A cura di Giovanni Lancellotti
- A mio parere il fatto essenziale della vita è l’amore, o la sua assenza. Che la vita meriti oppure no di essere vissuta, secondo me dipende dal fatto che in essa ci sia o non ci sia amore. Se non avessi una sensazione d’amore, magari soltanto il ricordo di un’illusione d’amore, credo che sarei completamente scoraggiato.Ronald Laing I fatti della vita. Einaudi 1976.
- SOCRATE. Ma desiste una scienza falsa e una vera?
GORGIA. In nessun modo.
SOCRATE. Evidentemente, allora, non sono la stessa cosa.
GORGIA. E’ vero.
SOCRATE. Ma sia coloro che hanno appreso sia coloro che credono sono persuasi.
GORGIA. E’ così.
SOCRATE. Vuoi che stabiliamo due forme di persuasione, una che produce la credenza senza il sapere, l’altra la scienza?
GORGIA. Certo.
SOCRATE. Quale delle due forme di persuasione produce la retorica dei tribunali e delle altre assemblee a proposito di ciò che è giusto e ingiusto? Quella da cui proviene il credere senza il sapere o quella da cui proviene il sapere?
GORGIA. Evidentemente, Socrate, quella da cui proviene il credere.
SOCRATE. La retorica, allora, a quanto pare, è produttrice di persuasione che fa credere, ma non insegna il giusto e l’ingiusto.
GORGIA. Sì.
SOCRATE. E il retore non è capace di insegnare nei tribunali e nelle altre assemblee a proposito del giusto e dell’ingiusto, ma è soltanto capace di far credere, perché non potrebbe certo insegnare in poco tempo ad una folla così numerosa nozioni così rilevanti..
GORGIA. No, certo.PLATONE. Gorgia.
PLATONE. Dialoghi filosofici. Torino. Utet. 1970. - Come alberi senza vita
Vi hanno strappato le vostre radici
Il vento della vita
Ha ucciso i vostri fiori
Le serpi della terra
Vi hanno insegnato a carpire i fiori agli alberi vicini
Il buio della notte
Vi ha chiesto di costruire sepolcri per i suoi nemici
La foresta rigogliosa e vitale
Via ha insegnato a nascondervi
La vostra vita è forse già decisa.GIAN CARLO ZAGAGLIA. Dal fondo. Roma Savelli1978. - MARILYN MONROETi sei ammazzata.
Ma loro non l’hanno mica capito
Il perchè…
Han detto perché invecchiavi
Quei porci di cinquanta, 60 anni
A te che ne avevi trentasette.
Non si sono mai accorti
Di come li prendevi in giro
Quando con femminea decisione
Squassavi le solide natiche
Sotto i loro nasi
Di bestie oppiate.
Li hai inchiodati
All’altezza
Del tuo culo, Marilyn,
mentre col tuo
genio giocoso
devi
loro
non la donna
(che non potevano
Conoscere)
Ma la
Caricatura
Di essa,
fatta su misura
per l’occhio unidirezionale
dei loro cervelli di cavallo.
Più degli altri
Si isterizzò, al tuo suicidio,
l’omuncolo occhialuto
che ti aveva sposata
per partecipare al mondo intero
un accoppiamento OK:
lui lo spirito e tu la carne,
lui la mente e tu il corpo.
Ammazzandoti
Sconvolgevi
I suoi piani razionali,
scrollavi la sua impalcatura,
il grande sistema fondato
sull’uomo e sull’oca.
L’omuncolo tentò
Di salvarsi portando
Il suo isterismo a teatro
Col nome di “opera d’arte”.
Difese così bene
Il “sistema”
Che “tutti” gli batterono
Le mani e molti
Ne trassero coraggio
Per continuare con diligenza
Virile
Maschi esercizi
Di analisi logica
Sull’oggetto e il soggetto
Senza mettere in conto
Il predicato
D’una rivoluzione
Di donne.
Dobbiamo ora dire
A questi montoni allineati,
che non alzano la testa
neanche un poco al di sopra del tuo sedere,
perché ti sei ammazzata? No…
non l’hai detto tu, non lo diremo noi.
Tanto noi donne, nel furore non più silenzioso,
lo sappiamo tutte il perché,
Marilyn.MARIA TERESA d’ANTEA. Dal fondo. Roma. Savelli. 1978. - Per sett’anni non mi riuscì un passo
Quando fui dal gran medico, lui
M’ha chiesto: “Perché queste grucce?”
E io: “sono storpio”, gli ho detto.E lui: “non c’è da stupirsi.
Fa’ una prova, per cortesia!
Son questi arnesi a storpiarti.
Va’, cadi, striscia a quattro zampe”.Ridendo come un mostro
Le mie belle grucce mi prese
Sulla schiena me le spezzò,
ridendo le scagliò nel fuoco.Come sia, son guarito: cammino.
Una risata m’ha guarito.
Solo, a volte, se vedo stampelle,
per qualche ora cammino un po’ peggio.BERTOLT BRECHT. Poesie e canzoni. Torino. Einaudi. 1959
- Niente è terribile, affascinante, travolgente come il bisogno umano di aggredire, odiare e, spesso, uccidere: la violenza. Essa è un archetipo-limite, espressione di una spinta allo stesso tempo di vita e di morte. Le tendenze verso la saggezza, l’amore, l’ironia, la solidarietà esprimono “solo” aspetti della vita: da essi dipendono forme e qualità dell’esistenza. Dall’impulso distruttivo dipende la vita stessa.
In tal senso quello della violenza è il più importante fra gli studi psicologici. Non cadremo nell’ingenuità di dire che ci permetterà di capire ed evitare il ripetersi delle stragi che, a intermittenza, gli uomini commettono. Al contrario, una comprensione psicologica onesta ci obbliga a concludere che la violenza è insita nell’essere umano fin dalle origini ed è presente in tutte le aggregazioni da lui create: uno dei compiti principali di ogni società è proprio di porvi dei limiti.LUIGI ZOJA. Contro Ismene. Torino. Bollati Boringhieri. 2009. - In nuce. Il compito attuale dell’arte è di introdurre caos nell’ordine.
La produttività artistica è la facoltà dell’arbitrio nell’involontario.
Dal momento che le opere d’arte derivano, com’è noto, dai feticci, che c’è di male se gli artisti si comportano un po’ feticisticamente nei confronti dei loro prodotti?
La forma artistica che, fin dall’antichità, come esposizione dell’idea, eleva la massima pretesa di spiritualizzazione, il dramma, è allo stesso tempo – e nelle sue premesse più intime – incondizionatamente rivolta al pubblico.
Se Benjamin riteneva che nella pittura e nella scultura il muto linguaggio delle cose era tradotto in una lingua superiore, ma pur sempre simile ad esso, si potrebbe supporre, per contro, che la musica salvi il nome come puro suono, ma al prezzo della sua separazione dalle cose.THEODOR ADORNO. Minima Moralia. Torino. Einaudi. 1979. - Bambino morente.In una notte hai vissuto
Gli anni di tutta la vita:
e l’alba lenta te ne incorona
come di spine. Guardi
con savi occhi le ombre
intorno brancolanti, incompiute:
e sai la pena del grano riverso fra i tuoni
e i vuoti delle mandrie insidiate.
In mille sere
Ravviasti lunghe trecce grigie, ti oppresse
L’umidore dei giorni sfioriti;
ora s’apre
in un filo di sole la tua fronte, si spiana
nello sguardo di un uomo perfetto:
e compiangi tua madre.ANTONIA POZZI. Parole. Milano. Garzanti. 1989.