Il riquadro di copertina del libro porta questa scritta “La vita e i film di un eroe degli anni cinquanta e mito per i giovani d’oggi”. La pubblicazione del libro data 1975. James Dean è morto nel 1955, a ventiquattro anni (era nato nel 1931), in un incidente stradale.
Le rivolte giovanili mondiali (pre Sessantotto e oltre, almeno in Italia) nell’anno della pubblicazione del libro di Howlett o si erano spente (maggio francese) o avrebbero avuto trasformazioni diverse e di natura pressoché sterile o suicida (il movimento del Settantasette in Italia e il terrorismo).
James Dean non è stato mai un’icona di quei momenti di ribellione (non di rivoluzione). Erano altri i riferimenti, molto più politici (Che Guevara, Ho Chi Minh, Mao Tse Tung).
James Dean, con la sua fugace comparsa sulla faccia della terra, ha rappresentato un mito moderno, che non poteva non essere veicolato dal mezzo di comunicazione visiva più diffuso negli anni ’50, il cinema. Ha incarnato il prototipo dell’eroe, giovane e bello, tormentato da una inquietudine “sans cause”, tutta rivolta a padri inesistenti, di cui si reclamava però una solida presenza e madri che avevano abdicato all’amore per il figlio, perché confinate in una vita familiare asfittica (il film “La valle dell’Eden”), quindi assenti o morte (come la vera madre di Dean).
Visto con gli occhi di oggi, il percorso umano e professionale di James Dean nella sua breve vita può apparire tutto scontato, tutto troppo descritto a tinte forti, ma connotate di rapporti reali e veri, non ci sono le fughe nella droga o nell’alcol, non ci sono solitudini autistiche, ma una ricerca disperata di relazione (“Gioventù bruciata”).
Howlett percorre cronologicamente la vicenda umana di Dean, dalla sua primissima infanzia nei sobborghi di Indianapolis, fino a sei anni, poi a Santa Monica e nella fattoria di Fairmount, in casa degli zii, dopo la morte della madre.
La carriera d’attore sembrò essere l’unica strada che il ragazzo avrebbe potuto percorrere, mescolando dramma della vita, assunto sulla propria pelle, e lavoro, professione.
Fu sempre la naturalità che lo guidò nelle interpretazioni, la frequenza della famosa scuola di attori
Actor Studio, fondata da Elia Kazan e diretta, dopo il 1950, da Lee Strasberg, non fu mai regolare, come se il futuro attore fosse indocile e non volesse sottomettere il suo talento naturale ad una tecnica che temeva lo avrebbe snaturato, per lasciare invece un terreno vergine alla assoluta creatività.
Questa sua dote innata di attore atto ad esprimere un dramma, fu poco capito dai critici cinematografici dell’epoca, che si divisero in opposti giudizi (James Dean riconobbe come suoi riferimenti attoriali Marlon Brando e Montgomey Clift).
Ecco che cosa scrive Bosley Crowther, critico del “New York Times” dopo la prima di “La valle dell’Eden”, primo film interpretato da Dean:
“Tutto un istrionismo di pasta frolla. Strascica i piedi, piroetta, fa il broncio, farfuglia, si appoggia alle pareti, fa roteare gli occhi, ingoia le parole, si trascina indolente…” (1)
Un altro critico, William Zinsser, nel “New York Herald Tribune” ne coglie invece, descrivendole puntualmente, le caratteristiche della recitazione (tutte desunte dal corpo deaniano):
“Ogni cosa in Dean fa pensare al diciannovenne solo e incompreso. Anche da lontano si comprende molto di lui, dal modo in cui cammina, con le mani in tasca e la testa ciondoloni, come un cane randagio in cerca di un osso. Quando parla farfuglia, si inceppa, come se non sapesse ciò che vuol dire. Quando ascolta è irrequieto, si agita, si rotola per terra, appoggia il mento sulla ringhiera della veranda come un bambino che si annoia delle chiacchiere dei grandi…di tanto in tanto sorride senza ragione, come per qualcosa di divertente, che solo lui conosce…”. (2)
Ma chi coglie l’essenza della recitazione “esistenziale” di Dean e sottolinea l’importanza, per il mondo artistico cinematografico, di questo nuovo attore è un uomo di cinema, che conosce la cultura dell’immagine, ne ha frequentato la storia, ha costruito una nuova critica e si cimenta materialmente sulla costruzione dell’opera. Si tratta di un articolo di Truffaut, comparso sui “Cahiers du Cinema”. La citazione è lunga, ma vale la pena di riportarla per intera, per la sua ricchezza e precisione:
“La Valle dell’Eden è il primo film con un eroe baudleriano, attratto dal vizio e dalle contraddizioni, che ama e odia contemporaneamente la famiglia. Una rivista di cinema non può non interessarsi ad un attore come James Dean, questo “fiore del male” appena colto; James Dean è cinema allo stesso modo di Lilian Gish (3), Chaplin, Ingrid Bergman ecc… Dean ha assicurato il successo ad un film che altrimenti sarebbe rimasto quasi ignorato, ha infuso vita ad una vicenda astratta, ha interessato un vasto pubblico a problemi morali trattati in un modo insolito… Il suo sguardo miope gli impedisce di sorridere, e ogni sorriso rappresenta una vittoria strappata con pazienti sforzi. Il suo potere di seduzione – e basta osservare le reazioni del pubblico quando Raymond Massey (4) rifiuta i soldi, cioè l’affetto – è tale che Dean potrebbe uccidere sullo schermo padre e madre con la piena approvazione del pubblico raffinato che delle platee popolari. In questo film il suo personaggio è una sintesi di “Les enfants terribiles”: un erede solitario della triplice eredità di Elisabeth, Paul e Dareglos(5)”.(6)
Il giudizio di Truffaut, riportato da Howlett come desunto da “Cahiers di Cinema, ma senza nessuna indicazione di data, coglie l’aspetto letterario e artistico dei personaggio di Cal interpretato da James Dean nel citato “La valle dell’Eden”.
Chi si avvicina con occhio psicologico alla personalità dell’uomo Dean si trova di fronte ad una psiche combattuta e conflittuale, amletica, nel senso che tutto può essere aperto a tutto, l’individuo può diventare un assassino o intraprendere la via della santità.
Dobbiamo ancora ricorrere ad una lunga citazione dal libro di Howlett, che però ci illumina sulle paure di James Dean e sui suoi costrutti psicologici ingenui e “creaturali”.
“Stando ai pettegolezzi dell’epoca, nel mese di marzo (7) (Dean) si era rivolto allo psichiatra di Marlon Brando (presumibilmente il dottor Mittelman), ma nessuno può dire quante volte si sia incontrato con lui né fino a che punto venne coinvolto nell’analisi. Da quel poco che (Dean) ha confidato agli amici, sembra comunque ch’egli abbia rifiutato questa esperienza. Disse una volta a Nick Adams (8): <Dicono che, per me, amare mio padre è come un bisogno di bere. E’ una cosa che già sapevo 15 anni fa>.
E’ più probabile invece che quella esperienza lo spaventasse, così come durante il periodo dell’Actors Studio era stato spaventato dalle ricerche e dall’analisi critica di Lee Strasberg, tanto che in seguito non recitò mai più in sua presenza. Ora succedeva la stessa cosa. Dopo una o due sedute sentì l’analisi dello psichiatra come un’intrusione insopportabile e decise di non continuare:
<La forza interiore che mi fa essere quel che sono, è come un film. Un film funziona solo al buio. Se apri le finestre e gli dai luce, lo ammazzi>”. (9)
Con la necessità di cambiare notevolmente i contesti, ci troviamo però di fronte ad una sorta di attore pasoliniano, anche se non preso dalla strada. Mentre gli attori di Pasolini, i borgatari romani, sono assolutamente illetterati e portano nella loro creaturalità, secondo il regista, tutto il mondo primigenio e non ancora intaccato dalla società dei consumi (ma lo sarà ben presto), così James Dean, figlio di una modesta middle class e cresciuto nell’ambiente rurale americano, è il custode di un’energia nevrotica primigenia che trova nella recitazione l’unico luogo dove esprimersi e trasformarsi in una inquieta vita piena.
Il mito, nella sua diffusione di massa, durerà poco, nemmeno un decennio. Le ribellioni giovanili, cominciate con le richieste degli studenti di Berkeley (1964) per rivendicare la libertà di parola e di critica all’interno del campus universitario, cioè una richiesta politica, inglobarono il diffuso, ma indifferenziato senso di ribellione, proprio della gioventù americana degli anni ’50, e lo indirizzarono ad unire le critiche al mondo dei padri all’avversione per le ideologie dominanti. La guerra del Vietnam avrebbe maggiormente radicalizzato il movimento.
La difesa della società costituita si divise a metà fra repressione e nuove aperture.
Si potrebbe dire che la radicalità individuale, di persona, di James Dean è stata inglobata in una società più tollerante, che però ha usato marcusianamente questa tolleranza per mettere in atto una nuova e più sottile repressione.
Il palcoscenico è ancora aperto, in attesa di un secondo James Dean. Il primo è stato trasformato dall’industria culturale nella sostanza immateriale e inoffensiva degli angeli. I suoi coetanei sono invecchiati e i miti non sopportano l’avanzare dell’età.
Giovanni Lancellotti giovannilance@alice.it
Note:
-
HOWLETT pag. 97.
-
HOWLETT pag. 98.
-
Lillian Gish (1893-1993). Attrice americana dell’epoca del muto. Protagonista di diversi film di Griffith (N.d.R.).
-
E’ il nome dell’attore che interpreta il personaggio del padre di Cal (James Dean), nel film “La valle dell’Eden” di Elia Kazan (N.d.R.).
-
Sono i nomi dei protagonisti del romanzo “Les enfants terribiles” (1929) di Jean Cocteau (N.d.R.).
-
HOWLETT pag. 98.
-
Si tratta del 1954 (N.d.R.)
-
Nick Adams (1931-1968).Attore cinematografico americano, amico di Dean (N.d.R.).
-
Sono parole di James Dean, di cui però Howlett non cita la fonte, come più di una volta nel libro (N.d:R.).