Siamo arrivati al 18mo numero, alla maggiore età, così di una rivista come del tempo di vita e della sanzione legale della più ampia responsabilità di una persona.
Come i diciotto anni sono il frutto di un percorso entusiasmante, unico e faticoso che porta dall’infanzia a quell’età che ci fa sostare per qualche attimo vicino alla “linea d’ombra” conrandiana, così la storia di questa rivista on-line ha attraversato momenti diversi, fatti di tempeste, di bonacce, di entusiasmi e di delusioni, ma, alla fin fine, di tratti di quella “disperata vitalità” pasoliniana che rimane quando i riferimenti più solidi sono venuti meno.
Il primo numero della rivista, che risale al marzo del 2001, consisteva in un nucleo originario di intenzioni che sarebbero in parte cresciute negli anni successivi. Del nucleo originario quasi nulla è rimasto attraverso gli anni. SCRIPT Centro Psicologia Umanistica, l’associazione da cui è nata la rivista, è profondamente cambiato in questi ultimi dieci anni. Mariangela Bucci Bosco e Giovanni Lancellotti sono i depositari delle vicende che hanno attraversato i quattordici anni dell’associazione. Tutti gli altri soci e componenti attuali si sono avvicinati a Script nel corso degli anni, e in questo periodo gli altri componenti che avevano dato vita all’associazione e alla rivista hanno fatto altre scelte.
Lo “stato delle cose”, come bilancio dell’attualità e visione del futuro, è caratterizzato da una rivista, di cui fino ad ora è uscito poco più di un numero all’anno, in media, e che ha diverse collaborazioni, alcune continue, altre occasionali, aperta a chi a vario titolo voglia condividere le sue esperienze in campo psicologico, psicoterapeutico, educativo e psicosociale.
Abbiamo il progetto ambizioso di far uscire tre numeri l’anno (febbraio, giugno, novembre), naturalmente tenendo ben presente la necessità di una verifica delle nostre forze, con un occhio attento alla rogersiana “amicizia dei fatti”, più forte e determinante delle nostre buone intenzioni.
Questo numero della rivista è particolarmente nutrito perché, anche con questa veste più ricca, abbiamo voluto significare l’importanza dei dieci anni di vita e dei diciotto numeri usciti.
Denni Romoli ci conduce all’interno del significato di integrazione in psicoterapia, cioè a quell’indirizzo teoretico e pratico che studia gli aspetti presenti in ogni dottrina, i fattori comuni e li organizza in maniera adeguata nella prassi terapeutica. Particolarmente interessante, oltre alla chiarezza espositiva, la ricca bibliografia che segue l’articolo.
Romina Domanico si avventura nel mondo doloroso dell’abuso sessuale nei confronti di minori e di come questo particolare aspetto condizioni la vita delle vittime e renda particolare il ruolo dei genitori adottanti che vivano questa realtà nel bambino adottato. Si tratta di operare la riparazione di una vita colpita dal tradimento degli adulti, con l’impegno di altri adulti molto diversi. La situazione si rivela molto complessa e l’articolo ha come scopo di narrare esperienze e proporre percorsi.
L’intervista alla parlamentare europea Luisa Morgantini è significativa di come si possa fare politica sostenuti da ideali di vita, di relazione, di realtà sociale legata al profondo rispetto del prossimo, sia nel suo aspetto individuale che nella sua collocazione sociale e politica. Luisa Morgantini si interessa particolarmente della realtà palestinese.
Sceneggiature della psiche è dedicato in parte ad un film che appartiene alla storia del cinema italiano “Io la conoscevo bene” di Antonio Pietrangeli, pellicola recentemente restaurata e letta da Giovanni Lancellotti. La scelta è determinata dal pensiero che anche il film, come il libro, non è soltanto un prodotto commerciale (anche se, naturalmente, lo è), ma uno strumento conoscitivo e culturale che deposita la memoria del tempo e degli uomini e delle donne che lo hanno costruito. In questo caso è un’analisi puntuale, attraverso il personaggio della protagonista, della società italiana degli anni ’60, del passaggio della realtà contadina ad una società industriale e di servizi, con tutti gli aspetti di distruzione-costruzione che caratterizzano le epoche di passaggio.
L’altra sezione della rubrica riguarda un montaggio ed una lettura, ad opera di Alberto Lorenzini, di sequenze tratte dalla trasmissione televisiva “In treatment”, per la regia di Roberto Garcia e prodotto dalla HBO americana. La serie televisiva riguarda la vita di uno psicoterapeuta e le varie sedute con diversi pazienti. Il montaggio che è fonte dell’interpretazione qui pubblicata si riferisce ad un paziente, Walter, un manager di sessantotto anni, licenziato dopo molti anni di lavoro, perché accusato di negligenza.
L’articolo di Massimo Iannucci nasce da una relazione presentata al convegno interno annuale 2010 della SIPRe (Società Italiana di Psicoanalisi della relazione). L’interesse particolare di questo scritto risiede nella possibilità di un interessante confronto fra la prospettiva della psicoanalisi relazione e quella della psicologia rogersiana che costituisce il contesto culturale prevalente della presente rivista SCRIPT. La psicoanalisi, com’è noto, oltre che essere una disciplina scientifica, costituisce un grande movimento di pensiero che ha fortemente influenzato tutta la cultura del ventesimo secolo. La sua iniziale adesione ai principi scientifici ottocenteschi, stabiliti da Freud, ha determinato per molto tempo una forma di ortodossia al suo interno, alla quale hanno reagito alcuni studiosi in anticipo sui tempi, come Rogers, Sullivan e Horney, collocandosi al di fuori del movimento, mentre altri, in tempi più recenti, si sono attivati per cambiarla dall’interno. La psicoanalisi relazionale costituisce oggi una vasta corrente non più minoritaria, rispetto alla quale, a mio parere, i movimenti “eretici” dei tempi passati potrebbero tranquillamente riprendere un dialogo, invece di mantenere le antiche barriere. In questo senso, alle tre correnti di cui parla Manu Bazzano in questo stesso numero (zen, psicologia esistenziale e psicologia rogersiana) si potrebbe tranquillamente aggiungere la psicoanalisi relazionale. La pretesa tipica della psicoanalisi di continuare a fare parte della scienza, pur occupandosi della soggettività umana, non ostacola più questo riavvicinamento, perché nel frattempo l’epistemologia della scienza è profondamente cambiata.
Anche le riflessioni di Maurizio Buoncristiani sulla concezione del Sé nella psicoanalisi interpersonale, da Sullivan in poi, ci guidano nella stessa direzione e ci fanno capire che lo scambio intersoggettivo non è soltanto indispensabile al costituirsi di una psiche individuale, ma continua e essere per tutta la vita l’essenza stessa della psiche.
Di carattere più empirico e di presa diretta sul fronte della psicologia applicata più che della psicoterapia è lo scritto di Giuseppe D’Amore. Esso riguarda un’esperienza molto particolare e rara di psicoterapia preventiva. Infatti, una caratteristica che accomuna la psicoanalisi relazione con la psicologia rogersiana è l’enorme ampliamento del campo di applicazione, dal momento che si individua il focus dell’azione psicoterapeutica nelle relazioni umane e non più nei cosiddetti “meccanismi psicologici intrapsichici”, per cui l’essere umano non è più concepito e colto come una mente isolata, ma inevitabilmente e sempre come un’entità in relazione. Giuseppe D’Amore ci parla perciò di un’esperienza di “post-adozione”, un gruppo d’ascolto e di studio delle problematiche psicologiche e relazionali che hanno luogo all’interno delle famiglie che si sono aperte all’adozione.
Nella rubrica dedicata a Rogers contemporaneo ospitiamo volentieri un articolo di Manu Bazzano, che si propone, come abbiamo già accennato, di collegare lo Zen con la psicoterapia esistenziale e il paradigma rogersiano. Particolarmente attuale è la sottolineatura dell’articolo riguardo alla totale assenza di tentazioni autoritarie insite nelle tre dimensioni filosofiche e psicologiche, contrariamente ad alcune tendenze attuali che si concentrano sulla direttività e sulla brevità della terapia. Sarebbe interessante valutare quanto di psicologico e quanto di conformista esista in indirizzi del genere.
Lo spazio dedicato alla scuola e all’educazione è riservato, in questo numero, all’attività patto d’aula, presentata a cura di Daniela Buonuomini, presidente dell’AISE di Pisa (Associazione Insegnanti Solidarietà Educativa). È un tentativo di analizzare una situazione di classe scolastica, di individuarne i bisogni, di concordare il tutto con gli insegnanti (che a loro volta hanno bisogni) e di valutare la ricaduta alla fine dell’intero percorso. Dati i tempi che corrono e alla povertà delle proposte presenti per lo sviluppo della scuola, si tratta di un piccolo apporto che ripercorre attese, speranze ed energie spese in vista di ben altri sviluppi rispetto a quelli attuali.
Le poesie (alcune delle tante) di Antonio Bandini (pseudonimo di un’identità che desidera rimanere nell’ombra) costituiscono la rubrica “Frammenti”. Bandini è una persona anziana che ha trovato nella poesia la possibilità di esprimere parte della sua vita, avvicinandosi con sguardo “ingenuo” ad una realtà apparentemente soltanto privata, fatta di metafore in tono minore, ma altrettanto evocative di una realtà più ampia e collettiva. Ci auguriamo che voglia ancora privilegiarci con i suoi scritti.
Recensioni e riflessioni sulla scrittura vede un intervento di Mariangela Bucci Bosco su in libro a due voci, Mariella D’Ippolito e Anna Nazzarena, sul concetto di guarigione in psicoterapia, “Il concetto di guarigione. La costante e la relatività in psicoterapia”, Edizioni Alpes. La problematica è quanto mai attuale, data la diversità che riveste questo concetto in psicoterapia, rispetto a cure più definibili come quelle mediche. La “restituzione all’integrità” negli interventi psicologici riveste multiformi aspetti, che hanno soprattutto nella soggettività di chi ricorre alla psicologia, la sua definizione fondamentale.
Per ultima, ma non ultima, la lettura del filosofo Paulo Barone dell’ultimo libro pubblicato di Jung, “Il libro rosso. Liber novus”, Edizione Bollati Boringhieri.
Libro interessantissimo per la summa di materiale magmatico junghiano emerso dall’ombra in cui lo stesso autore lo aveva relegato. Particolarmente interessante la chiusa del recensore
“Il Libro rosso potrà definirsi il Libro “nuovo” di Jung a patto che il suo stare all’origine dello sviluppo successivo e il suo essere postumo siano usate come due leve simultanee per mettere il suo pensiero alle strette sino a trasformarlo in susseguirsi di soglie, d’immagini-di-pensiero, in una linea interstiziale. Che è poi la fisionomia più affascinante del Libro rosso, la medesima con cui si presenta la evanescente scena contemporanea”.
Ringraziamo, come al solito, la redazione del quotidiano Il Manifesto per la disponibilità a riprodurre scritti già apparsi sul giornale. Autorizzazione a volte esplicita, a volte tacita.