La lettura del libro di Andrea Bajani Domani niente scuola, pubblicato da Einaudi, sembra non aggiungere nulla a quello che già sappiamo dei ragazzi che vengono a scuola. Sembra una cosa fatta per chi, come lo scrittore, non è a contatto con loro tutti i giorni, per chi non sa di loro. L’impressione è che il libro sia una corsa nel mondo degli adolescenti, una ricerca affannata per capire quanto più possibile di loro nello spazio e nel tempo di tre gite scolastiche. L’autore cerca di immergersi in una realtà che all’inizio lo rende frastornato e che lo invade. Le gite si confondono, i ragazzi di cui si parla non si sa a quale città appartengano. Ogni alunno è un esemplare, un prototipo? Man mano che procedono i racconti dei vari aspetti di questo mondo giovanile, subentra la calma, la riflessione, la comprensione. Alla fine prevale la tenerezza e l’affetto per tutti quegli studenti che ha conosciuto in modi non consueti. E questo è bello. Sono belle le considerazioni, a volte anche amare, che commentano i vari episodi raccontati. Fra le righe si delinea un mondo di adulti, che affianca quello dei ragazzi, che è auto-riferito, che li lascia soli. E’ un libro che fa pensare.

Noi insegnanti sappiamo che in gita e a scuola, gli alunni non fanno altro che mangiare cibi altamente calorici e insani, che bevono coca cola ed estathè fino a non poterne più, che appena possono si attaccano all’i-pod che condividono con altri, insieme al cerume delle proprie orecchie.

Una volta questa condivisione forzata è toccata anche a me. L’anno scorso portai a Padova quattro ragazzi di terza liceo tecnico alla premiazione del libro di divulgazione scientifica che studenti di parecchie scuole italiane avevano votato (premio Galileo). Nel viaggio di andata i ragazzi parlavano, ridevano, scherzavano e poi si riposavano ascoltando insieme la musica: uno stesso i-pod e due auricolari in due teste diverse. Nel viaggio di ritorno, visto che fra noi era nata una confidenza che non si crea nelle lezioni scolastiche, uno di loro pensò di dimostrarmela infilandomi in un orecchio una delle sue protesi acustiche musicali. E’ difficile raccontare l’imbarazzo, il turbinio di pensieri di natura igienica che mi vennero in mente. Eppure, anche grazie a questo piccola promiscuità, quella gita di tre giorni ha creato legami difficili da sciogliere. Eppure anche noi ragazzi che negli anni settanta frequentavano il liceo, ascoltavamo come loro a sfinimento le stesse canzoni. Se avessimo avuto l’i-pod certamente lo avremmo portato sempre con noi, approfittando di ogni occasione per ascoltare la musica. Quest’anno, quei ragazzi che accompagnai a Padova non sono più miei alunni, ma li frequento su facebook. Mi ci hanno tirata dentro, mio malgrado, e ora ci sono anch’io. La frequentazione di “faccia-libro” come preferisco chiamarlo io, in un disperato tentativo di autarchia linguistica, è, oltre che la morte dello studio per gli alunni, la fine delle attività pomeridiane per gli insegnanti. E’ comunque, tale frequentazione, altamente istruttiva per chi voglia conoscere, anche da altri punti di vista, gli adolescenti che ci troviamo tutti i giorni a scuola. Come racconta Bajani parlando di messanger, il mondo virtuale in cui vivono i ragazzi è totalizzante e spossa chi, come noi insegnanti, non ce la fa neanche a scaricare tutti i giorni la posta elettronica. Se ci si avventura in quel mondo, si crea una dipendenza dalla rete che lascia spazio a poco altro.

Le relazioni verbali su facebook sono veloci, irriflessive, basate su emozioni che si esprimono principalmente attraverso parole intercalate da un’infinità di puntini di sospensione e punti esclamativi. Le parole sono scritte con il linguaggio criptico della messaggeria. All’inizio per me è stata dura capire “frasi” tipo: “ohi prof. tt grazie per il mex, se ci ripensa facc un kiamo”. Tanto per il illuminare un po’ chi legge, la frase riportata sopra mi è stata inviata da Emanuele, in risposta al seguente messaggio: “Non posso portarvi in gita, comunque buon viaggio, divertitevi”.

Quando s’impara a decifrare, si è tentati di pensare che, oltre che impegnativo, lo sforzo di traduzione è anche inutile perché le frasi sono spesso senza senso. Però questo non è vero. Ci sono tante considerazioni che inducono a continuare a tradurre i messaggi. Una è che loro sono felici di averti come amica di facebook anche se sei una prof e si vede dalla faccia soddisfatta con cui ti dicono a scuola: “Prof, l’ho aggiunta ieri fra i miei amici di facebook!”. Questo significa che chiedono il mio consenso che, ovviamente, do, perché non potrei mai negare un’amicizia, anche solo virtuale con un mio alunno. A volte questa amicizia è un modo per gratificarli, per aumentare la loro autostima. C’è stato un episodio che me lo ha fatto capire. Il giorno in cui ho riportato l’ultimo compito di Chimica in terza mi sono accorta che a Thomas non avevo scritto sul compito “sei bravissimo” , come agli altri suoi colleghi che avevano preso un bel voto. Allora lui mi ha detto: “ Me lo scrive su facebook, invece che sul compito?” Io gli ho risposto che certamente lo avrei fatto e, arrivata a casa, ho scritto sulla sua bacheca che a chimica era stato bravissimo. Thomas è un ragazzo timido che ha voluto un attimo di gloria sulla piazza mediatica. E’ stato importante gratificarlo. A noi, quando eravamo ragazzi, non sarebbe piaciuto? Non ci piacerebbe anche adesso? Thomas studia quello che io gli insegno, è contento di essere bravo. Cosa c’è di diverso nei confronti nostri, i bravi ragazzi di una volta? E poi c’è Alex, un alunno terribile che ora frequenta la seconda. L’anno scorso è stato promosso nonostante avesse collezionato trentuno rapporti e due sospensioni. Quest’anno è un altro, tutto sommato studia. La mia materia gli piace particolarmente. Su facebook gioca con me a fare il cattivo, e mi invita quasi tutti i giorni ad aderire a gruppi incredibili come …quelli che si fanno le canne il sabato sera. Io ignoro tutte le sue richieste ingiuriose e accetto quelle passabili. Cerca di rimanere collegato con me, come può, rimanendo fedele al suo personaggio. L’ultima volta che mi sono dovuta assentare da scuola, gli ho scritto: “Alex, vado via tre giorni… mi raccomando…” e lui mi ha risposto: “Prof., lascia le pecore in bocca al lupo!” Io, non mi sono scomposta e gli ho lanciato un “Ok!”. Alex a scuola ci viene tutti i giorni. Anche domani ci sarà.

Eleonora Aquilini

Sono nata a Rieti e vivo a Pisa. Laureata in Chimica a Pisa nel 1986, insegno questa disciplina nella Scuola media Superiore. Viste le difficoltà connesse all’insegnamento/apprendimento delle discipline scientifiche mi sono dedicata a studi che ne ricercano le ragioni anche in ambito psico-pedagogico. Dal 1995 svolgo attività di ricerca didattica nel “Gruppo di ricerca e sperimentazione didattica in educazione scientifica del CIDI di Firenze” e dal 2001 sono Vicepresidente della Divisione di Didattica della Società Chimica Italiana. Molti miei scritti sono stati pubblicati in riviste di didattica.
E-mail: ele.aquilini@tin.it

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