Giancarlo Ventimiglia occupa il FONDO del numero 15 con La dimensione comunicativa dell’interpretazione. In questo articolo, egli svolge dapprima una particolareggiata disamina del concetto di interpretazione nella storia del pensiero psicoanalitico, per giungere poi ad interrogarsi su cosa attualmente si debba intendere a riguardo. Ventimiglia propone un ampliamento rispetto alla concezione classica. Inizialmente, Freud pensava che lo psicoanalista potesse scoprire i nessi nascosti che rendono comprensibili i sintomi, i sogni e tutti gli altri elementi inconsci e che fosse suo compito di comunicare tali nessi al paziente sotto forma di informazioni verbali: questo avrebbe prodotto insight nel paziente e lo avrebbe guarito. Questo originario modello di metodo e terapia era decisamente illuministico e, secondo me (Alberto Lorenzini), esercitava il fascino di una potente semplificazione, quasi una magia in mano al guaritore della psiche, qualcosa che collocava lo psicoanalista nel solco degli ipnotisti, dei magnetizzatori e, prima ancora, degli esorcisti che lo avevano preceduto nel corso dei secoli. Le cose, in realtà, si sono dimostrate molto più complicate di così e la storia (ancora in corso) della psicoanalisi va nel senso di una complessificazione crescente e pone sfide sempre più appassionanti e inaspettate ai terapeuti ricercatori che si impegnano in una lotta epica con le tante forme del male interiore. Piuttosto che spiegare i nessi nascosti, sostiene Ventimiglia, si tratta, in generale, di promuove l’integrazione del senso di sé e, per fare questo, spesso l’analista ha il compito di “rappresentare un particolare aspetto o elemento del campo transferale totale Sé-Altro, posto alla base di un determinato fatto psichico”. Questo rappresentare si declina all’interno della relazione terapeutica in tanti diversi aspetti, soltanto uno dei quali è l’interpretazione verbale, in senso classico. Unica critica che rivolgo all’autore è che, nonostante l’enorme ampliamento del concetto di interpretazione, egli trasmette il senso che il processo analitico si svolga sempre piuttosto sotto il controllo consapevole dell’analista. L’attuale concezione della psicoanalisi relazionale ha abbandonato anche questa ultima illusione: secondo Mitchell l’analista non può altro che cadere dentro alle trappole che l’inconscio del paziente gli tende: la terapia consiste nell’imparare a conoscerle e a venirne fuori insieme.
Per GLI STRUMENTI DEL VEDERE, Alberto Lorenzini con I sogni di paralisi e lo stregamento del sé prende di nuovo lo spunto da Freud, come nel numero precedente, quando parlava delle Correzioni necessarie. Qui si tratta del più famoso fra i sogni tipici, che per Freud era quello di essere nudi in pubblico, ma esso viene considerato soprattutto per l’aspetto di paralisi del sognatore che, angosciosamente, resta bloccato nella situazione d’inferiorità in cui si viene a trovare e non reagisce come dovrebbe essere capace di fare. A partire dal senso di paralisi del sé, il discorso va a Kohut e a Kafka, per arrivare infine a contestare il concetto di masochismo come espressione di una pulsione di morte: “Quello che la psicoanalisi degli inizi ha spacciato per masochismo, generalmente non è altro che una forma di attaccamento tramite sofferenza”.
Parlavo prima dei “terapeuti ricercatori che si impegnano in una lotta epica con le tante forme del male interiore” ed Emanuela Busso rappresenta proprio bene la categoria. Nella Modificazione del setting come strumento di psicoterapia, Emanuela illustra il caso di una terapia veramente difficile, dove ogni regola veniva vissuta da parte del paziente maniacale e paranoide come un’imposizione insopportabile e una sottrazione di spazio vitale per il proprio sé. Accettare sedute deambulanti per le vie del quartiere intorno allo studio è stata la modificazione indispensabile del setting che ha trasformato un paziente non analizzabile in un caso difficile, tuttavia trattabile. Complimenti davvero!
Massimiliano Antonucci, affermato poeta pisano, ci ha regalato due poesie inedite per la sezione Magmatica, le voci di dentro. Credo di capire perché lo abbia fatto: in queste liriche erompe il grido potente della vita interiore ostacolata; sono come una coppa del magma ribollente che urge verso la superficie e che noi saggisti non possiamo utilizzare come tale. Nella scienza utilizziamo i pezzetti raffreddati di tale magma, perché soltanto quelli si lasciano ordinare nei concetti chiari e distinti del pensiero razionale. Tornare all’autentica scaturigine del bene e del male costituisce però l’indispensabile terapia della terapia stessa: voglio dire che i nostri strumenti concettuali devono essere temperati ogni tanto nel fuoco di quel magma sottostante, altrimenti perdono la capacità di tagliare.
Eleonora Aquilini pare si sia messa d’accordo anticipatamente con il poeta, perché nel suo saggio Mercurio e Vulcano contro Ananke ci presenta un punto di vista mitologico sui problemi della scuola. Credo che lo faccia per un senso d’intima ribellione contro una straordinaria difficoltà a intendersi: cosa impedisce alla scuola di diventare un luogo di avventura intellettuale e non di mortificante noia? Una maledizione incombe, a quanto pare, ed Eleonora ha dichiarato guerra.
Nella rubrica delle Recensioni, Alberto Lorenzini legge Amarsi, amando: per una psicoanalisi della relazione di coppia, di Michele Minolli e Romina Coin, fresco di stampa presso le edizioni Borla. Minolli è socio fondatore della SIPRe (Società Italiana di Psicoanalisi della Relazione), direttore della rivista Ricerca Psicoanalitica e direttore della Scuola di specializzazione in psicoterapia a indirizzo psicoanalitico relazionale. Coin è psicoanalista e direttrice del centro SIPRe di Milano. Si tratta di un libro piuttosto denso, un saggio di metodo oltre che, effettivamente, un piccolo trattato di terapia della coppia. Il metodo è quello dialettico hegeliano, individuato come il più adatto dagli autori per trattare dell’autocoscienza, caratteristica peculiare del sistema uomo e, di conseguenza, base indispensabile per un’analisi della coppia, concepita come sistema di sistemi. Amarsi, amando significa amare se stessi nell’atto di amare l’altro da sé, come emblema della sanità di coppia.
C’è una nuova rubrica che, nella spontaneità della continuità della rivista, speriamo possa avere un seguito: “Frammenti”, parole, scritti, ricordi che affiorano senza che esista un loro richiamo preciso, a volte riaffioranti da un colpo d’occhio che ci porta a periodi lontani, a volte nati nell’oggi e nella sua immediatezza. Questa volta sono frammenti scelti da Giovanni Lancellotti.
“Un vasto campo” riporta di un’esperienza insolita e tragica, ma tutt’altro che ingenua. L’artista Pippa Bacca, che attraversava l’Europa vestita da sposa, come segno di pace, e che voleva raggiungere Israele e la Palestina, è stata uccisa in Turchia, da un uomo a cui aveva chiesto un passaggio in auto. Dalla penna di Roberta Ronconi, dalle testimonianze di amici la considerazione di una vicenda singolare che si presta a molte interpretazioni.
Accanto a questo una lettera, di un semplice spettatore che, a Roma, ha assistito alla scena del controllo dei documenti di una famiglia romena, fatta scendere dall’autobus soltanto a motivo dell’aspetto fisico, della lingua diversa o da altro. I documenti erano in regola, se non lo fossero stati? Quale era il reato? Diversità? Ma non siamo tutti diversi e, proprio per questo, tutti uguali?
“Into the Wild” di Sean Penn è il film che viene ospitato in “Sceneggiature della psiche”.
Quale film poteva rappresentare meglio di questo la ricerca di sé, l’abbandono della maschera imposta, lo spoglio di ciò che è inessenziale? Vorremmo che alla conclusione di tutto ciò ci fosse la vita e non la morte. Ma forse i tempi non sono maturi. Vorremmo dare un piccolo contributo intellettuale, con questa rivista, per la ricerca di questa sofferta maturità.