Aspetti correlati alla condizione diabetica di tipo 1

La gestione della condizione diabetica, in particolar modo del diabete mellito di tipo 1, trattandosi di una patologia cronica significativamente limitante, non è riducibile esclusivamente all’aspetto fisiopatologico.
Tale componente deve essere integrata nella dimensione più ampia dell’immagine di sé percepita dal diabetico ed in quella che gli viene restituita dall’ambiente in cui vive.
E’ infatti ormai acquisito, in ambito medico, il concetto che un ottimale controllo metabolico è condizione indispensabile per prevenire le complicanze croniche della malattia, ma è altrettanto evidente come il suo raggiungimento comporti un notevole impegno da parte del diabetico (Bassi, Morsiani, 1978; Bertola, Cori, 1989; Rapetti, 1989).
Il denominatore comune è rappresentato dal problema dell'”accettazione attiva” del diabete, intesa come raggiungimento di una dinamica situazione di nuovo equilibrio vitale, caratterizzato dall’autonomia nella gestione della condizione diabetica e dalla convivenza consapevole e pacifica con la condizione stessa (Corradin, Erle, 1992; Erle, Corradin, s.d.).
L’educazione sanitaria rappresenta uno strumento atto al raggiungimento di tale scopo, attraverso un accrescimento delle conoscenze legate al diabete ed una modificazione degli atteggiamenti e comportamenti da parte della persona (Corradin, 1996; Erle, 1994).
Il problema di tale convivenza pacifica, consapevole e progressiva, con la condizione diabetica, tuttavia, per quanto possa essere agevolato nella sua graduale risoluzione dalla conoscenza e padronanza fornite dai metodi classici di educazione sanitaria, resta legato ad una profonda crisi personale ed implica un difficile ed oneroso processo emotivo di elaborazione interiore (Primi, 1985; Glasgow, Osteen, 1992).
In questo senso, le angosce che si sollevano inevitabilmente, a partire dal momento della diagnosi e durante l’oneroso iter terapeutico, sia nel diabetico che nei suoi familiari, inducono una sofferenza interiore che non può essere trascurata e che interferisce nella condizione già difficile di convivenza col diabete (Gianformaggio, 1997). Tale sofferenza psichica necessita di trovare spazi adeguati per esprimersi, essere accolta ed elaborata (Sequi, 1989).
Il controllo metabolico rappresenta quindi un obiettivo da perseguire all’interno di un intervento più globale, volto a favorire i processi evolutivi e l’integrazione equilibrata della personalità del diabetico. Solo così, a lungo termine ed al di là dei limiti implicati dalla cronicità, il trattamento terapeutico sembra sortire risultati globalmente ed effettivamente positivi.
In questa prospettiva, si è ritenuto adeguato sperimentare l’applicazione del Gruppo di Incontro di matrice rogersiana nell’ambito di questa patologia a decorso cronico.

Il Gruppo di Incontro

Il Gruppo di Incontro rappresenta l’applicazione della teoria rogersiana alle dinamiche di gruppo (Brown, 1989; Di Maria, Lo Verso, 1995).
Tale applicazione dell’Approccio Centrato sulla Persona, manifesta una modalità di fare Gruppo che tende ad esaltare la crescita autonoma della persona e lo sviluppo ed il miglioramento della comunicazione e dei rapporti interpersonali, attraverso un processo di esperienza diretta (Rogers, 1970; Mearns, Thorne, 1988).
Il ruolo dei “conduttori” non è quello di dirigere il Gruppo, ma di accompagnarlo; non è quello di spingerlo, ma di facilitarlo nel suo processo di comunicazione. In questo senso, vengono definiti più correttamente “facilitatori” o “agevolatori” del Gruppo. Pertanto, il loro ruolo è quello di favorire un clima psicologico di sicurezza, pienamente accettante e non giudicante, in cui si realizzino gradualmente la libertà di espressione e la riduzione degli atteggiamenti difensivi.
In questo senso, il Gruppo non viene diretto dagli agevolatori, ma soltanto facilitato nello svolgersi del processo di discussione sulle tematiche che il Gruppo stesso si sceglie ed intende affrontare.
In questo clima psicologico tendono ad essere espresse molte reazioni emotive immediate di ogni membro verso gli altri e verso sé stesso (Pagès, 1975). Da questa mutua libertà di esprimere i veri sentimenti, positivi e negativi, si sviluppa un clima di fiducia reciproca.
Ogni membro può procedere verso una maggiore accettazione del suo essere totale – emotivo, intellettuale e fisico – così come esso è, compreso il suo potenziale. Negli individui meno inibiti dalla rigidezza difensiva, incute meno timore la possibilità di un cambiamento di atteggiamenti e di comportamenti personali. Con la riduzione della rigidezza difensiva gli individui possono ascoltarsi a vicenda e possono imparare maggiormente l’uno dall’altro. Da questa maggiore libertà a da questa migliore comunicazione emergono nuove idee, nuovi concetti, nuove direzioni (Heap, 1985).
Questi insegnamenti dell’esperienza di Gruppo tendono a riversarsi, temporaneamente od in forma più durevole, nei rapporti interpersonali con l’esterno (famiglia, ecc.).
Il Gruppo di Incontro di matrice rogersiana trova ampia applicazione non solo in ambito strettamente terapeutico, ma anche in settori molto diversi: nel mondo del lavoro (gruppi di formazione o di organizzazione); nelle istituzioni religiose; nell’apparato statale; nei rapporti razziali; nei rapporti familiari; nella pubblica istruzione.
I risultati delle ricerche effettuate appaiono molto incoraggianti (Rogers, 1970). In estrema sintesi, sono stati osservati cambiamenti positivi importanti nei partecipanti di quasi ogni Gruppo investigato. L’autostima migliora, le tendenze ad una crescita autonoma e personale si accentuano. Il Gruppo ha l’effetto di uno stimolo psicologico all’accrescimento. Avvengono cambiamenti nella consapevolezza dei propri sentimenti e dei sentimenti degli altri, nella capacità di controllare i sentimenti, nella realizzazione di sé stessi, negli atteggiamenti verso sé stessi, come l’autostima e l’autoaccettazione, e verso gli altri, come la maggiore accettazione degli altri e la maggiore partecipazione, nonché nella capacità di lavorare in gruppo per la soluzione di problemi.

Il Gruppo di Incontro ed il diabete mellito di tipo 1

Nell’ambito dell’applicazione specifica del Gruppo di Incontro alla nostra esperienza, è sembrato sostenibile ritenere che questa modalità aggregativa potesse essere utile soprattutto a coloro che, già formati nelle conoscenze e nell’autogestione della condizione di cronicità, volessero raggiungere migliori equilibri nella convivenza pacifica con il diabete (Primi, 1985; Sequi, 1989).
In particolare, ci è sembrato fondatamente ipotizzabile che il Gruppo di Incontro potesse costituire un valido strumento di intervento nell’ambito del trattamento globale della “condizione diabetica”, almeno per quanto attiene al diabete mellito di tipo 1.
Il Gruppo di Incontro, in sostanza, ci è sembrato ben indirizzarsi verso realtà in cui gli aspetti di disagio fossero riscontrabili nella difficoltà della digestione psichica della condizione diabetica, nel raggiungimento della già citata “accettazione attiva”.
In considerazione di tale tipo di utilità, il Gruppo di Incontro è apparso particolarmente da promuovere nei confronti di partecipanti già in possesso di solide basi di educazione sanitaria, in relazione all’auto-controllo ed all’auto-gestione del diabete.

L’esperienza del Gruppo di Prato

In concreto, partendo da una pluriennale esperienza di educazione sanitaria con i giovani diabetici di tipo 1, abbiamo voluto intraprendere, a partire dal 1995, un diverso approccio, da affiancare ai tradizionali metodi di fare terapia educativa, appunto mediante l’attivazione di un Gruppo di Incontro, secondo il modello dell’Approccio Centrato sulla Persona.
Di tale esperienza intendiamo riferire in questo lavoro, valutando i risultati in termini di compenso metabolico, conoscenze legate al diabete e qualità della vita (Corradin, 1996; Erle, 1994; Glasgow, Osteen, 1992; Mannucci et al., 1994).

Casistica e metodi

Il Gruppo oggetto della ricerca, formatosi per accesso libero e volontario, su invito della Sezione Autonoma di Diabetologia e Malattie Metaboliche dell’Azienda USL 4 di Prato, è (al momento della rilevazione dei dati) composto da 26 clienti con diabete mellito di tipo 1, di età media di 24 anni, 9 maschi e 17 femmine, con durata della malattia di 12,5±7,8 anni.
Possono intervenire agli incontri anche familiari o persone comunque legate ai componenti il Gruppo.
Nel corso dell’iniziativa si è registrata una presenza media di quindici/venti partecipanti per incontro, con punte massime di venticinque/trenta persone.
Il Gruppo non viene “diretto” dal facilitatore e dai co-facilitatori, bensì sceglie di dibattere su tematiche autonomamente decise, con piena libertà per i partecipanti di spaziare su argomenti diversi, in base alle personali esigenze avvertite. In questo senso, non vi sono argomenti di discussione precostituiti.
Il Gruppo si riunisce ogni due settimane, escluso il mese di agosto, il martedì sera, dalle ore 21.00 alle ore 23.00, presso i locali dell’Associazione Diabetici di Prato.
Partecipano alle riunioni uno psicologo psicoterapeuta, nel ruolo di facilitatore, e nel ruolo di co-facilitatori un medico diabetologo, un’infermiera professionale del Servizio di Diabetologia ed un diabetico-guida. I coadiutori non sempre sono presenti contemporaneamente; è sempre assicurata invece la presenza dello psicologo psicoterapeuta o, in caso eccezionale di sua assenza, quella del medico diabetologo.
Il Gruppo si riunisce senza obbligo di frequenza né di continuità di partecipazione ed è un “gruppo aperto”, nel senso che nel corso del tempo si sono aggiunti alcuni partecipanti ed altri lo hanno frequentato con minore assiduità.
I partecipanti, compresi facilitatore e co-facilitatori, stanno seduti in cerchio su sedie disposte al centro della stanza della riunione.
Durante gli incontri chiunque può presentare proposte o manifestare una preoccupazione od un problema e su tali argomenti il Gruppo scambia osservazioni, suggerimenti e soluzioni.
Talora sono stati invitati, su richiesta del Gruppo, degli esperti esterni, per affrontare particolari argomenti tecnici, inerenti alla gestione della malattia.
Vi è un confronto aperto sulle più comuni esperienze quotidiane che il diabetico vive, senza atteggiamenti giudicanti.
Tutti i clienti sono in terapia insulinica intensiva, effettuano non meno di 4 iniezioni di insulina al giorno e da 2 a 6 controlli glicemici giornalieri (mediamente 3,7). Il numero di ipoglicemie settimanali che necessitano di intervento è pari a 1,7.
All’inizio degli incontri 3 clienti presentavano complicanze (retinopatia background in 2 casi e retinopatia proliferante in 1 caso).
Nei quattro anni di osservazione i clienti hanno frequentato il Servizio di Diabetologia per i controlli medici con cadenza non precostituita.
Come indice di controllo metabolico è stato preso il valore di HbA1c (emoglobina glicosilata) determinato nel 1995 (inizio degli incontri) ed a febbraio 1999.
In tale data sono stati distribuiti a tutti i partecipanti tre diversi questionari:
1. Il questionario GISED (Gruppo Italiano di Studio sull’Educazione del Diabetico) per la valutazione delle conoscenze, dei comportamenti e degli atteggiamenti dei diabetici di tipo 1;
2. Il questionario DQOL (Diabetes Quality of Life) sviluppato per il Diabetes Control and Complication Trial, nella sua versione italiana;
3. Un questionario fenomenologico, derivato da “Carl Rogers on Encounter Groups” ed appositamente adattato alla condizione diabetica.

Risultati

Nel periodo esaminato la partecipazione dei diabetici agli incontri è stata superiore al 70%.
Non si sono osservate significative modificazioni nei comportamenti riguardo specificamente al diabete, in particolare nel numero di iniezioni giornaliere e di controlli glicemici.
Non si è osservata una significativa variazione nel numero degli episodi ipoglicemici sintomatici.
Il controllo a distanza delle complicanze micro e macrovascolari non ha evidenziato complicanze nei clienti che ne erano privi all’inizio dell’osservazione, mentre nei 3 clienti con complicanze retiniche il quadro è rimasto invariato.
Il valore medio di emoglobina glicosilata (HbA1c) è significativamente variato in diminuzione, passando da 8,6±0,39 nel 1995 a 7,31±0,23 nel febbraio 1999 (p<0,0001 ; t=4,236 con 25 gradi di libertà).
Il questionario GISED ha mostrato il permanere di alcune lacune riguardo alle conoscenze (mediamente 5 risposte non esatte per ogni cliente).
Il questionario DQOL ha fornito risposte omogenee con un range medio complessivo di 1,95 (Tabella 1):

DQOL (Diabetes Quality of Life) (range 1- 5)
(1: ottima qualità di vita – 5: pessima qualità di vita)
Soddisfazione Impatto Preoccupazione generale Preoccupazione
legata al diabete
Totale
2,25 1,84 1,52 2,14 1,95

Tabella 1: risultati del questionario DQOL (versione italiana). Punteggio medio per le singole categorie e media complessiva.

Il questionario fenomenologico ha fornito risultati che possono essere così riassunti:

  • 18 clienti riferiscono di rapportarsi in modo sensibilmente diverso con il diabete ed il cambiamento è stato positivo;
  • 4 clienti definiscono positivo il loro cambiamento, ma denunciano ancora qualche residua difficoltà;
  • 14 clienti hanno manifestato una significativa variazione, in senso positivo, del proprio rapporto con gli altri;
  • 25 clienti definiscono l’esperienza del Gruppo di Incontro “… costruttiva nei risultati, un’esperienza profondamente significativa, positiva…“;
  • 25 clienti riferiscono che l’esperienza del Gruppo ha aumentato la consapevolezza dei sentimenti propri, anche in relazione al diabete;
  • 15 definiscono sensibilmente diverso, in senso positivo, il proprio modo di porsi di fronte ai problemi.

Discussione e conclusioni

Possiamo definire sicuramente positiva l’esperienza maturata in questi anni con il Gruppo di Incontro per clienti affetti da diabete mellito di tipo 1.
Il compenso metabolico, espresso dal valore di HbA1c, è decisamente e significativamente migliorato.
A tale miglioramento non si è associato un aumento del numero di ipoglicemie, di autocontrolli glicemici, né di iniezioni giornaliere (i clienti erano già in terapia insulinica intensiva).
L’approccio del Gruppo di Incontro, così come da noi condotto, ha permesso di ottenere una buona qualità di vita, come si può rilevare dai risultati del questionario DQOL.
Ci preme sottolineare come il raggiungimento di un buon compenso metabolico non sia stato ottenuto attraverso un percorso finalizzato esclusivamente alla corretta informazione, ma piuttosto puntando all’acquisizione, da parte dei clienti, di una maggiore consapevolezza, cui si associa una diminuzione del disagio legato alle difficoltà nella digestione psichica della condizione diabetica.
Tale processo di “accettazione attiva” della malattia si ripercuote positivamente non solo sul versante puramente metabolico, ma permette una fruizione dei Servizi Sanitari più consapevole e corretta; inoltre migliora le relazioni del cliente con gli altri, soprattutto nell’ambito familiare e lavorativo, determinando una sensazione complessiva di maggiore serenità e convivenza pacifica con la malattia.
La tecnica del Gruppo di Incontro permette ai clienti la narrazione delle proprie esperienze ed anche dei propri errori in maniera serena, in quanto si evitano gli atteggiamenti giudicanti, che provocano uno stato di disagio; si consente ai partecipanti di uscire allo scoperto, senza perdere il senso di protezione che il Gruppo è in grado di trasmettere.
E’ evidente come un tale modello di approccio sia, da un lato, estremamente impegnativo per il medico diabetologo e per il personale infermieristico e, dall’altro, non facilmente attuabile per casistiche molto numerose, ma la nostra esperienza si può porre sicuramente come modello “limite” di una nuova metodologia di approccio al cliente diabetico, nella sua totalità di persona; modello utilizzabile, con gli opportuni accorgimenti, nella pratica quotidiana dei Servizi di Diabetologia.
I risultati a cui si è giunti consentono, inoltre, di convenire sul fatto che il Gruppo in oggetto risulta utile ai partecipanti per i seguenti aspetti psicologici:
– acquisizione di nozioni utili all’autogestione della propria condizione diabetica;
– acquisizione della consapevolezza dei membri di potersi sostenere l’un l’altro;
– capacità del Gruppo di alleviare il senso di isolamento;
– espressione, presa di coscienza ed elaborazione delle angosce, da parte del diabetico e dei suoi familiari, in merito al trattamento ed al decorso del diabete;
– aiuto al chiarimento dei problemi, a livello personale, familiare e sociale, che l’insorgenza e la cronicità del diabete provocano;
– integrazione delle soluzioni più appropriate per affrontare la convivenza con il diabete.
Tale tipo di intervento costituisce inoltre, anche per gli operatori sanitari, una nuova opportunità di crescita personale qualificante, che si ripercuote positivamente nei vari settori dell’attività diabetologica.
Riteniamo che una maggiore diffusione di esso possa fornire, nel tempo, risultati significativi, non solo in termini di qualità della cura, ma anche e soprattutto di qualità della vita dei diabetici.

Bibliografia:

Bassi, A. e Morsiani, M. (1978), Vivere col diabete, Cappelli, Bologna.

Bertola, A. e Cori, P. (1989), Il malato cronico, La Nuova Italia Scientifica, Roma.

Brown, R. (1989), Group Processes. Dynamics within and between Groups, Basil Blackwell, Oxford; trad. it. Psicologia sociale dei gruppi, Il Mulino, Bologna, 1990.

Corradin, H. (1996), Metodologia dell’educazione sanitaria per il diabetico: aspetti innovativi e rilievi critici, in Giornale Italiano di Diabetologia, n. 16, 171.

Corradin, H. e Erle, G. (1992), Educazione sanitaria con il diabetico, T.R. Editrice, Aosta.

Di Maria, F. e Lo Verso, G. (a cura di) (1995), La psicodinamica dei gruppi, Raffaello Cortina, Milano.

Erle, G. (1994), Qualità di vita del diabetico e ruolo dell’educazione sanitaria, in Aspetti attuali del Diabete Mellito – XI Giornate Diabetologiche Sarde. Vol. Atti, 33.

Erle, G. e Corradin, H. (s.d.), Il mio diabete (un programma di diapositive sonorizzate), Cipielle Studio Audiovisivo, Vicenza.

Gianformaggio, M. (1997), Non si vive di solo pancreas: Il primo anno di un giovane diabetico, Edizioni Tierre, Firenze.

Glasgow, R.E. e Osteen, V.L. (1992), Evaluating diabetes education. Are we measuring the most important outcomes?, in Diabetes Care, n. 15, 1423.

Heap, K. (1985), The Practice of Social Work with Groups, George Allen & Unwin, London; trad. it. La pratica del lavoro sociale con i gruppi, Astrolabio, Roma, 1986.

Mannucci, E., Mezzani, B., Conti, A., Rotella, C.M. (1994), Valutazione della qualità della vita nei pazienti adulti diabetici di tipo 1, in Il Diabete, n. 6, 223.

Mearns, D. e Thorne, B. (1988), Person-centred Counselling in Action, Sage, London.

Pagès, M. (1975), La vie affective des groupes, Dunod, Paris; trad. it. L’esperienza affettiva dei gruppi, Borla, Roma, 1991.

Primi, F. (1985), Problemi psicologici del diabetico e importanza delle associazioni, in Atti del I Convegno dell’A.F.D., Edito in proprio, Prato.

Rapetti, A. (1989), Crescere con il diabete: il vissuto di cronicità in età evolutiva, Bulzoni, Roma.

Rogers, C.R. (1970), Carl Rogers on Encounter Groups, Harper & Row, New York; trad. it. I gruppi di Incontro, Astrolabio, Roma, 1976.

Sequi, R. (1989), I gruppi di auto-aiuto tra diabetici, in Il Notiziario dell’A.F.D., Firenze, n. 15, anno VIII, gennaio.

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