«A te che hai dato senso al tempo senza misurarlo…» Lorenzo Cherubini: A te
Il tempo scolastico ha ritmi che si creano dai riti: l’appello, la lezione, i compiti assegnati, l’intervallo. C’è l’orario settimanale, la campanella che suona e scandisce le ore che passano. Il tempo si articola anche nella relazione umana che si stabilisce fra gli alunni e con noi insegnanti. Nascono e si sviluppano storie che passano attraverso la disciplina che insegniamo e che si intrecciano con la vita degli studenti. E’ un tempo che può avere un peso piccolo o grande. Per gli studenti il tempo trascorso a scuola è percepito come una frazione qualitativamente poco importante della loro vita. Per gli insegnanti il tempo dedicato all’insegnamento è tanto e importante: è lavoro che può arricchire o svuotare dentro, è passione oppure routine. Può essere tanto e comunque non è mai niente. Il senso del nostro lavoro, il significato che esso ha per gli studenti dipende dalle scelte che si fanno, dal tempo che si è passato a decidere cosa è meglio per gli alunni adesso e in prospettiva, da come sappiamo leggere le loro menti e da come sappiamo costruire i nostri racconti.
La narrazione
L’insegnamento necessita di narrazione. L’insegnamento scientifico è spesso impersonale, le proposizioni che si susseguono nei libri di testo sono asserzioni senza storia, e non sono facilmente percepibili come il risultato di un’impresa umana. Questo le rende resoconti indecifrabili.
Scrive Bruner: «E’ più facile convivere con versioni alternative di un racconto che con premesse alternative di un resoconto scientifico. Non so dare alcuna spiegazione psicologica profonda di questo fenomeno, ma ho un sospetto. Noi sappiamo dalla nostra personale esperienza nel raccontare storie coerenti su noi stessi che esiste un aspetto ineluttabilmente “umano” nel processo di attribuzione di senso. E siamo disposti ad accettare un’altra versione come solamente umana. Lo spirito illuministico che spinse Carl Hempel … ad affermare che la nostra storia deve essere limitata a forme proposizionali verificabili, ne aveva perso di vista la funzione negoziatrice ed ermeneutica.» [1]
Non si tratta di rinunciare alle forme proposizionali verificabili ma di rendere evidenti i fatti, gli eventi, i ragionamenti, le lotte intellettuali che hanno portato alle affermazioni scientifiche accreditate. Tutto questo rende la scienza una faccenda umana che si può raccontare.
Ma quali sono i canoni della narrazione che possono essere importanti per noi che vogliamo far diventare gli argomenti scientifici racconti che si ascoltano volentieri? Come possiamo legare fra loro le diverse storie in modo che il tutto abbia un senso? Possiamo attraverso il racconto catturare il tempo della scuola?
«Una narrazione richiede…quattro componenti grammaticali fondamentali per essere efficace.. Richiede in primo luogo un mezzo per mettere in rilievo l’azione umana o l’“agentività”, un’azione diretta verso fini che si trovano sotto il controllo di coloro che agiscono. In secondo luogo richiede che sia mantenuto e stabilito un ordine sequenziale, che eventi e stati siano resi “lineari” in modo standard. In terzo luogo la narrazione richiede anche sensibilità verso ciò che è canonico, e verso ciò che viola i canoni, nell’interazione umana. Infine richiede qualcosa di simile alla prospettiva del narratore: essa non può, nel gergo della narratologia, essere “priva di voce”.» [2] Queste quattro caratteristiche per Bruner sono essenziali nello sviluppo del linguaggio e costituiscono la base per l’accesso al significato delle nostre azioni e la base della costruzione dei nostri pensieri. Ogni narrazione, per essere efficace deve rispettare questi canoni. Il problema è poi ciò che unisce una narrazione ad un’altra.
Per dare un senso a ciò che facciamo e che siamo ci devono essere dei legami fra le storie o quantomeno dobbiamo essere in grado di individuarli, di crearli in base a ciò che siamo, in base al nostro sé. Dobbiamo essere capaci di legare le storie della nostra vita in modo da dare un senso a ciò che ci succede. Ci spieghiamo i fatti, interpretiamo, leggiamo la nostre vita e quelle degli altri in base ai singoli racconti e alle connessioni fra i racconti.
La connessione è ciò che tiene unito l’insieme degli avvenimenti: è la spada nella roccia, è l’anello magico. “Il vero protagonista del racconto è, comunque, l’anello magico: perché sono i movimenti dell’anello che determinano quelli dei personaggi; perché è l’anello che stabilisce i rapporti con loro. Attorno all’oggetto magico si forma come un campo di forze che è il campo del racconto. Possiamo dire che l’oggetto magico è un segno riconoscibile che rende esplicito il collegamento fra persone o tra avvenimenti… Diremmo che dal momento in cui un oggetto compare in una narrazione, si carica di una forza speciale, diventa come il polo d’un campo magnetico, un nodo di una rete di rapporti invisibili.” [3]
In Le mille e una notte, scrive Calvino, “Sherazade racconta una storia in cui si racconta un’altra storia e così via. L’arte che permette a Sherazade di salvarsi la vita ogni giorno sta nel saper incatenare una storia all’altra e nel sapersi interrompere al momento giusto: due operazioni sulla continuità e sulla discontinuità del tempo. E’ un segreto di ritmo, una cattura del tempo che possiamo riconoscere dalle origini: nell’epica per effetto della metrica del verso, nella narrazione in prosa per gli effetti che tengono vivo il desiderio d’ascoltare il seguito.” [4] Il tempo si dilata per seguire l’intreccio narrativo. Il tempo è funzionale alla narrazione e si può allungare, si può accorciare per dare spazio ad alcuni fatti e meno ad altri.
La narrazione nella scuola di base e nel biennio
In questo quadro la narrazione è necessaria per fare significato anche in ambito scientifico. Le modalità di costruzione delle storie sono però diverse a seconda che ci si riferisca al ciclo primario o alla scuola secondaria superiore. Nella scuola di base si creano percorsi didattici in cui fenomenologie non troppo complicate dal punto di vista teorico vengono analizzate partendo da esperimenti sui quali è possibile discutere, fare ipotesi e confermarle, giungendo a definizioni operative che sono la sintesi, le conclusioni a cui si è pervenuti. La definizione operativa è il frutto di più operazioni: si lavora manualmente sulle cose, si sviluppano ipotesi individuali e si confrontano con quelle degli altri, si esercita il pensiero logico, si elabora il linguaggio. Il risultato è costituito da una o più frasi linguisticamente corrette che contengono il percorso didattico. Il procedimento è prevalentemente induttivo e porta a generalizzazioni che sono il frutto di un astrazioni adeguate all’età degli alunni. La didattica laboratoriale nelle scienze della scuola di base si concretizza quindi nella costruzione di definizioni operative. Quando si passa allo studio di leggi e teorie, allora le definizioni operative non sono più sufficienti a creare storie che tengano conto dei risultati a cui si è giunti in una determinata disciplina scientifica. Allora è necessaria una contestualizzazione storica ed epistemologica che ricostruisca gli ambiti teorici ed epistemologici in cui si è pervenuti ad una determinata convinzione scientifica. Si usa la storia della scienza per evidenziare i tratti cruciali, i nodi epistemologici che hanno portato alla elaborazione di una nuova teoria. In questo caso la generalizzazione è un concetto astratto lontano dal senso comune. Il procedimento logico non è induttivo. Fare percorsi didattici nei due ambiti di scuola è completamente diverso. Nonostante ciò il legame fra i diversi tipi di storie ci deve essere.
Un anello magico della chimica: il calcare
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Senza affrontare i particolari dei singoli percorsi didattici si vuole dare un’idea di come una sostanza semplice, il calcare, possa costituire un aggancio concettuale, un riferimento fra le storie che vanno a costituire il curricolo verticale che proponiamo per la chimica dalla scuola primaria al biennio della scuola secondaria di secondo grado.
Gli alunni incontrano per la prima volta il calcare nella scuola primaria, quando constatano che il marmo non si scioglie in acqua e definiscono per differenza le soluzioni formate da solidi in acqua. Il miscuglio eterogeneo costituito da acqua e marmo è un riferimento fondamentale quando poi, nella scuola secondaria di primo grado, nel percorso sugli acidi si vuole costruire il concetto di trasformazione chimica. Con soluzioni acquose di acido cloridrico il marmo “si scioglie”. Questo discioglimento è in realtà una trasformazione chimica perché ciò che va in soluzione non è il marmo ma una nuova sostanza, il cloruro di calcio, prodotto dell’interazione fra acido cloridrico e marmo. [5]
Nella biennio della scuola secondaria di secondo grado incontriamo ancora il calcare quando, nell’ambito della chimica delle arie, lo decomponiamo ottenendo la calce viva. E’ necessario qui il riferimento a Black che decomponendo la magnesia alba (carbonato di magnesio), ottenne una nuova sostanza la magnesia usta (l’ossido di magnesio) e raccolse un’aria diversa dall’aria atmosferica, l’aria fissa (l’anidride carbonica). Tale aria si produceva anche nelle trasformazioni che coinvolgono la produzione della calce viva dal calcare. La perdita e l’acquisto di tale aria giustificava la variazione di proprietà caustiche di queste e altre sostanze.
In queste esperienze si fa reagire il calcare con un acido, l’ “aria” che fuoriesce viene raccolta in un bagno pneumatico, la calce viva viene spenta con quantità precise di acqua, in presenza o meno di aria, e si prova la reattività con gli acidi; il calcare viene poi ricostituito nuovamente facendo reagire calce, acqua e aria fissa. In questo ciclo si parte dal calcare e si ritorna al calcare dopo una serie di reazioni che hanno senso chimico di per sé e che assumono significato particolare nella fase in cui si spiega la nascita della chimica ad alunni che devono costruire i concetti di sostanza semplice e composta [6]. Le terre e l’aria si scompongono in sostanze diverse, anche in “arie” [7].
La scoperta della chimicità dell’aria, e di un’aria diversa da quella atmosferica, infatti porta successivamente a considerare l’aria come reattivo fondamentale nella combustione e nella calcinazione. Il ruolo che Lavoisier attribuisce all’aria in queste due trasformazioni si contrappone alla teoria del flogisto che spiegava la combustione e la calcinazione mettendo in gioco questo “fluido magico”. La scoperta fondamentale del 1772 definisce il ruolo chimico dell’aria nella calcinazione e nella combustione, contro la teoria del flogisto. [8]
Dopo l’individuazione dell’ossigeno come il componente dell’aria responsabile della combustione, Lavoisier giunge a comprendere quale sia la composizione dell’aria fissa. Il carbone e l’ossigeno compongono l’aria fissa. Ciò contribuisce a costruire i concetti di composto ed elemento. L’aria fissa (l’anidride carbonica) è quindi un composto e il carbone (il carbonio) e l’ossigeno sono elementi.
La storia dell’anidride carbonica non finisce qui. Questa è solo una parte, un inizio, che segue un percorso narrativo a cui si legano concetti importanti per la comprensione delle basi della chimica. In questa sequenza narrativa c’è sempre un riferimento precedente, l’anello magico che fa da filo conduttore. Gli alunni possono così seguire la trama e acquisire concetti scientifici che possiamo definire di cittadinanza. Perché l’ossigeno, l’anidride carbonica, la combustione sono concetti scientifici basilari per tutti i cittadini.
I legami presenti nell’anidride carbonica, la sua struttura molecolare, le reazioni chimiche e biochimiche in cui è coinvolta sono argomenti che potranno essere sviluppati successivamente, a livelli superiori di studio della chimica. Pensiamo che la narrazione dovrebbe essere presente sempre nello studio della scienza, anche negli fasi in cui lo studio scientifico è specialistico. Tuttavia la riteniamo essenziale quando si costruiscono le basi delle discipline.
Il tempo della scuola, si deve dilatare per seguire l’intreccio narrativo. Il tempo è funzionale alla comprensione e si può allungare, si può accorciare per dare spazio ad alcuni fatti e meno ad altri. Per dare tempo al tempo, la narrazione si può anche fermare. “come nel caso della bella addormentata, …perfino gli spiedi ch’erano nel camino, carichi di pernici e fagiani, si addormentarono, e si addormentò anche il fuoco. Tutto ciò avvenne in un attimo: le fate sono assai svelte nelle loro faccende.” [9]
Note:
* E.Aquilini, C. Fiorentini, L’anello magico, Insegnare, 6, 2009, p. 25-27
[1] J. Bruner, La ricerca del significato, 1999, Torino, Bollati Boringhieri, p. 64
[2] Ibidem, p. 83.
[3] I. Calvino, Lezioni Americane, Milano, Garzanti,1988, pp. 34-35
[4] Ibidem, p. 39.
[5] L. Barsantini e C. Fiorentini (a cura di), L’insegnamento delle scienze verso un curricolo verticale. Fenomeni chimico-fisici , I.R.R.S.A.E Abruzzo, S. Gabriele (TE), Editoriale Eco srl, 2001.
[6] C. Fiorentini, E. Roletto, Ipotesi per il curricolo di chimica, La Chimica nella Scuola, 2000, n. 5, pp. 158-168;
[7] F. Abbri, Le terre, l’acqua, le arie, Bologna, Il Mulino, 1984.
[8] C.Fiorentini, E.Aquilini, D.Colombi, A.Testoni, Leggere il mondo oltre le apparenze, Roma, Armando, 2007.
[9] I. Calvino, Lezioni Americane.
Eleonora Aquilini
Sono nata a Rieti e vivo a Pisa. Laureata in Chimica a Pisa nel 1986, insegno questa disciplina nella Scuola media Superiore. Viste le difficoltà connesse all’insegnamento/apprendimento delle discipline scientifiche mi sono dedicata a studi che ne ricercano le ragioni anche in ambito psico-pedagogico. Dal 1995 svolgo attività di ricerca didattica nel “Gruppo di ricerca e sperimentazione didattica in educazione scientifica del CIDI di Firenze” e dal 2001 sono Vicepresidente della Divisione di Didattica della Società Chimica Italiana. Molti miei scritti sono stati pubblicati in riviste di didattica.
E-mail: ele.aquilini(at)tin.it
Carlo Fiorentini,
è docente di chimica ed ha la laurea in pedagogia. Da molti anni opera nel campo della formazione degli insegnanti. E’ Presidente del CIDI di Firenze e membro della segreteria nazionale della stessa associazione. Fra le sue pubblicazione: 1) La Prima Chimica, Milano, Angeli, 1990, per la quale ha ricevuto nel 1996 un riconoscimento fuori concorso dalla giuria dell’ottavo premio “Federchimica – Per un futuro intelligente” 3) L. Barsantini, C. Fiorentini, L’insegnamento delle scienze verso il curricolo verticale. I fenomeni chimico-fisici, L’Aquila, IRRSAE Abruzzo, 2001; 4) C. Fiorentini, E. Aquilini, D. Colombi, A. Testoni, Leggere il mondo oltre le apparenze. Per una didattica dei concetti fondamentali della chimica, Roma, Armando 2007.