Stefano Paolo Fratini – I.A.C.P. Istituto dell’Approccio Centrato sulla Persona
Adolfo Arcangeli – U.O. Diabetologia e Malattie Metaboliche A.S.L. 4 Toscana – Prato
Sandra Guizzotti – U.O. Diabetologia e Malattie Metaboliche A.S.L. 4 Toscana – Prato

L’articolo che segue è stato pubblicato nel numero di giugno 2011 sulla rivista “Da Persona a Persona”, edita da Alpesitalia di Roma.

Un particolare ringraziamento ai redattori della rivista Gianni Sulprizio ed Emanuela Tardioli dello IACP di Roma per l’autorizzazione alla pubblicazione. Inoltre un cortese ringraziamento a Roberto Cialtrini della casa editrice Alpesitalia per la benevola attenzione e sollecitudine a concedere la liberatoria alla pubblicazione.

Abstract

Questo articolo informa sull’esperienza di Gruppo di Incontro Centrato sulla Persona, sviluppata nell’ambito della U.O. di Diabetologia e Malattie Metaboliche della A.S.L. 4 Toscana di Prato e dell’Associazione Diabetici Area Pratese, a partire dal 1995 e tuttora in corso.

Vengono esposte le caratteristiche del Gruppo di Incontro attivato e vengono riportati i risultati conseguiti, relativi a una ricerca effettuata dopo quattro anni (1999) e alla ricerca di follow-up da poco conclusa (2010).

L’esperienza quadriennale ha evidenziato che in persone con diabete tipo 1, già in terapia insulinica intensiva e che avessero ricevuto una corretta informazione di base, l’approccio basato sul Gruppo di Incontro aveva permesso un deciso miglioramento del compenso metabolico, accompagnato a una buona qualità della vita e a una significativa soddisfazione e serenità, che sembravano prescindere dal raggiungimento di obiettivi ottimali relativi alle conoscenze specifiche sul diabete.

L’ulteriore esperienza ultradecennale ha evidenziato che in persone con diabete tipo 1, già in terapia insulinica intensiva e che abbiano ricevuto una corretta informazione di base, l’approccio basato sul Gruppo di Incontro ha manifestato un positivo effetto duraturo, che ha permesso il mantenimento di un buon compenso metabolico accompagnato ad una buona qualità della vita, fattori che sembrano continuare a prescindere dal raggiungimento di obiettivi di ottimalità in relazione alle conoscenze specifiche sul diabete.

Fra coloro che non hanno proseguito la partecipazione, sembra di poter individuare un sottogruppo di persone che hanno comunque acquisito un’autonomia tale da permettere loro di mantenere un buon compenso metabolico, coniugato a buone conoscenze del diabete e a buona qualità della vita; per la maggioranza dei non partecipanti, tuttavia, tali condizioni non paiono risultare soddisfatte.

Aspetti psicologici correlati al Diabete tipo 1

La gestione della condizione diabetica, in particolar modo del diabete di tipo 1, trattandosi di una patologia cronica significativamente limitante, non è riducibile esclusivamente all’aspetto fisiopatologico.

Tale componente deve essere integrata nella dimensione più ampia dell’immagine di sé percepita dalla persona con diabete ed in quella che le viene restituita dall’ambiente circostante.

E’ infatti ormai acquisito, in ambito medico, il concetto che un ottimale controllo metabolico è condizione indispensabile per prevenire le complicanze croniche della malattia, ma è altrettanto evidente come il suo raggiungimento comporti un notevole impegno da parte della persona (Anderson e Funnell, 2008; Arcangeli, 1997; Aronica, 1999; Cesa Bianchi e Bregani, 1997; Clark, 2005; Fratini, 1997; Gomez, 2000; Pollin, 1996; Rapetti, 1989; Vijan et al., 2005).

Il denominatore comune è rappresentato dal problema della convivenza pacifica con il diabete, intesa come raggiungimen­to di una dinamica situazione di nuovo equilibrio vitale, caratte­rizzato dall’autonomia nella gestione della condizione diabetica e dalla convivenza consapevole con la condizione stessa (Corradin, 1996; Di Berardino et al., 2008; Erle, 1994; Fratini, 2006; Gentili et al., 2005; Lacroix e Assal, 1998; Young-Hyman, 2004).

L’educazione sanitaria rappresenta uno strumento atto al raggiungimento di tale scopo, attraverso un accrescimento delle conoscenze legate al diabete ed una modificazione degli atteggiamenti e dei comportamenti da parte delle persone (Albano et al., 2008; Couch et al., 2008; Ellis et al., 2004; Maldonato et al., 2009; Miselli, 2000; Murphy et al., 2006; Trento e Porta, 1999).

Il DCCT (Diabetes Control and Complications Trial, studio clinico condotto tra il 1983 e il 1993 negli Stati Uniti dal National Institute of Diabetes and Digestive and Kidney Diseases – NIDDK; il più ampio e comprensivo studio sul diabete mai condotto), il quale ha riscontrato che la terapia intensiva nel diabete di tipo 1 previene le complicanze, ha attestato che la terapia psico-educativa è parte integrante della terapia intensiva (DCCT Research Group, 1993).

Il problema di tale convivenza consapevole e progressiva, tuttavia, per quanto possa essere agevolato nella sua graduale risoluzione dalla conoscenza e padronanza fornite dai metodi classici di educazione sanitaria, resta legato ad una profonda crisi personale ed implica un difficile ed oneroso processo emotivo di elaborazione interiore (Anderson e Funnell, 2000; English e Sills, 1998; Fratini, 2005; Gianformaggio, 1997; Glasgow e Osteen, 1992; Polonsky, 2002; Primi, 1985).

In questo senso, le angosce che si sollevano inevitabilmente, a partire dal momento della diagnosi e durante l’oneroso iter terapeutico, sia nel diabetico che nei suoi familiari, inducono una sofferenza interiore che non può essere trascurata e che inter­ferisce nella condizione già difficile di convivenza col diabete. Tale sofferenza psichica necessita di trovare spazi adegua­ti per esprimersi, essere accolta ed elaborata (Coles, 1996; Fratini, 2008; Gentili et al. 2007; Polonsky, 2000; Rubin e Peyrot, 2001; Sequi, 1989).

Il controllo metabolico rappresenta quindi un obiettivo da perseguire all’interno di un intervento più globale, volto a favorire i processi evolutivi e l’integrazione equilibrata della personalità della persona con diabete. Solo così, a lungo termine ed al di là dei limiti implicati dalla cronicità, il trattamento terapeutico sembra sortire risultati globalmente ed effettivamente positivi.

In questa prospettiva, si è ritenuto adeguato prima sperimentare e poi proseguire l’esperienza del Gruppo di Incontro di matrice rogersiana nell’ambito di questa patologia a decorso cronico, anche in considerazione del fatto che, nel corso del tempo, l’approccio gruppale ha trovato, anche secondo altre diverse impostazioni teoriche psicologiche, applicazione in diabetologia (Colzi, 1998; Mannucci et al., 2005; Norris et al., 2002; Trento et al., 2004; Trento et al., 2005).

Il Gruppo di Incontro Centrato sulla Persona

Il Gruppo di Incontro Centrato sulla Persona (Basic Encounter Group), nel prosieguo indicato per brevità anche solo come “Gruppo di Incontro”, rappresenta l’applicazione dell’“Approccio Centrato sulla Persona” ideato da Carl R. Rogers alle dinamiche di Gruppo (Bozarth, 1986, 1998; Pagès, 1975; Rogers, 1970, Scilligo, 1988; Wood, 1980, 1983; Yalom, 1995).

Tale modalità di espressione dell’Approccio Centrato sulla Persona manifesta un modo di fare Gruppo che tende ad esaltare la crescita autonoma della persona e lo sviluppo ed il miglioramento della comunicazione e dei rapporti interpersonali, attraverso un processo di esperienza diretta (Rogers, 1970; Mearns e Thorne, 1988).

Il ruolo dei “conduttori” nel Gruppo di Incontro Centrato sulla Persona

In un Gruppo di Incontro Centrato sulla Persona il ruolo dei “conduttori” non è quello di dirigere il Gruppo, ma di accompagnarlo; non è quello di spingerlo, ma di facilitarlo nel suo processo di comunicazione. In questo senso, essi vengono definiti più correttamente “facilitatori” o “agevolatori” del Gruppo.

Il loro ruolo è quello di favorire un clima psicologico di sicurezza, pienamente accettante e non giudicante, in cui si realizzino gradualmente la libertà di espressione e la riduzione degli atteggiamenti difensivi.

“… Il ruolo del facilitatore nel gruppo centrato sulla persona è quello di creare un’atmosfera nella quale i membri sono agevolati a scoprire il proprio potere e ad impadronirsi di interiori risorse risanatrici. Il facilitatore non si aspetta necessariamente che avverrà qualche processo particolare, né tenterà di accelerarne qualcuno. … Il facilitatore agisce secondo l’assunto che i partecipanti hanno il potere, in se stessi, di risolvere i propri problemi, di risanare se stessi, e di muoversi verso direzioni positive e costruttive. È significativo il fatto che Rogers non si ponga l’obiettivo di incoraggiare gli altri membri ad essere terapeutici, né partecipi all’auto-svelamento come una modalità per incoraggiare gli altri ad auto-rivelarsi. Piuttosto, egli è coerente con le premesse di base; cioè, considera i partecipanti come i migliori esperti delle loro proprie vite; e, essendo se stesso mentre impersona le qualità attitudinali, promuove la tendenza auto-attualizzante degli individui …” (Bozarth, 1986)

“Ai partecipanti si chiede di portare all’incontro di gruppo aspettative ragionevoli e sincera disponibilità. Per parte sua, al facilitatore o alla facilitatrice si chiede di portare anzitutto una vigile attenzione per ogni membro del gruppo (compreso se stesso) nonché per il gruppo nel suo insieme. … Il facilitatore dovrà quindi ascoltare con sensibilità e accuratezza ogni altra persona, nonché le emozioni che affiorano alla soglia della consapevolezza altrui. Egli dovrà ascoltare in modo tale da percepire il senso delle espressioni verbali e non verbali di ciascuno e le emozioni da queste suscitate nell’interessato e nell’insieme del gruppo.” (Wood, 1983)

In questo senso, il Gruppo non viene diretto dai conduttori, ma più compiutamente facilitato nello svolgersi del processo di discussione sulle tematiche che il Gruppo stesso si sceglie ed intende affrontare.

Il processo del Gruppo di Incontro Centrato sulla Persona

In questo clima psicologico tendono ad essere espresse molte reazioni emotive immediate di ogni membro verso gli altri e verso se stesso (Pagès, 1975).

Da questa mutua libertà di esprimere i veri sentimenti, positivi e negativi, si sviluppa un clima di fiducia reciproca.

Ogni membro del Gruppo può procedere verso una maggiore accettazione del suo essere totale – emotivo, intellettuale e fisico – così come esso è, compreso il suo potenziale.

Nelle persone incute meno timore la possibilità di un cambiamento di atteggiamenti e di comportamenti personali.

Con la riduzione dell’atteggiamento difensivo, le persone possono ascoltarsi a vicenda e possono imparare maggiormente l’una dall’altra.

Da questa maggiore libertà a da questa migliore comunicazione emergono nuove idee, nuovi concetti, nuove direzioni (Rogers, 1970; Bozarth, 1986, 1998; Wood, 1980, 1983).

Questi insegnamenti dell’esperienza di Gruppo tendono a riversarsi, temporaneamente od in forma più durevole, nei rapporti interpersonali con l’esterno (famiglia, ecc.).

I risultati delle ricerche effettuate appaiono incoraggianti (Marrone, 2001; Rogers, 1970). Sono stati osservati effetti positivi nella maggioranza dei partecipanti di quasi ogni Gruppo investigato.

L’autostima migliora, le tendenze ad una crescita autonoma e personale (ad un’autorealizzazione) si accentuano. Il Gruppo ha l’effetto di uno stimolo psicologico all’accrescimento.

Avvengono cambiamenti nella consapevolezza dei propri sentimenti e dei sentimenti degli altri, nella capacità di controllare i sentimenti, nella realizzazione di se stessi, negli atteggiamenti verso se stessi, come l’autostima e l’autoaccettazione, e verso gli altri, come la maggiore accettazione degli altri e la maggiore partecipazione, nonché nella capacità di lavorare in Gruppo per la soluzione di problemi.

Il Gruppo di Incontro Centrato sulla Persona e il Diabete tipo 1 (insulino-dipendente)

Nell’ambito dell’applicazione specifica del Gruppo di Incontro Centrato sulla Persona alla nostra esperienza, è sembrato sostenibile ritenere che questa modalità aggregativa potesse essere utile soprattutto a coloro che, già formati nel “sapere” e nel “saper fare”, volessero raggiungere migliori equilibri nel “saper essere” diabetici (Fratini, 1998, 2004; Primi, 1985; Sequi, 1989).

In particolare, ci è sembrato fondatamente ipotizzabile che il Gruppo di Incontro potesse costituire un valido strumento di intervento nell’ambito del trattamento globale della “condizione diabetica”.

Il Gruppo di Incontro, in sostanza, ci è sembrato ben indirizzarsi verso realtà in cui gli aspetti di disagio fossero riscontrabili nella difficoltà della digestione psichica della condizione diabetica, nel raggiun­gimento della cosiddetta “convivenza pacifica” con essa; in ultima analisi, nel “saper essere” diabetici.

In considerazione di tale tipo di utilità, il Gruppo di Incontro è apparso particolarmente da promuovere nei confronti di partecipanti già in possesso di solide basi di educazione sanitaria, in relazio­ne all’auto-controllo ed all’auto-gestione del diabete.

L’esperienza del Gruppo di Prato

Partendo da una pluriennale esperienza di educazione sanitaria con persone affette da diabete di tipo 1, abbiamo voluto intraprendere, a partire dal 1995, un diverso approccio, da affiancare ai tradizionali metodi di fare terapia psico-educativa, appunto mediante l’attivazione di un Gruppo di Incontro, secondo il modello dell’”Approccio Centrato sulla Persona” ideato da Carl R. Rogers.

Dopo quattro anni di tale esperienza, abbiamo riferito in una precedente ricerca (Arcangeli, Fratini, Begliomini, 1999), valutando i risultati in termine di compenso metabolico, conoscenze legate al diabete e qualità della vita, secondo canoni comunemente riconosciuti dalla comunità scientifica (Coffey et al., 2002; Corradin, 1996; Erle, 1994; Glasgow e Osteen, 1992; Mannucci et al., 1994; Nicolucci, 2006; Polonsky et al., 2003; Saaddine et al., 2006; Steed et al., 2003; Steinbrook, 2006; Trief et al., 2001; Trief et al. 2002; Weinger e Jacobson, 2001).

Casistica e metodi

Il Gruppo, formatosi per accesso libero e volontario, su invito della allora Sezione Autonoma di Diabetologia e Malattie Metaboliche dell’Azienda U.S.L. 4 Toscana di Prato (attualmente: Unità Operativa di Diabetologia e Malattie Metaboliche della A.S.L. 4 Toscana di Prato), era composto, al momento della sua attivazione nei primi mesi del 1995, da 26 persone con diabete di tipo 1, di età media di 24 anni, 9 maschi e 17 femmine, con durata della malattia di 12,57,8 anni.

Potevano (e possono tuttora) intervenire agli incontri anche i familiari o persone comunque legate ai componenti il Gruppo.

Nel corso dell’iniziativa, fino al 1999, si era registrata una presenza media di quindici/venti partecipanti per incontro, con punte massime di venticinque/trenta persone. Da vari anni le presenze medie sono diminuite, con una presenza media di otto/dieci partecipanti per incontro, con punte massime di quindici/venti persone.

Il Gruppo, come in precedenza descritto, non veniva (né viene tuttora) “diretto” dai facilitatori, bensì sceglieva (e sceglie) di dibattere su tematiche autonomamente decise, con piena libertà per i partecipanti di spaziare su argomenti diver­si, in base alle personali esigenze avvertite. In questo senso, non vi erano (né vi sono) argomenti di discussione preordinati.

Il Gruppo si riuniva ogni due settimane, escluso il mese di agosto, il martedì sera (attualmente, dal 2005, si riunisce il primo ed il terzo martedì del mese), dalle ore 21.00 alle ore 23.00 (sempre dal 2005, dalle 21.30 alle 23.30), presso i locali dell’Associazione Diabetici Area Pratese.

Partecipavano (e partecipano) agli incontri del Gruppo, nel ruolo di facilitatore uno psicologo psicoterapeuta e nel ruolo di co-facilitatori, medici diabetologi, infermieri professionali di diabetologia, diabetici-guida.

Il Gruppo si riuniva (e si riunisce tuttora) senza obbligo di frequenza, né di continuità di partecipazione ed è un “Gruppo aperto”, nel senso che, nel corso del tempo, si aggiungono nuovi partecipanti, mentre altri cessano la partecipazione, essendo comunque anch’essi sempre liberi di partecipare di nuovo, ogni qual volta lo desiderino.

La disposizione dei partecipanti era, ed è, seduti in cerchio.

Durante gli incontri chiunque poteva, e può, presentare proposte o manifestare una preoccupazione o un problema e su tali argomenti il Gruppo scambia osservazioni, suggerimenti e soluzioni.

Vi era, e vi è, un confronto aperto sulle più comuni esperienze quotidiane che la persona con diabete vive, senza atteggiamenti giudicanti da parte dei facilitatori.

Tutte le 26 persone erano, nel periodo 1995-1999, in terapia insulinica intensiva, effettuando non meno di 4 iniezioni di insulina al dì e da 2 a 6 controlli glicemici giornalieri (mediamente 3,7). Attualmente, alcuni di essi adottano la terapia insulinica mediante microinfusore, che rappresenta comunque una modalità di terapia insulinica intensiva.

Nei quattro anni di osservazione relativi alla prima ricerca (1995-1999), le persone hanno frequentato il Servizio di Diabetologia per i controlli medici con cadenza non precostituita.

Come indice di controllo metabolico fu preso il valore di HbA1c (emoglobina glicosilata) determinato alla fine del 1994 ed a febbraio 1999.

Sempre nel febbraio 1999, furono somministrati, a tutti i partecipanti con diabete, tre questionari:

  1. il questionario GISED (Gruppo Italiano di Studio sull’Educazione del Diabetico), versione 1994 (Erle et al., 1994), per la valutazione delle conoscenze, dei comportamenti e degli atteggiamenti dei diabetici di tipo 1;
  2. il questionario DQOL (Diabetes Quality of Life) sviluppato per il Diabetes Control and Complication Trial, nella sua versione italiana del 1996 (Labbrozzi et al., 1996);
  3. un questionario fenomenologico derivato da “Carl Rogers on Encounter Groups” ed allora appositamente da noi adattato alla condizione diabete.

Risultati 1999

Nel periodo esaminato con la prima ricerca (1995-1999), la partecipazione delle 26 persone con diabete agli incontri fu superiore al 70%.

Non furono osservate significative modificazioni nei comportamenti riguardo specificamente al diabete, in particolare nel numero di iniezioni giornaliere e di controlli glicemici.

Il valore medio di emoglobina glicosilata (HbA1c) era significativamente variato, passando da 8,60+-61617;0,39 al termine del 1994, a 7,31+-61617;0,23 nel febbraio 1999 (p<0,0001 ; t=4,236 con 25 gradi di libertà).

Il questionario GISED mostrò il permanere di lacune riguardo alle conoscenze (mediamente 5  risposte non esatte per ogni persona).

Il questionario DQOL fornì risposte omogenee con una media complessiva di 1,95:

DQOL (Diabetes Quality of Life) (range  1/ 5)

( 1: ottima qualità di vita   /   5: pessima qualità di vita)

Soddisfazione

Impatto

Preoccupazione generale

Preoccupazione legata al diabete

Totale

2,25

1,84

1,52

2,14

1,95

Tabella 1: risultati del questionario DQOL (versione italiana 1996), Gruppo 1999.
Punteggio medio per le singole categorie e media complessiva.

Il questionario fenomenologico fornì risultati che possono essere così riassunti:

  • 18 persone riferirono di rapportarsi in modo sensibilmente diverso con il diabete ed il cambiamento era stato positivo;
  • 4 persone definirono positivo il loro cambiamento, ma denunciavano ancora qualche residua difficoltà;
  • 14 persone manifestarono una significativa variazione in senso positivo del proprio rapporto con gli altri;
  • 25 persone definirono l’esperienza del “Gruppo di Incontro” … costruttiva nei risultati, un’esperienza profondamente significativa, positiva…;
  • 25 persone riferirono che l’esperienza del Gruppo aveva aumentato la consapevolezza dei sentimenti propri anche in relazione al diabete;
  • 15 definirono sensibilmente diverso in senso positivo il proprio modo di porsi di fronte ai problemi.

Conclusioni 1999

Potemmo definire molto positiva l’esperienza maturata nei primi quattro anni con il Gruppo di Incontro per persone con diabete di tipo 1.

Il compenso metabolico, espresso dal valore di HbA1c, era decisamente e significativamente migliorato.

A tale miglioramento non si era associato un aumento del numero di ipoglicemie, di autocontrolli glicemici, né di iniezioni giornaliere (le persone erano già in terapia insulinica intensiva).

L’approccio di Gruppo di Incontro si coniugava con una buona qualità di vita, come si poteva rilevare dai risultati del questionario DQOL, in analogia a quanto riscontrato con altre metodologie di intervento psico-educativo (Glasgow et al., 2001; Knight et al., 2005; Peyrot e Rubin, 2007).

Fu tuttavia importante rilevare come il raggiungimento di un buon compenso metabolico, analogo a quello del DCCT, non si fosse ottenuto attraverso un percorso psico-educativo finalizzato esclusivamente alla corretta informazione, ma piuttosto puntando al perseguimento, da parte dei partecipanti, di una maggiore auto-consapevolezza, cui si associava una diminuzione del disagio legato alle difficoltà nella digestione psichica della condizione diabetica.

Tale processo di “convivenza pacifica” con il diabete si era ripercosso positivamente non solo sul versante metabolico, ma aveva permesso una fruizione dei Servizi Sanitari più consapevole e corretta e aveva migliorato le relazioni della persona con gli altri, soprattutto nell’ambito familiare e lavorativo, determinando una sensazione complessiva di maggiore serenità e benessere.

L’approccio del Gruppo di Incontro aveva permesso alle persone il racconto delle proprie esperienze ed anche dei propri errori in maniera serena, in quanto si erano evitati gli atteggiamenti giudicanti che potevano provocare uno stato di disagio e si era consentito ai partecipanti di uscire allo scoperto, senza perdere il senso di protezione che il Gruppo era in grado di trasmettere.

Risultò, tuttavia, anche evidente come un tale modello di approccio fosse estremamente impegnativo per i medici diabetologi e per il personale infermieristico e assai difficilmente attuabile per casistiche numerose, ma la nostra esperienza si poteva porre sicuramente come modello “limite” di nuova metodologia di approccio al diabetico nella sua totalità di persona, utilizzabile, con le opportune modifiche, nella pratica quotidiana dei Servizi di Diabetologia.

I risultati a cui si era giunti consentirono, inoltre, di conve­nire sul fatto che il Gruppo in oggetto era risultato utile ai parteci­panti per i seguenti aspetti:

  • acquisizione di nozioni utili all’autogestione della pro­pria condizione diabetica;
  • acquisizione della consapevolezza dei membri di potersi sostenere l’un l’altro;
  • capacità del Gruppo di alleviare il senso di isolamento;
  • espressione, presa di coscienza ed elaborazione delle ango­sce, da parte della persona con diabete e dei suoi familiari, in merito al trattamento ed al decorso del diabete;
  • aiuto al chiarimento dei problemi, a livello personale, familiare e sociale, che l’insorgenza e la cronicità del diabete provocano;
  • integrazione delle soluzioni più appropriate per affrontare la convivenza con il diabete.

Tale approccio gruppale aveva costituito inoltre, anche per gli operatori sanitari impegnati nella co-facilitazione, una nuova opportunità di crescita personale qualificante, che si ripercuoteva positivamente nei vari settori della loro attività diabetologica.

Ritenemmo allora che una maggiore diffusione del Gruppo di Incontro potesse fornire, nel tempo, risultati significativi, non solo in termini di qualità della cura, ma anche e soprattutto di qualità della vita delle persone con diabete di tipo 1.

Follow-up 2009

Abbiamo ritenuto opportuno, dopo più di dieci anni di ulteriore esperienza di questo Gruppo, di effettuare un follow-up, al mero fine di monitorare l’andamento dell’esperienza stessa.

Delle 26 persone originariamente facenti parte della ricerca, è stato possibile ricontattarne solo 21, in quanto 5 di loro non risultano più seguite dalla Unità Operativa di Diabetologia e Malattie Metaboliche della A.S.L. 4 Toscana di Prato e non è stato possibile rintracciarle.

Delle 21 persone in oggetto, sei (4 uomini e 2 donne) hanno continuato a frequentare il Gruppo, dal 1999 al 2009, con frequenza superiore al 70 % (nel prosieguo, queste sei persone verranno definite anche come “Gruppo sì”), le altre quindici (5 uomini e 10 donne) con frequenza inferiore al 30 % (nel prosieguo, queste quindici persone verranno definite anche come “Gruppo no”).

Tutte le 21 persone risultano ancora, e lo sono state per tutto il decennio preso in considerazione, in terapia insulinica intensiva, effettuando non meno di 4 iniezioni di insulina al dì e da 2 a 6 controlli glicemici giornalieri. Attualmente, alcune di esse adottano la terapia insulinica mediante microinfusore, che rappresenta comunque una modalità di terapia insulinica intensiva.

Nei dieci anni di osservazione relativi alla ricerca, le persone con diabete hanno frequentato il Servizio di Diabetologia per i controlli medici con cadenza non precostituita.

Come indice di controllo metabolico, alla fine del 2009 è stato nuovamente preso il valore di HbA1c (emoglobina glicosilata), determinato come media ponderata tendenziale del decennio.

Sempre nel dicembre 2009, sono stati nuovamente somministrati a tutti i partecipanti i tre questionari della precedente ricerca:

  • il questionario GISED (Gruppo Italiano di Studio sull’Educazione del Diabetico), versione 1994 (Erle et al., 1994), per la valutazione delle conoscenze, dei comportamenti e degli atteggiamenti dei diabetici di tipo 1;
  • il questionario DQOL (Diabetes Quality of Life) sviluppato per il Diabetes Control and Complication Trial, nella sua versione italiana del 1996 (Labbrozzi et al., 1996);
  • il questionario fenomenologico derivato da “Carl Rogers on Encounter Groups” ed appositamente adattato alla condizione diabete nel 1999.

Risultati follow-up 2009 Gruppo sì

Non sono state osservate significative modificazioni nei comportamenti riguardo specificamente al diabete, in particolare nel numero di iniezioni giornaliere e di controlli glicemici.

Il valore medio di emoglobina glicosilata (HbA1c) è variato positivamente, passando da 7,18+-0,51 del febbraio 1999, a 7,13+-0,58 medio ponderato tendenziale del decennio (non significatività statistica).

Il questionario GISED ha mostrato il permanere di lacune riguardo alle conoscenze (mediamente 7 risposte non esatte per ogni persona).

Il questionario DQOL ha fornito risposte con una media complessiva di 1,82:

DQOL (Diabetes Quality of Life) (range  1/ 5)

( 1: ottima qualità di vita   /   5: pessima qualità di vita)

Soddisfazione

Impatto

Preoccupazione generale

Preoccupazione legata al diabete

Totale

1,88

1,75

1,36

1,54

1,82

Tabella 2: risultati del questionario DQOL (versione italiana 1996) Gruppo sì 2009.
Punteggio medio per le singole categorie e media complessiva.

In relazione a tutti i questionari somministrati, non si è rilevata significatività statistica rispetto alle variazioni 1999-2009.

Il questionario fenomenologico ha fornito risultati che possono essere così riassunti, con le parole prese dagli stessi partecipanti:

  • è un punto di riferimento”
  • avere risposte ‘vissute’ mi da più sicurezza”
  • mi ha fatto acquistare più sicurezza nei confronti degli altri”
  • sono più tranquilla a parlare del diabete senza vergogna o imbarazzo”
  • credo di vivere più tranquillamente e liberamente grazie a questo gruppo”
  • nella sua semplicità e naturalità, manifesta la propria forza nell’essere e nell’andare avanti”

Risultati follow-up 2009 Gruppo no

Non sono state osservate significative modificazioni nei comportamenti riguardo specificamente al diabete, in particolare nel numero di iniezioni giornaliere e di controlli glicemici.

Il valore medio di emoglobina glicosilata (HbA1c) è variato negativamente, passando da 7,68+-1,13 nel febbraio 1999, a 7,79+-1,02 medio ponderato tendenziale del decennio (non significatività statistica).

Il questionario GISED ha mostrato il permanere di lacune riguardo alle conoscenze (mediamente 8 risposte non esatte per ogni persona).

Il questionario DQOL ha fornito risposte con una media complessiva di 2,09:

DQOL (Diabetes Quality of Life) (range  1/ 5)

( 1: ottima qualità di vita   /   5: pessima qualità di vita)

Soddisfazione

Impatto

Preoccupazione generale

Preoccupazione legata al diabete

Totale

2,38

1,85

1,42

1,95

2,09

Tabella 3: risultati del questionario DQOL (versione italiana 1996) Gruppo no 2009.
Punteggio medio per le singole categorie e media complessiva.

In relazione a tutti i questionari somministrati, non si è rilevata significatività statistica rispetto alle variazioni 1999-2009.

Il questionario fenomenologico ha fornito risultati che possono essere così riassunti, con le parole prese dagli stessi partecipanti:

  • “mi ha fatto capire che non ero sola”

  • “non rappresentava una lezione, ma un’esperienza di vita”

  • “è stato indispensabile per affrontare prima il problema e accettarlo”

  • “ha determinato una notevole differenza passeggera e resta ancora qualche residuo quanto al cambiamento nel mio modo di rapportarmi con il diabete, in un modo positivo”

  • “per un certo tempo ha influenzato sensibilmente il mio rapporto con il diabete, in modo positivo, ma ormai questo cambiamento è completamente scomparso”

In relazione alla non significatività statistica dei risultati, al fine comunque di individuare più attendibili aspetti tendenziali seppure meramente intuitivi, abbiamo ritenuto opportuno aggregare i dati relativi alle quindici persone che non hanno proseguito nella partecipazione al Gruppo di Incontro, suddividendole in tre sottogruppi di cinque membri ciascuno, sulla base, di volta in volta, di uno dei parametri misurati dalla ricerca (HbA1c, DQOL, GISED, Questionario fenomenologico). Tali suddivisioni hanno dato luogo alle seguenti rilevazioni, che ugualmente non assumono significatività statistica:


I dati sopra esposti, nel loro complesso, sembrano suggerire tendenzialmente che fra coloro che non hanno proseguito la partecipazione al Gruppo di Incontro, un sottogruppo di persone pare avere comunque acquisito un’autonomia tale da permettere loro di mantenere ugualmente un buon controllo del diabete in termini di HbA1c, coniugato a buone conoscenze del diabete e buona qualità della vita; per la maggioranza dei non partecipanti, tuttavia, tali condizioni appaiono non risultare soddisfatte.

Conclusioni 2009

Possiamo ancora definire molto positiva l’esperienza maturata nell’ulteriore decennio con il Gruppo di Incontro per persone con diabete di tipo 1, per le sei persone che hanno proseguito costantemente nell’esperienza, nonostante la non significatività statistica delle variazioni 1999-2009.

Il compenso metabolico, espresso dal valore di HbA1c, non è peggiorato, anzi appare ulteriormente migliorato.

A tale miglioramento non si è associato un aumento del numero di ipoglicemie, di autocontrolli glicemici, né di iniezioni giornaliere (le persone erano già in terapia insulinica intensiva).

L’esperienza di Gruppo di Incontro continua a favorire, pare addirittura incrementandola, la convivenza pacifica con il diabete.

L’approccio di Gruppo di Incontro ha ancora favorito, di nuovo con un apparente ulteriore miglioramento, la qualità della vita.

Tutto ciò, comunque, nonostante il permanere dell’ancora non ottimale conoscenza di corrette informazioni sul diabete, che appare addirittura lievemente peggiorata.

Ripetendo, invece, quanto appena poco sopra detto, sembra che fra le quindici persone che non hanno proseguito la partecipazione al Gruppo di Incontro, solo un sottogruppo di esse pare avere comunque acquisito un’autonomia tale da permettere loro di mantenere ugualmente un buon compenso metabolico, assieme a buone conoscenze corrette sul diabete e a una buona qualità della vita; per la maggioranza dei non partecipanti, diversamente, tali condizioni appaiono non risultare soddisfatte, soprattutto in termini di soddisfazione di vita.

In estrema sintesi, dalla nostra esperienza quindicennale, appare che nel trattamento del diabete tipo 1, una volta superata l’iniziale fase di “impatto emotivo” e acquisite le conoscenze per una gestione “tecnica” della propria condizione, l’approccio attraverso il Gruppo di Incontro permetta di favorire la convivenza pacifica con il diabete, di garantire una buona qualità della  vita e di facilitare un buon compenso metabolico; in altri termini, di promuovere l’accettazione attiva del diabete.

Articolo tratto dalla Relazione “Gruppo d’Incontro rogersiano e Diabete tipo 1” presentata al 9th World Conference for Person-Centered and PCE 2010, Empowerment: Le politiche della relazione di aiuto. Roma, 30 giugno – 4 luglio 2010.

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Dott. Stefano Paolo Fratini, Via del Palco 105, 59100 Prato, 0574.33807 / 348.6540059, stefano.fratini@match.it

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