Durante l’incontro di studio a cui questo numero della Rivista è dedicato, mi sono offerta di lavorare con un volontario tra i partecipanti, per condividere un linguaggio clinico, che sicuramente ci accomuna molto più della teoria.
La “paziente” è una collega, a cui è stato cambiato il nome, che coraggiosamente e generosamente ha “giocato” se stessa in questa seduta dimostrativa. L’attenzione del terapeuta alla fenomenologia del contatto è evidente in tutta la seduta: ogni comunicazione della paziente è riportata all’esperienza che sgorga dai sensi nel qui e ora del contatto terapeutico. Ed è lì che accade, secondo la psicoterapia della Gestalt, il cambiamento.
Pz.: Sono Mariella2, sono una psicologa e una psicoterapeuta.
T.: Bene, in quale approccio sei formata?
Pz.: Psicoterapia integrata quindi Gestalt, ma anche altro.
T.: Mariella.
Pz.: Sì.
T.: Benvenuta.
Pz.: Grazie.
T.: Respira, mettiti comoda.
Pz.: Per mettermi comoda magari mi fa piacere dire come mi sento.
T.: Sì, prego.
Pz.: Sono contenta di amare il rischio, però nello stesso momento mi sento… ho un po’ di paura, come succede in tutti gli incontri inattesi (sospira). Eccomi.
T.: Quando mi guardi, cosa senti?
Pz.: Vedo gli occhi di una donna matura, quindi mi parte subito l’immagine di mia madre.
T.: Ti “parte” subito..? (sorride).
Pz.: Sì (ride).
T.: Ah, ok: dimmi di più di cosa vedi.
Pz.: Ma in realtà se mi fermo poi vedo che gli occhi sono diversi.
T.: (Sorride) Meno male.
Pz.: (Sorride) Meno male, come un riandare in un campo conosciuto, no? Comunque, uno spazio non conosciuto fa paura, e quindi ritorno a qualcosa di conosciuto.
T.: Sì, qualcosa di conosciuto che non appartiene a noi.
Pz.: Beh, in parte sì.
T.: In parte sì?
Pz.: Ormai la mamma ce l’ho dentro in qualche modo, quindi appartiene anche a me.
T.: Giusto! Puoi respirare?
Pz.: (Respira) (…silenzio…) Per qualche verso è bello provare quest’emozione così forte, era tanto che non la provavo. La paura, proprio quella che un po’ ti paralizza … proprio, dei primi momenti della scuola, per esempio, o quando vedi i primi pazienti e non sai bene cosa fare. Era un po’ che non la provavo, è bella se uno ci sta.
T.: (Sorride) Sì, ti ringrazio per la disponibilità con cui ti apri. Mettiti comoda.
Pz.: Eh sì, ci sto provando. È bello sentire le mani che tremano, prima avevo paura di questo, all’inizio del mio percorso, come se dovessi controllare tutto, invece adesso il fatto che mi sento in tensione, che l’ho scelto, che sento che tremo ma che posso anche stare, posso anche essere tremante, ..è vitalità, ecco.
T.: Esatto, è la tua vitalità.
Pz.: Ultimamente mi sento un po’ meno viva, sto più nei pensieri, e nei doveri. Ho una figlia piccola di due anni (sospira), faticoso.
T.: I doveri e i pensieri in questo periodo mettono in secondo piano la tua vitalità, che invece adesso senti e che riconosci, anche se sotto forma di un tremore, che può essere anche associato a paura. Tu sai che è vitalità.
Pz.: Sì.
T.: Sì, infatti la tensione potrebbe diventare ansia se non respiri; per questo ti dico di respirare.
Pz.: E infatti ogni tanto sento che l’ansia risale (sorride).
T.: Sì, in psicoterapia della Gestalt definiamo l’ansia come “eccitazione senza il sostegno dell’ossigeno”, intendendo proprio l’energia sensoriale che non è supportata dalla respirazione piena.
Pz.: Sì, vuoi dire il supporto del corpo, no?
T.: Sì.
Pz.: Ci posso stare, ok?
T.: E’ una domanda o te lo stai ripetendo?
Pz.: Me lo sto ripetendo per darmi coraggio (sorride).
T.: C’è qualcosa che posso fare per questo tuo…
Pz.: Forse anche soltanto sorridere, mi basterebbe.
T.: Certo, posso dirti che funzioni bene.
Pz.: Sì.
T.: Sei una primogenita?
L’ansia performativa che la paziente avverte verso la capacità di contenere le proprie emozioni mi fa pensare ad uno schema relazionale primario “da primogenita”, in cui il contenimento dell’ansia che caratterizza il campo fenomenologico familiare è una preoccupazione primaria. La risposta della paziente, tuttavia, mi da un quadro diverso, e mi aiuta a co-costruire un contatto terapeutico con lei.
Pz.: No, terza, terza figlia.
T.: Terza, dopo..
Pz.: Una sorella maggiore e un fratello di mezzo.
T.: Cosa stai pensando?
Pz.: Sto pensando che siccome c’è tanta differenza di età tra me e loro, magari sono stata per certi versi una primogenita.
T.: Sì, mi colpisce il senso di responsabilità che hai, e come ti metti da parte quando hai una responsabilità.
Pz.: (annuisce e sospira).
T.: È così?
Pz.: È così, sì. Poche volte mi permetto di fare la folle, nel senso che l’emozione personale cerco di tenerla abbastanza sotto controllo. Ultimamente però mi sto concedendo di vederla come risorsa nella vita. Ecco, all’interno della terapia mi permetto di più di vederla come risorsa.
T.: Cosa, la follia?
Pz.: Sì, nella vita quotidiana no: è come se lì non avessi la stessa protezione rispetto a quando sono nel setting della terapia.
T.: La protezione la senti quando tu sei terapeuta?
Pz.: Sì, e nella vita no.
Il sé è dove il dente duole, diceva Aristotele (e anche i fondatori della psicoterapia della Gestalt, cfr. Perls et al., 1951). Il fatto che la pz insista sul non sentirsi libera di emozionarsi nella vita mi dice che il suo interesse non è nel valorizzare la risorsa (emozionarsi in terapia) ma nel rischiare di emozionarsi anche in terreni in cui si sente meno protetta.
T.: Nella vita forse si può integrare qualcosa…
Pz.: Me lo chiedo: sono sempre molto controllata nella vita.
T.: Per esempio, adesso senti questo controllo?
Pz.: Adesso di meno, sento più la paura, l’attivazione emozionale; sarei caduta nel controllo se mi fossi detta che non andava bene che tremassi, in quel caso sarei andata nel circolo del controllo, però insomma ci sto abbastanza bene.
T.: Sì, forse possiamo fare anche un passetto in più.
Pz.: Sì.
T.: Segui il tuo tremore, quindi la tua energia interna, e vedi dove ti porta. Stai con il tremore, guardami e vedi dove ti porta questa esperienza.
Questo intervento esprime bene la focalizzazione dell’approccio gestaltico sull’essere-con, attraverso i sensi. L’uso del termine “contatto” è motivato proprio dal carattere fisiologico, fenomenologico ed estetico dello sguardo gestaltico sulle relazioni umane (cfr. Spagnuolo Lobb, 2011).
Pz.: (Silenzio) Mi è venuto da tremare per la rabbia.
T.: Ah: tremare per la rabbia. Puoi dire qualcosa in più?
Pz.: Sì, ho dei ricordi di quando ero piccola: ero talmente arrabbiata e dovevo talmente controllare questa cosa che sentivo proprio che il corpo vibrava.
T.: Ti va di farlo adesso?
Pz.: Di tremare per la rabbia?
T.: Sì.
Pz.: Non la sento ora però la rabbia.
T.: Ah, è un ricordo.
Pz.: È un ricordo, si è un ricordo. Però mi ricordo proprio che ero lì con me stessa arrabbiatissima, arrabbiatissima, “arrrgh” (fa un urlo) così (sorride), per non fare altro, in famiglia, facevo questa cosa.
T.: (Sorride. Pausa.) E che altro volevi fare?
Pz.: Se fossi stata abbastanza alta, e abbastanza folle (sorridendo), avrei potuto mettere anche le mani al collo a qualcuno.
T.: (Sorride) Per esempio, a chi?
Pz.: (Ridendo) Alla mamma.
T.: Alla mamma!
Pz.: Alla mamma, sì. Mi arrabbiavo particolarmente con la mamma (ride).
T.: (Pausa) Cosa senti adesso?
Pz.: Un po’ di dispiacere, un po’ di dispiacere per i ricordi, per questi ricordi, per me.
T.: Dopo che hai fatto quell’urlo di rabbia, e che hai raccontato di tua mamma, cosa senti? È stato ok per te? Senti di avere raggiunto, completato qualcosa, o è rimasto qualcosa aperto?
La prospettiva estetica ci fa cogliere l’importanza di portare a compimento l’energia che sostiene l’azione. Nel caso specifico di questa paziente, è particolarmente importante attenzionare questo senso di completamento dell’esperienza, perché ci sia un cambiamento vero e non un tornare allo schema del controllo dell’emozione (retroflessione è il nostro termine tecnico).
Pz.: Ho fatto quello che potevo in quel momento. (Pausa) Ho la sensazione che se lo faccio adesso sto bene, mi sento scaricata, liberata. Se penso a come lo facevo allora, da bambina, era come se mettessi degli appuntamenti, della serie “prima o poi te la faccio scontare”. Questa cosa poi ti aspetta al varco, e quando sei grande naturalmente quello che avresti voluto fare con i genitori non lo fai, ma lo fai con altri nella vita, l’ho trasportata ad altre persone. Di quello mi vorrei liberare, mi farebbe molto piacere (ride).
Notare come il linguaggio della paziente diventa impersonale: c’è uno schema di controllo delle proprie emozioni adesso. È l’adattamento creativo che la paziente mette in atto in questo momento, riconoscendo il proprio disagio prevalentemente a livello cognitivo. È importante che il terapeuta noti e sostenga la chiarezza dell’insight e l’intenzione di cambiamento che la connota. Il sé è un tutt’uno per la psicoterapia della Gestalt, coglie l’intenzionalità di contatto consapevole che comunque c’è in qualsiasi espressione spontanea della paziente.
T.: Sì, mi stavo chiedendo se c’è qualcosa che ti piacerebbe completare in quest’esperienza.
Pz.: Ah sì, che ho avuto il coraggio di rispondere positivamente al tuo “c’è qualcuno di voi che ama il rischio?” Più che sul controllo mi piacerebbe nella vita stare sul rischio, mi piacerebbe portarmi nella vita l’averlo fatto qui.
T.: Portala a me allora. Dimmi: “Margherita, ti ho dimostrato che sono coraggiosa” oppure “voglio dimostrarti di essere coraggiosa”.
Pz.: Mah, mi piacerebbe di più dirti: “Margherita, mi hai dato la possibilità di sperimentarmi coraggiosa, di mollare un po’”.
T.: Cosa senti quando lo dici?
Pz.: Che manca qualcosa.
T.: Sì.
Pz.: (Silenzio) Vabbè … la mia mamma, forse ho bisogno di dimostrare a lei che sono coraggiosa. Boh! Stiamo sul presente.
T.: Sì, stiamo sul presente. Mi piacerebbe che osassi con me quello che ti impedivi (o che ti impedisci) con lei. Per esempio, ti va di fare a me il gesto della tua rabbia, l’urlo di rabbia?
La psicoterapia della Gestalt individua il qui e ora del contatto terapeutico come il luogo del cambiamento: ciò che cambia è innanzitutto la percezione del paziente nel qui e ora del contatto con il terapeuta, poi questo nuovo apprendimento sarà esportato in altre situazioni (cfr. Spagnuolo Lobb, 2011).
Pz.: Lo facevo da sola quando ero piccola, quindi ora permettermelo con te significa rischiare di farlo con qualcuno.
T.: Si, e davanti a tutti!
Pz.: Davanti a tutti. (Sorride guardando il pubblico) Mettiamoci anche voi.
T.: (Sorride) Più di così…
Pz.: (Sorride) Più di così (coraggiosi), non si può…
T.: Mettiti comoda, tutti e due i piedi per terra, senti il corpo, senti la tua energia dentro, e respira.
Pz.: (Lungo silenzio, mentre si concentra seguendo le istruzioni della terapeuta.)
T.: Mi piace sentire la tua energia, mi piace anche sentire il tuo urlo, ce la fai! (Pausa.) Cosa pensi e cosa senti?
Pz.: Sento che ora sto meglio, nel senso che non sento più quella vibrazione, che è vitalità ma anche l’atto del trattenerla. Respirando, sentendomi in pace con me, ho capito che nella vibrazione c’è un voler trattenere, e più controllo, più sento la paura. Respirare mi ha fatto mettere questa cosa in…
T.: Se capisco bene, il respirare ti ha fatto sentire l’energia in un modo più pieno.
Pz.: Sì, sì, in un modo più pieno sì.
T.: Quindi forse non c’è l’urlo, ma c’è qualcosa che vorresti dire a me (pausa), Mariella. Tu, Mariella, cosa vuoi dire a me, Margherita, in questo momento?
Pz.: Benvenuta a Pisa.
T.: (Ridendo) Benvenuta a Pisa? Dimmi qualcosa di te, dimmi chi sei, cosa vuoi essere.
Pz.: (Pausa) Ahi! Voglio essere una persona prima di tutto, prima di essere una terapeuta. Voglio essere una persona che nella vita riesce a “stare” e non a “dovere stare”. A stare con le cose e non solo con i doveri. Voglio smettere di controllare, voglio essere più folle nella vita.
T.: Ti va di fare una cosa folle con me?
Pz.: (Sorride)…(silenzio).
T.: Ti dico questo…
Pz.: Sì, ok, ok, a posto.
T.: L’hai trovata?
Pz.: (Prende la sciarpa dal collo della terapeuta e la indossa) Non so perché, ma questo mi è venuto!
È un atto di potere giocoso sull’altro, un misto di coraggio di richiamare l’altro a darle qualcosa e di rimprovero affettuoso: nel gioco la paziente integra la pretesa, la rabbia, l’affetto per l’altro.
T.: Ti sta bene (la sciarpa).
Pz.: Grazie, è carina, sì.
T.: Respira, cosa senti adesso?
Pz.: Giudizio (ride).
T.: Giudizio?
Pz.: Sì, mi sto giudicando per quello che ho fatto.
T.: Ah!
Pz.: Per quello che ho fatto, adesso sto cercando di trovare una spiegazione, è una forma di controllo.
T.: Guardami e respira.
Pz.: Sì.
T.: Chiedimi.
Pz.: Ma non è così semplice trovare qualcosa da chiederti.
T.: Fai tutto tu!
Qui voglio dire che “chiedimi” era un invito spontaneo, non una richiesta performativa, come la paziente sembra intendere.
Pz.: (Sorride) Così mi hanno abituato e così sono sopravvissuta.
T.: E sì, stiamo cercando di fare qualcosa di diverso.
Pz.: Mi verrebbe un’altra cosa folle: raccontami una storia come se fossi una bambina.
T.: La raccontiamo insieme?
Qui non accetto la definizione che la paziente dà di sé, con cui si infantilizza, una conseguenza del senso di colpa per non percepirsi adeguata: voglio implicitamente dirle che è capace di co-costruire una storia con l’altro, con me.
Pz.: Sì.
T.: C’era una volta una bambina molto intelligente che guardava il mondo dal basso verso l’alto. Erano tutti grandi e voleva fare tante cose, ma si sentiva piccola e non sempre veniva vista per quello che voleva fare, allora aveva il suo mondo e in questo suo mondo lei faceva tutto: si arrabbiava, trovava il suo equilibrio e poi davanti agli altri era tutta precisa. Così, seguiva il mondo degli altri. Poi c’è stato un momento in cui questa bambina … vuoi aggiungere qualcosa a questo punto?
Pz.: Sì, aspetta, quando hai detto “seguiva il mondo degli altri”, aggiungerei “aveva tanta paura”.
T.: Paura di essere giudicata?
Pz.: Sì, e di essere isolata.
T.: (Continua la storia) E poi c’è stato un momento in cui ha rischiato di dire le sue cose alla mamma, è diventata arrabbiata quando…
Pz.: (annuisce) Sì, nell’adolescenza, sì.
T.: Sì, e poi è diventata terapeuta.
Pz.: Eh, sì! Si è impacchettata tutta, meglio terapeuta che mamma.
T.: (Sorride) Meglio terapeuta che mamma!
Pz.: Meglio diventare terapeuta che diventare mamma.
T.: Tu hai figli, no?
Pz.: Sì, li ho.
T.: Ah!
Pz.: Ecco quello di cui ho bisogno: di avere aiuto come mamma. C’è la mia bimba che si arrabbia tanto, invece, non fa come me (sorride), esplode spesso. Fa tutto il suo ciclo dell’espressione della rabbia, ma è tanta roba…
T.: Sì, Pestalozzi diceva che il diavolo che scacci dal tuo orto lo ritrovi nell’orto dei tuoi figli. Quindi, tua figlia ti spinge a fare qualcosa.
Pz.: Eh, sì, forse ad essere più folle, così non è costretta ad esserlo lei?
T.: Sì, a fidarti della tua energia, della tua follia.
Pz.: Sì.
T.: A creare il ponte.
Pz.: Sì.
T.: Sento che stai dicendo una cosa importante, ma senza il sostegno del tuo respiro. Puoi respirare più pienamente mentre mi parli di questo? Mi sembra che c’è tanto lavoro che potresti fare su questo. Mi è piaciuto che mi hai detto questa cosa dell’essere più folle e dell’imparare ad essere la madre che vuoi essere tu, piuttosto che pensare sempre alla madre che hai avuto (la paziente annuisce). Quindi ti auguro questo: ti auguro di trovare una dimensione di madre che sia tua e mi piacerebbe aiutarti di più, ma dobbiamo finire qui.
Pz.: Eh, lo so, lo so.
T.: Credo che abbiamo iniziato qualcosa… però non ti posso vedere che non respiri, quindi, ti prego, respira!
Pz.: (Ride).
T.: È come se tu fossi sospesa, no? Allora ti dico “respira”, perché il respiro ti radica nella tua esperienza.
Pz.: E non me lo fa diventare un altro dovere.
T.: Esatto, non te lo fa diventare un altro dovere. Ti auguro tante follie belle.
Pz.: Grazie, grazie.
T.: Adesso mi restituisci la sciarpa (sorride).
Pz.: Sì, va bene (sorride).
T.: (Ride) Ciao, grazie.
Pz.: Grazie.
Note:
(1) Si ringrazia la dott.ssa Maria Angela Corriero per la trascrizione.
(2) Il nome è stato modificato. La “paziente” ha inoltre riletto e approvato la trascrizione.
Bibliografia
– Perls F., Hefferline R., Goodman P. (1951). Gestalt Therapy: Excitement and Growth in the Human Personality, edizione riveduta del Gestalt Journal Press (1994) (trad. it. 1971; 1997, La terapia della Gestalt: eccitazione e accrescimento nella personalità umana, Astrolabio, Roma), New York:Julian Press.
– Spagnuolo Lobb M. (2011). Il now-for-next in psicoterapia. La psicoterapia della Gestalt raccontata nella società post-moderna. Milano: FrancoAngeli (traduz in lingua inglese: The now-for-next in psychotherapy. Gestalt Therapy recounted in the post-modern society. Milan: FrancoAngeli, 2013; traduz in lingua spagnola. El ahora-para-lo-siguiente en psicoterapia. La psicoterapia de la Gesatlt contada en la sociedad post-moderna. Madrid: Los libros del CTP, 2013).