rende possibile la presa di coscienza e l’elaborazione di nuove modalità di espressione e di interazione, che conducono verso una liberazione interiore dell’individuo, sostenuta da una migliore gestione delle sue emozioni. L’individuo cioè scopre nei giochi di relazione la possibilità di prendere coscienza delle proprie emozioni e sensazioni, di sviluppare la propria personalità e di entrare in contatto con ogni parte di sé.
Tali esperienze che creano un terreno di costruzione del sé diventano patrimonio individuale e di gruppo, entrano a far parte del vissuto e della memoria profonda di ciascun componente che sarà successivamente in grado di trasferire e di generalizzare il risultato di tali esperienze in altri contesti anche esterni alla scuola stessa.
2.6 Il Pedagogista Clinico e alcuni metodi realizzabili nei laboratori della scuola
Metodo DiscoverProject®
E’ un metodo educativo che agisce sul tono muscolare, sull’equilibrio neuro-vegetativo e sulla sfera affettiva della persona considerando il corpo centro coordinatore delle esperienze e asse di un nuovo e più adatto orientamento verso la vita. E’ un metodo basato sull’intervento della contrazione e decontrazione muscolare che esercita nell’individuo la sensibilità agli stimoli esterni (relative ai cinque sensi) e quelli propriocettivi (relative all’informazione del proprio corpo). Il tono muscolare e il controllo tonico individuale sono elementi collegati con la possibilità di prestare attenzione a ciò che circonda l’individuo, attraverso le due polarità dell’attenzione: la propriocezione e l’esterocezione.
Metodo DiscoverProject®: La Tecnica Verbalizzata
Si realizza attraverso i suggerimenti del Pedagogista Clinico che richiama i movimenti da eseguire al gruppo degli individui, sdraiati su tappeti, in uno spazio abbastanza ampio da permettere libertà di esecuzione dei movimenti stessi. Tali sollecitazioni in attenzione guidano ognuno verso l’appercezione, una conoscenza di sé, una definizione del proprio corpo, della sua spazialità, e nella sua organizzazione motoria e tonico muscolare. Si tratta di visitare mentalmente le zone del corpo impegnate in questa esperienza, attraverso una sollecitazione verbale che usa una suggestione fonematica, che dà maggiore rilievo alla parola che accompagna l’esperienza.
Metodo BonGeste®
Questo metodo si propone di educare al ritmo, al suono e al movimento, alle abilità distributive tonico-muscolari, appercettive e cinestetiche, fino a far conoscere agli individui il valore del gesto, a far loro acquisire una capacità gestuale organizzata su ritmi e canti resi visibili dalle tracce che il corpo lascia, inizialmente in campo vuoto e poi su una lavagna bianca a parete, dove vengono graficamente rappresentati il carattere dinamico, timbrico ed egoico, oltre a quello espressivo-emozionale ed al gesto, avvalendosi dell’ascolto musicale attivo. Il metodo si avvale di tecniche di movimento rivolte a sviluppare la conoscenza dei segmenti corporei, del loro stato di tensione, di equilibrio, sia in condizioni statiche che dinamiche e quindi questo comporta un’esplorazione degli impulsi, delle accelerazioni e dei frenaggi.
Metodo Prismograph®
Il metodo pedagogico clinico Prismograph®, è un metodo rivolto a sostenere le persone nell’acquisizione di un sapere polisegnico. Questo metodo propone alla persona tante occasioni esperienziali, necessarie per conoscere e per prepararsi alla rappresentazione cinetico-segnica, assumendo la posizione eretta in “aplomb”, ossia con le gambe in verticale rispetto al suolo per sentirsi sicuro di sé ed in equilibrio.
Il Prismograph, inoltre, si presenta con un linguaggio multiforme negli interventi, secondo un programma a “spirale”, studiato per offrire un recupero della grammatica espressivo-segnica. Tale obiettivo si realizza attraverso complesse elaborazioni cinestetiche, in cui il gesto diviene messaggio e non più imitazione privo di autenticità e di contenuto personale. Il metodo può rappresentarsi come un “prisma” composto da tante sfaccettature, che offrono spaccati di esperienze su tutti gli aspetti che influiscono sull’atto del “lasciar traccia”, dall’elemento affettivo a quello motorio, dalla sensibilità tattile alla creatività del pensiero, dal movimento del corpo nello spazio a quello di movimento di uno strumento tracciante su un foglio di carta. Oltre all’aplomb, al corretto dinamismo respiratorio e ad una maggior abilità organizzativo-cinetica del gesto, l’intento del Prismograph è quello di promuovere ulteriori abilità organizzativo-corporee, secondo una nuova concezione dinamica orientata dal Codice Gestuale Corporeo, dal Punto egoico e dai Labirinti.
Il Codice Gestuale Corporeo comprende tutti quei gesti che possono essere realizzati dalle braccia (singolarmente o simultaneamente) e che vanno a rappresentare una molteplicità di figure geometriche. Nel codice la perfezione geometrica di ogni spostamento delle braccia viene definita dalle coordinate rappresentate dall’asse corporeo e dalla linea orizzontale, che con esso si incrocia all’altezza del Punto Egoico. Quest’ultimo è il punto su cui converge l’occhio quando le braccia sono allungate in avanti e gli indici uniti ed in cui si incrociano tutte le linee rappresentate da lanci delle braccia e nello spazio dinanzi a sé. Nel Prismograph, il Codice, espressione di una potenzialità naturale dell’uomo, viene recuperato e sviluppato con l’intento di favorire un’evoluzione grafo-segnica, che parta da strutture esistenti nell’individuo. Per far ciò si prevede che queste figurazioni, inizialmente iscritte nella postura e nella sinestesia, debbano poi trovare opportunità ad esser rappresentate nello spazio vuoto e più tardi tradotte graficamente su pareti attrezzate o su lavagna. Il segno, così tracciato, è la comunicazione fedele e modulata del gesto, guidato dallo sguardo, definito dall’asse corporeo e dal Punto egoico. Al contributo offerto dal metodo si aggiunge le potenzialità offerte dai Labirinti. Questi ultimi costituiscono un’esperienza che consente di ottenere una maggiore capacità attentiva, di acquisire una più ampia abilità a superare gli ostacoli, ad individuare, a distinguere, a riconoscere a decidere e ad agire. Nell’affrontare e superare i problemi concreti posti dai labirinti, il soggetto sviluppa la capacità di esaminare le situazioni, di dar spazio alla propria creatività, di assumere una disponibilità ad accettare il nuovo, sviluppando coraggio, sicurezza ed intuizione.
Metodo Writing Codex ®
Il metodo pedagogico clinico Writing Codex, è principalmente orientato all’acquisizione di una corretta scrittura e per raggiungere questa finalità consideriamo fondamentale che la persona abbia una presa di coscienza del proprio corpo nella sua completezza. E’ un metodo finalizzato al superamento di disarmonie, di impacci, di inadeguatezze nella distribuzione del peso del proprio corpo, fino a giungere ad un aggiustamento e ad un riequilibrio tonico e raggiungere un corretto aplomb. L’aplomb è la coscienza del proprio corpo in postura; si prende in considerazione perché sappiamo che la postura del corpo nello spazio è legata anche all’affettività. Pertanto, molto spesso, gli individui che hanno difficoltà nell’ambito della scrittura sono disarmonici, impacciati, inadeguati nella distribuzione del proprio peso e del proprio corpo. Diventa così fondamentale che la persona, affinché viva a “360 gradi” lo spazio che lo circonda, realizzi una produzione grafica su di una lavagna concava.
Le esperienze motorie che si richiedono fanno prendere coscienza all’individuo della propria cinestesia.
All’esperienza sulla propria assialità in rotazione e sulla percezione del tempo, segue la Coreografia Fonetica, che prevede costruzioni simbolico-alfabetiche, forme testimoni del proprio corpo, le quali vengono percepite prima in un campo vuoto e poi rappresentate su lavagna concava.
Il metodo prevede l’utilizzo di luci, colori e suoni come validi ausili per sviluppare l’attenzione, l’abilità oculo-motoria, la struttura ritmica e spazio-temporale, le immagini uditive e visive.
Metodo Educromo ®
L’Educromo® è un metodo che aiuta a vincere le difficoltà di lettura.
Si tratta di un originale metodo che ben enuclea i complessi processi implicati nell’atto del leggere, le cause delle difficoltà di lettura e le possibili manifestazioni comportamentali ed indica le opportunità di recupero delle abilità e della disponibilità alla decodifica-scrittoria armonizzandone lo sviluppo personale e sociale. Il metodo prevede varie esperienze psico-emozionali che mirano a sviluppare il movimento ed i vissuti propriocettivi, le modalità di costruzione e definizione degli spazi di relazione, il dinamismo respiratorio, la costruzione ritmica, l’esecuzione delle forme spaziali. Il riequilibrio psico-emozionale è costruito su di un concetto dinamico, un vissuto ludico di sollecitazioni esperenziali che coinvolgono i suoni, il linguaggio, la cromaticità ed ogni
comunicazione non verbale.
L’Educromo si basa su un progetto educativo teso a far giocare il corpo al fine di soddisfare il bisogno primario di esprimersi e punta altresì alla scoperta o riscoperta di un linguaggio caratterizzato da esperienze produttrici di nuove abilità e disponibilità. Un percorso che permette di accedere alle esperienze di esplorazione e di relazione. Le prime comprendono una serie di opportunità inseguite e raggiunte in piena libertà con lo scopo di consentire al soggetto di entrare in contatto con il proprio corpo ed esprimere con esso tensioni, bisogni e desideri (esperienze autocentrate). Le seconde permettono alla persona di percepirsi e percepire; queste esperienze si basano sull’impiego della musica, del canto, dei mezzi espressivo-corporei, della danza, del mimo, della drammatizzazione; a queste si aggiungono quelle relative alla Lettura Posturale che permette di affinare le conoscenze della propria struttura corporea, topologica e segmentaria in relazione all’asse fino a giungere ad una determinata immagine di sé.
Metodo Edumovement ®
E’ un metodo che nasce dall’interazione della scienza pedagogico clinica con le scienze psicomotorie si distingue dalle tante e diverse forme di psicomotricità perché si indirizza verso un movimento educativo orientato alla persona nella sua totalità e unità.
Attraverso il movimento e alla percezione temporale spaziale la persona arriva alla presa di coscienza di sé, alla formazione e allo sviluppo del sistema corporeo, conoscenza del proprio corpo in rapporto alle sue diverse parti e alle informazioni sensazioni sensoriali che esso riceve dal mondo esterno. Corpo come mezzo di conoscenza, di esperienza, di relazione e interazione in cui vengono coinvolti aspetti psichici e somatici in una dialettica del mentale e del corporeo. Tale metodo promuove una esperienza corporea nell’ambito delle relazioni e integra il vissuto ed il conosciuto in una dimensione affettivo-emozionale positiva in opposizione a situazioni artificiali o prive di interesse per la persona.
Il metodo si rivolge alla persona , alla sua autonomia, a ciò che la persona origina in se stessa, al suo potenziale espressivo in modo che l’imparare non sia un processo passivo , ma una scoperta, una comprensione ed elaborazione personale per conseguire un reale apprendimento. Attraverso l’Edumovement viene stimolata nella persona l’intenzionalità ad affrontare situazioni sia nel lavoro individuale che di gruppo attraverso esperienze e vissuti significativi e diversi da modalità istruttive e l’acquisizione di sicurezza di espressione cinestetica derivata da una analisi interna che la persona fa delle proprie possibilità. L’Edumovement tiene conto del contributo che l’esperienza del movimento apporta allo sviluppo della consapevolezza del sé, alla costruzione della propria identità e alla capacità di instaurare rapporti soddisfacenti con gli altri. L’esperienza corporea positiva fa evolvere il potenziale positivo nella direzione dello sviluppo della personalità e delle capacità personali psicofisiche e relazionali negli scambi con l’ambiente che si trasformerà anche in un apprendimento attivo e non per condizionamento.
Metodo Inter-Art®
E’ un metodo finalizzato al raggiungimento dell’equilibrio della personalità attraverso l’utilizzo dell’arte. Esso prende in considerazione tutte le forme espressive: poesia, musica, danza, pittura, disegno e scultura. Questi linguaggi espressivi richiedono alla persona abilità nell’attenzione e nell’autocontrollo, nel vivere il proprio corpo, nel canalizzare le tensioni emotive, nello scoprire le diverse intensità di tatto, di pressione o esitazione, la varietà dei ritmi e delle espansioni nello spazio, offrono la possibilità di vivere e provare emozioni e di descrivere i propri moti interiori. E’ fondamentale quindi lavorare sulla presa di coscienza del sé attraverso la ricerca della coscienza della ricerca del punto della respirazione profonda diaframmatica ed esperienze di gesti e movimenti corporei legati alla respirazione. Nel linguaggio artistico si associano le rappresentazioni mentali a quelle affettivo-emotive, basi del nostro meccanismo psichico, fino a creare nuove forme originali. L’Inter-Art è un ponte che introduce le persone a ciò che hanno in comune le varie arti, nel rispecchiare vissuti interiori, nel ridestare impulsi formativi e creativi (ritmi, immagini, suoni, sfumature cromatiche e contenuti narrativi) capaci di costruirsi nella mente attraverso una libertà espressiva e rappresentativa.
Metodo Inter- Art®: La poesia
Il metodo Inter-Art mette in gioco la complessiva globalità dell’essere stimolandola con originale creatività, liberandola da ogni ostacolo e da ogni freno inibitorio, creando situazioni in cui ogni esperienza interiore può essere trasformata in traccia artistica, come per esempio trovare parole poetiche per esprimere sentimenti ed emozioni. Sono parole quelle della poesia con le quali la persona impara a conoscersi, a costruire la propria identità, imparando a lasciarsi guidare dalla fantasia per guardare la realtà con occhi nuovi, con una sensibilità percettiva profonda che utilizza un linguaggio diverso ed evocativo che commuove e coinvolge. Si tratta di manifestare qualcosa che esiste anche se sembra lontano, estraneo e talvolta addirittura inesistente nella persona che però, attraverso molteplici stimolazioni prodotte dall’Inter-Art, riesce a risvegliarsi e permette di liberare le emozioni, imparando a raccoglierle e a trasformarle, attraverso atti creativi, in poesia. La poesia ha racchiuso in sé il ritmo del discorso ed il ritmo dei versi, traduce e trasforma in ritmo poetico, il ritmo emotivo dell’individuo.
Metodo Inter-Art®: La musica
Il ritmo è nella radice stessa della natura e della vita umana che ha appunto i suoi ritmi vitali: le forze che spingono all’azione, le pulsazioni delle arterie, i passi, il respiro, le frasi di un discorso, i ritmi musicali che sono ad essi connaturati. Attraverso la presa di coscienza dei veri ritmi, il ritmo della musica e le diverse sonorità da cui derivano le suggestioni armoniche della musica, la partecipazione e la coscienza del ritmo musicale, la persona arriva alla presa di coscienza di sé, all’espressione corporea, al movimento nel tempo e nello spazio fino ad arrivare alla ritmicità plastica della danza.
Metodo Inter-Art®: La danza
La danza ha una molteplicità di aspetti e di elementi che intervengono e che possono essere osservati con interesse: la capacità di percezione viene esercitata e non solo quella spazio-temporale, il senso del corpo in stasi ed in movimento, la sintesi percettiva incentrata sul corpo, la memorizzazione e la tensione attentiva, nella quale prevale la memoria muscolare e cinetica. Inoltre nasce in tale attività una connessione tra l’immagine del mondo e una elaborazione fantastica di esso, in una interpretazione che va oltre il dato oggettivo–informativo e diviene elemento creativo. La danza racchiude in sé i movimenti fondamentali che rappresentano i gesti umani (proiezione verso l’alto, all’indietro, verso di sé, proiezione di ampiezza, presa per la proiezione di forza, proiezione in avanti) che tutti insieme formano l’espressione simbolica dell’io. La danza ci fa prendere consapevolezza di un senso più acuto della vita, nel movimento della danza si trova la radice profonda del gesto, si trova il ritmo ( ritmo respiratorio, emozionale, ritmo motore del rapporto fra corpo e spazio) che rappresenta l’alternanza nella vita, delle cadute e del ritorno all’equilibrio. Il movimento ha anche la dimensione del dinamismo che, nella gamma dei suoi accenti bruschi o lenti e continui, permette di esprimere e comunicare sentimenti. Nella danza il corpo viene trasceso e diventa il veicolo della potenza dell’emozionalità, la danza quindi diventa una libera manifestazione della individualità, che aderisce completamente all’io.
Metodo Inter-Art®: disegno e pittura
Ogni aspetto dell’arte racchiude in sé principi equilibratori. La pittura ed il disegno sono esperienze che aiutano gli individui ad osservare, a sentire emotivamente e a rappresentare ogni tratto della realtà. Nella pittura e nel disegno, attraverso una ricerca espressiva di modalità nuove di percepire la realtà, si combinano colori, forme ed evocazioni. Attraverso tale ricerca viene sviluppato il senso cromatico, il gesto grafico e pittorico eseguito a varie velocità e secondo pressioni diverse, la capacità immaginativa e la proiezione di parti di sé su uno spazio, attraverso un bagaglio simbolico.
Nell’Inter-art occorre liberare la muscolatura da tutte le tensioni per avere un immagine positiva di sé, un organizzazione cinestesica abilità che permettono l’agire, il sentire e il partecipare del proprio corpo nel piacere dell’azione. Per esempio attraverso la lettura del proprio corpo (tatto e contatto in decifrazione di se), la mano diventa traduttore di linee e forme e legge e poi si arriva all’autoritratto. Successivamente è possibile effettuare la lettura del corpo degli altri sempre per mezzo della mano come traduttore alla scoperta di linee e forme per arrivare al ritratto dell’altro. Dopo la produzione del proprio albero si può passare all’osservazione e riproduzione di un albero reale sostando alla finestra come un occhio aperto sul mondo, per aprire i canali dell’osservazione e della percezione e per riaccendere il piacere della scoperta, della ricerca attraverso una riflessione, un’analisi dell’ambiente che ci circonda.
Metodo Inter-Art®: la scultura
Nella scultura vengono richiamate diverse abilità quali la coordinazione dei movimenti fini delle dita, dei gesti e del respiro, riguardo alla manipolazione di materiali plastici. Intervengono modifiche del ritmo motorio delle mani e delle braccia, del tono e della forza muscolare. Sono interessate inoltre le sensibilità tattili, propriocettive che vengono indirizzate verso rappresentazioni di forme tridimensionali di ciò che è percepito. Quindi si arriva alla creazione di forme che sono simbolo di sensazioni e percezioni, un universo interiore in contatto con il mondo esterno, vissuto e rappresentato sul piano creativo.
Metodo Musicopedagogia®
E’ una disciplina che usa l’aspetto sonoro, ritmico, spazio- temporale e vibratorio per stimolare uno stato di benessere ed una migliore stabilità e flessibilità fisica e psichica, per aprire canali di comunicazione attraverso l’elemento corporeo, sonoro e musicale per facilitare la relazione e l’espressione interpersonale e per potenziare l’aspetto cognitivo immaginativo.
Il metodo si rivolge alla persona e non al malato, interviene in aiuto all’individuo permettendogli ampi risvegli e promuovendo potenzialità.
La Musicopedagogia permette di esprimere creatività attraverso una rielaborazione non verbale operativa, aiuta l’espressione simbolica, modifica gli stati d’animo, è una esperienza olistica liberatoria e sinestesia. La musico pedagogia si realizza attraverso tecniche interattive e non prescrittive quali esperienze di stimolazione attentiva e mnestica melodica ritmica, analogie immaginativo sonoro musicali, esperienze proiettive di improvvisazioni musicali, attività di coordinazione ritmico-motoria e di espressione corporea, dialoghi sonori.
2.7 Il laboratorio teatrale olistico: drammatizzazione e psicodramma
Nel laboratorio teatrale attraverso tante e diverse strategie che chiamano in causa ogni facoltà umana, sotto la spinta delle attività ludiche, tratte dalle tecniche di diversi metodi pedagogico clinici, può essere trasferito il significante mimico gestuale in significante linguistico tonematico, a corredo dell’attività di drammatizzazione. Si arriva così a compiere un’operazione di simbolizzazione e a trasformare la recezione passiva in percezione attiva.
Agli individui si potranno offrire opportunità di libera espressione corporea, avviata all’esplorazione del corpo e delle emozioni più profonde, alla ricerca di un aspetto corporeo originario, nella liberazione delle pulsioni, in un lavoro di improvvisazione creazione, attraverso esperienze che si ispirano allo psicodramma, al gioco drammatico, all’uso della drammatizzazione sostenuta dalla pregnanza e potenza evocativa del portare fuori propri contenuti affettivo emotivi, rappresentati in un ambito protetto e condiviso.
Mariagrazia Palumbo mariagraziapal@live.it
Ilena Novelli ilena@interfree.it