Questo numero si è fatto attendere un po’ più a lungo del solito. In compenso, si presenta quasi come un numero doppio, considerando la quantità e la qualità dei contenuti: contiene infatti due articoli di fondo. Il primo articolo di fondo è un lavoro piuttosto divertente e sorprendente, nel quale Giuseppe D’Amore ha utilizzato le teorie psico-matematiche di Matte-Blanco per illuminare certi aspetti duplici e paradossali della mente umana. Matte-Blanco si inserisce di una tradizione lungamente perseguita, in verità. Freud per primo ha introdotto una fondamentale duplicità, parlando di conscio e inconscio. Jung ha stigmatizzato due forme del pensare: il pensare logico e razionale, rivolto alla conoscenza del mondo esterno e il pensare per immagini, rivolto al mondo interno, ed ha talmente accentuato gli aspetti di scissione e complementarità nel funzionamento normale della psiche, fino a spingersi ad affermare che la psiche nel suo insieme è totalmente organizzata secondo un complesso gioco degli opposti. Kohut ha isolato a sua volta la realtà del mondo interno, inaccessibile ai cinque sensi, ma accessibile secondo lui ad una sorta di sesto senso, l’empatia, attraverso la quale il mondo interno, a differenza del mondo esterno, risulta scomponibile in ologrammi ma non in parti. Il fascino di queste grandi simmetrie appartiene ormai al passato, perché oggi abbiamo già sperimentato l’impotenza di una psicologia basata sulle generalizzazioni, cioè sulle spiegazioni valide per tutti. Solo nell’incontro intimo e nel rischio personale si ha la possibilità di conoscere e di curare la psiche, come dice Bromberg meravigliosamente bene: «Quando l’analista finalmente mette fine ai suoi tentativi di “comprendere” il paziente e si permette di conoscerlo attraverso il campo intersoggettivo che condividono in quel momento, ha luogo un atto di riconoscimento (non di comprensione) in cui le parole e i pensieri simbolizzano l’esperienza, piuttosto che sostituirsi ad essa» (Philip M. Bromberg. Destare il sognatore. Raffaello Cortina Editore, p. 12).
Il secondo articolo di fondo, firmato da Alberto Lorenzini, si basa in larga misura sul materiale utilizzato per un modulo didattico tenuto alla scuola di specializzazione della SIPRe nello scorso novembre. Riprende e approfondisce un tema a lui caro e già precedentemente toccato sulle pagine virtuali (e virtuose) di precedenti numeri di Script riflessioni: l’analisi del pensiero di Jung e di Kohut, attraverso psicobiografie, problemi di personalità, somiglianze e differenze che caratterizzano i due maestri della psicologia del profondo, a partire dall’avere entrambi sviluppato una coerente visione della psiche e dei problemi della psicopatologia intorno al concetto centrale del Sé.
Per la rubrica dedicata alla scuola, Guido Banzatti, Maria Boerci e Roberta De Coppi ci presentano il resoconto di un importante lavoro sul campo: Riflessioni su un’esperienza di educazione sessuale agli adolescenti nelle scuole superiori. Il merito di questo scritto consiste soprattutto nella capacità di riportare tutta la freschezza e la creatività dei ragazzi che hanno partecipato all’inchiesta, per cui la lettura di queste pagine dà luogo ad un benefico bagno mentale a tutto vantaggio del lettore, che allontana molti luoghi comuni sugli adolescenti di oggi (in base ai quali, questi dovrebbero essere disincantati, apatici, viziati, ecc.). Per questo sorprendente valore intrinseco del materiale raccolto, gli autori ci hanno generosamente anticipato questo primo frutto delle loro fatiche, in attesa di un’ulteriore elaborazione scientifica della materia trattata.
Eleonora Aquilini ci regala questa volta la recensione di un libro, Domani niente scuola di Andrea Bajani, o meglio le proprie associazioni d’idee e le riflessioni relative alle proprie personali esperienze, cui è stata prepotentemente rimandata dalla lettura del libro.
Sulle pagine di Magmatica torna la misteriosa firma di Giacomo Marrocco: nel suo modo intenso e toccante, ci offre questa volta una riflessione sulle Relazioni umane e la presenza del mondo. Il “Mondo” non è per lui la “semplice” realtà naturale che ci circonda, ma qualcosa di più: la dimensione terza, o meglio “ennesima”, di ogni scambio o relazione umana, ciò che, esistendo a prescindere da chi riesce ad aver ragione e da chi comanda, è in grado di ridimensionare l’assurda pretesa onnipotente di conquistare il mondo, il seme della follia universale. Così inteso, il concetto di Mondo è sacro, o meglio mistico: è il mistero che attraverso di noi respira fornendo ossigeno e salvezza dell’anima.
In Sceneggiature della psiche Giovanni Lancellotti si occupa del film Vincere di Marco Bellocchio. Il film, da un punto di vista psicologico è interessante per la sua indagine sulla ribellione di una donna che rifiuta di essere ripudiata in nome di una fredda e violenta ragion di stato, di essere reclusa in manicomio, separata dal figlio, a sua volta estraniato dalla madre e, nell’ultima parte della vita, a sua volta fato impazzire attraverso la reclusione manicomiale.
Da un lato una ricerca radicale di verità che rasenta l’ossessione e il rifiuto di mascherare una realtà privata con un’immagine pubblica consenziente e conformista, da parte della protagonista, dall’altro, nell’aspetto più politico del film, l’ipnosi collettiva che assegna al carisma del capo, Benito Mussolini, e alla moltiplicazione delle sue immagini corporee, la via privilegiata per ottenere il consenso che, attraverso le folle, delega la responsabilità individuale, ed anche l’esercizio della ragione, ad “altro” per ottenere in cambio la falsa sicurezza che pare placare l’ansia del vivere.
L’altra metà del cielo, nuova rubrica, dedica l’analisi di due film, “Agorà” di Alejandro Amenàbar e “Vision” di Margarethe von Trotta, rispettivamente ad opera di Luca Tancredi Barone e Mariucia Ciotta, alla figure di due donne straordinarie e drammatiche, come non poteva essere altro una donna che si fosse affacciata ad assumere ruoli diversi e importanti rispetto a quelli che le assegnava la società patriarcale in epoche passate, ma anche in tempi a noi molto vicini, sebbene in altra forma.
Rogers Contemporaneo raccoglie in questa occasione tre scritti molto diversi tra loro, ma tutti identificati dalla matrice rogersiana, da quella impostazione che, dedicando non molta attenzione alle generalizzazioni teoriche (quel tanto che basta per costruire una ragion d’intelletto alle modalità dell’approccio terapeutico), concentra i suoi sforzi sulla relazione, sulla libertà dell’altro, sul fare che deriva dal rapporto e che non si fonda statualmente su un a priori.
Mariangela Bucci Bosco, in un’occasione culturale, si avvicina al pensiero di Rogers ricordando quella dimensione collettiva che fin dagli inizi è stata presente in Rogers e che varrebbe la pena di studiare più a fondo, per una sua applicazione nel vasto campo della psicologia sociale. L’applicazione cioè dei principi di empatia, accettazione e congruenza anche in contesti che portano con sé i segni della vita associata, delle leggi, delle relazioni tra gruppi diversi e della necessità di agire con ragione.
Maria Antonietta Piazzola ci parla dei limiti, di natura deontologica e inerenti all’essenza della relazione di counselling, che non possono che contenere sia l’azione del consulente sia le aspettative della persona che richieda questo servizio. Particolarmente significativa la sua analisi del confronto fra il senso del limite che deve necessariamente avere un setting di counselling e la percezione di precarietà, confusione e frammentarietà che presentano le persone richiedenti le risorse di questa nuova professione di aiuto.
Romina Romanico, con l’illustrazione della play therapy, ci porta nel mondo affascinante e “sconosciuto” dell’infanzia e della soglia dell’adolescenza, dei bisogni che nascono in questa fase della vita, delle difficoltà che sorgono attraverso il disequilibrio fra mondo interno infantile e mondo esterno adulto, della fatica di confrontarsi con una società che non è fatta a misura di bambino e delle ferite che possano essere le compagne dolorose di tutta una vita. Il gioco, quindi, come risorsa fondamentale per aiutare il movimento di crescita in una dimensione libera ed autentica, all’interno della quale ritrovarsi con padri nobili come Winnicott e Rogers.
Frammenti, con il sottotitolo “Echi da un paese lontano” è una sezione lasciata completamente all’analisi del lettore. Sono scritti raccolti come in uno “Zibaldone di pensieri” leopardiano, senza pretesa di organicità e struttura, come echi di sensazioni che ti colpiscono nel momento in cui la lettura ti ci fa imbattere.
Recensioni, riflessioni sulla scrittura ci porta indietro nel tempo, nell’analisi di Franco Lolli riferita al libro di Pholen Manfred “In analisi con Freud. I verbali delle sedute di Ernst Blum del 1922”. Bollati Boringhieri, 2009.
Il libro ci riporta agli albori della psicoterapia, o più precisamente della psicoanalisi, e ci fa percorrere alcuni mesi di sedute, viste attraverso i resoconti che ne fa il paziente Ernst Blum,pubblicati e commentati nell’opera di Manfred Pholen.
Un’occasione quasi unica di entrare nel vivo, pur con le inevitabili deformazioni che derivano dal resoconto di una realtà viva riportata in uno scritto, della realtà psicoanalitica nel suo farsi e applicata dal suo fondatore. Forse soltanto “Frammento di un’analisi” di Winnicott si può avvicinare a questo esempio.
Chissà quanti echi può suscitare l’opinione di un analizzato da Freud (esso stesso medico e studioso di psichiatria), opinione che si concretizza nel giudizio: “Freud, infatti, nell’attuazione della sua tecnica dialogica si comportava come un compagno di strada”. Non certo quindi come un Solone silenzioso che scrive e pensa, lontano dal mondo vivente della persona che si affida a lui, ma “compagno di strada”, appunto.