Stefano Paolo Fratini

Nei paesi economicamente più sviluppati la causa primaria di mortalità è oggi costituita dalle malattie croniche e degenerative, come il diabete di tipo 2, derivanti soprattutto da fattori legati allo stile di vita (Di Clemente, Crosby, Kegler, 2002).
Queste malattie sono state soprannominate “malattie della civilizzazione”, proprio a causa delle forti componenti comportamentali che le caratterizzano (Hamburg, Elliot, Parron, 1982).
Spesso ci si ammala, anche di diabete, e si muore, anche a causa di complicanze conseguenti al diabete, perché si assumono modelli comportamentali che nuocciono alla salute e perché si insiste a non riconoscere con sufficiente chiarezza la connessione tra il comportamento che si sceglie di adottare e la propria salute.
È possibile affermare che il 50% circa delle morti premature è conseguenza di stili di vita malsani (Michael, 1982).
Ogni aspetto dell’esistenza dell’essere umano influisce sulla sua salute: il luogo in cui vive, ciò che mangia e beve, il luogo in cui lavora e l’attività lavorativa, le persone che frequenta ed il modo in cui si relaziona con esse, la quantità e qualità di esercizio fisico che svolge, il modo in cui gestisce lo stress, il modo in cui si rapporta alla realtà, il tipo di organizzazione della società in cui vive, il tipo di legislazione che vi è attuata e le componenti socio-culturali.
In particolare, tuttavia, ciò che si mangia e si beve e la quantità e qualità di esercizio fisico che si svolge, rappresentano gli aspetti che maggiormente influenzano la salute di ognuno.
I progressi compiuti nel campo della prevenzione e le scelte che ne conseguono, forniscono alle generazioni attuali un’opportunità concreta per comprendere che la propria salute, come anche quella della propria famiglia e di tutta la società, è in larga misura nella mani di ognuno. Le conoscenze attuali consentono, infatti, di vedere, comprendere ed adottare una varietà di comportamenti che possono influire positivamente sulla salute individuale e su quella della collettività.
Allorché si analizza quanto malattie, quali il diabete di tipo 2, dipendano direttamente dal comportamento umano, diventa evidente quanto esse siano potenzialmente controllabili e modificabili e quali opportunità siano disponibili (Pelletier, 1994).

Responsabilità personale e salute

La maggior parte delle persone non ritiene di essere la principale responsabile della propria salute.
Più o meno coscientemente, allontana da sé questa responsabilità, conferendola alla classe medica, alla quale si affida per guarire in caso di malattia.
Conseguenza di tale atteggiamento è che quasi tutti, dopo la guarigione, conservano le abitudini di vita precedenti, fino a quando non sopraggiunge una nuova malattia, per curare la quale si rivolgono nuovamente al medico, in cerca di una nuova terapia, in un circolo vizioso che può non avere fine.
In realtà, la maggior parte delle persone, sane o malate che siano, non ritiene di avere il controllo della propria salute.
Nei paesi industrializzati, molti esseri umani hanno assunto un atteggiamento di “impotenza acquisita” rispetto alla propria salute ed al proprio benessere e non se ne considerano responsabili in prima persona. Hanno, in un certo senso, consegnato inconsapevolmente il proprio potere ad altri: alle istituzioni sanitarie, ai leader politici, ai mass media.
È importante che la gente impari a riconoscere questa passività, che scaturisce dall’influenza della medicina moderna, che nel ventesimo secolo ha ottenuto grandi successi, dalla tradizionale riverenza riservata alla saggezza del guaritore, dalle credenze e dalla speranza nell’efficacia del trattamento ricevuto. Tutto ciò accresce il senso di soggezione del paziente nei confronti del professionista sanitario, sminuendo invece il proprio potere nella determinazione della propria salute.
È inoltre doveroso non sottovalutare il fascino della passività. A quasi tutti piace essere accuditi. Ed a molti aggrada poter cedere alcune incombenze della propria vita, in modo che vengano gestite da altri. Perché dunque non rivolgersi all’istituzione medica per farsi gestire la propria salute? È, in un certo senso, un’aspettativa legittima ed una fantasia estremamente allettante.
Infine, è necessario capire che gran parte del comportamento umano è orientato da aspettative di vantaggi a breve termine, che alla lunga comportano conseguenze negative. La tentazione di non fare niente, rispetto a temi come quello della salute, sarà sempre presente: eludendo e rimandando la riflessione sui comportamenti che influiscono in modo così diretto sulla propria vita, si opera una scelta che nell’immediato riduce il senso di ansia.
Queste forme di passività ed elusione – l’abdicazione alla responsabilità della propria salute, il condannarsi a subire passivamente gli effetti dei propri comportamenti, nell’illusione di poter ripristinare la salute ogniqualvolta essa venga a mancare – tendono a fare fallire le opportunità di prevenzione, ma a lungo andare tenderanno a diventare insostenibili, non solo per gli individui, ma anche per la società.

Abitudini benefiche e salute

Una significativa ricerca (The Alameda County Study: studio delle abitudini di 4.855 persone in California, per un periodo di oltre nove anni) ha individuato una consistente correlazione positiva tra salute e sette particolari abitudini (Berkman, Breslow, 1983):

  • dormire 7-8 ore al giorno;
  • non fumare;
  • fare regolarmente attività fisica;
  • fare colazione tutti i giorni (o quasi);
  • non mangiare tra i pasti (se non in casi eccezionali);
  • mantenere un peso adeguato (o quasi) in proporzione alla propria altezza;
  • non consumare alcolici, se non in quantità moderate.

Nelle persone che hanno seguito in modo coerente 5 o più di queste abitudini è stato riscontrato un tasso di invalidità e di mortalità dimezzato, rispetto a coloro che non le hanno seguite affatto; per coloro che hanno seguito soltanto qualcuna di queste abitudini, il rischio si è ridotto di un terzo.
Studi successivi hanno rivelato che le persone ultra 75enni che avevano osservato queste sane abitudini, godevano di una salute paragonabile a quella dei 35/44enni che ne avevano osservate meno di 3 (Ogden, 1996). Questi dati collegano incontrovertibilmente lo stile di vita alla salute.

Esercizio fisico

La maggior parte delle persone non fa sufficiente esercizio fisico quotidiano.
Alcun studi hanno dimostrato che molte caratteristiche fisiche dell’invecchiamento possono essere contrastate grazie all’esercizio fisico e che, per contro, gli aspetti fisiologici dell’invecchiamento possono essere indotti nei giovani se tenuti a letto per molte settimane.
Tra i benefici fisiologici e psicologici derivanti dall’esercizio fisico regolare si contano (DeVries, in Harris, Frankel, 1977):

  • maggiore forza e flessibilità;
  • regolazione e controllo del peso corporeo;
  • migliore idoneità cardiorespiratoria;
  • maggiore densità ossea;
  • minore livello di colesterolo;
  • minori livelli di pressione arteriosa diastolica;
  • regolarità del sonno;
  • maggiore irrorazione sanguigna cerebrale e maggiori capacità cognitive;
  • protezione da patologie cardiocoronariche e da alcuni tumori;
  • minore ansia e depressione;
  • minore stress;
  • maggiore autostima e sicurezza di sé;
  • autostima ed altri benefici sociali derivanti da migliore aspetto fisico.

Per ottenere benefici per la salute è sufficiente una quantità moderata di esercizio fisico. Alcune ricerche sostengono che è possibile raggiungere un effetto positivo sulla forma fisica e sulla salute camminando di buon passo ogni giorno per 30/60 minuti (Blair, Kohl, Paffenberger, Clark, Cooper, Gibbons, 1989). Altri studi considerano necessaria una quantità di esercizio pari a 20 minuti di passeggio per 3-5 giorni alla settimana; altri ancora raccomandano un’ora di esercizio al giorno (Paffenberger, Hyde, Wing, Hsiech, 1986).
Quasi la metà dei giovani fra i 12 ed i 21 anni non svolge regolarmente un’attività fisica impegnativa, oltre il 60% degli adulti non la svolge ad un livello moderato ed il 25% degli adulti non svolge alcuna attività.
L’inattività aumenta con l’età ed è più diffusa fra le donne e nelle fasce sociali di basso reddito ed istruzione (McClam, 2002).
L’inattività è anche collegata al vedere l’esercizio fisico come uno sforzo, alla mancanza di abitudine, alla bassa auto-motivazione, alla mancanza di sostegno da parte dei familiari, alla mancanza di tempo, alla scarsa disponibilità di impianti sportivi ed alla mancanza di convinzione nel valore della buona salute (Ogden, 1996).
La famiglia, fungendo da modello comportamentale, promuove l’esercizio fisico come attività da svolgere per tutta la vita. Infatti l’abitudine, appresa da bambini, a fare attività fisica deriva più dal fatto che in famiglia si praticasse esercizio fisico che dal ricevere sostegno od esortazione a svolgerlo. I figli di madri e padri che svolgono attività sportive hanno maggiori probabilità di essere atleticamente attivi in età adulta rispetto a quelli i cui genitori non ne svolgono alcuna (Pratt, in Badura, Kickbusch, 1991).
Tutti questi fattori suggeriscono la necessità di interventi finalizzati a sensibilizzare la popolazione, al fine di aumentare la percentuale di persone che praticano esercizio fisico.

Alimentazione

L’alimentazione è implicata in quattro delle Sette Abitudini Salutari (fare colazione tutti i giorni, o quasi; non mangiare tra i pasti, se non in casi eccezionali; mantenere un peso adeguato, o quasi, in proporzione alla propria altezza; non consumare alcolici, se non in quantità moderate); ciò manifesta in modo evidente la rilevanza di essa nell’ambito della salute.
L’alimentazione gioca un ruolo centrale nell’obesità, causa od aggravamento di molte patologie (Ogden, 1996), fra cui il diabete di tipo 2, nonché di gravi problemi psicologici ad essa associati, tra i quali la depressione e la bassa autostima; pertanto, una sana alimentazione è fondamentale per la salute, ma la sua diretta relazione con le malattie solitamente non è ben compresa dalla maggioranza delle persone.
Alcune indagini attribuiscono il 25% delle morti per tumore a fattori alimentari, quali l’apporto eccessivo di grassi e l’apporto insufficiente di fibre, vitamine e minerali; altre suggeriscono che sarebbe possibile prevenire il 30-50% dei tumori tramite opportune diete alimentari (Robertson, et al., op.cit.).
D’altra parte, non va taciuto che gli alimenti, in particolar modo gli zuccheri, detengono un valore sociale di “conforto”, che molto frequentemente svolge un ruolo compensatorio che va molto oltre la mera alimentazione.
In questo quadro, la maggior parte delle persone si alimenta e si disseta senza particolare cognizione sulla corretta alimentazione. Si ingerisce ciò che ci piace o che la tradizione tramanda, preferendo non dovere subire seccanti limitazioni.
In larga misura, nei paesi dell’opulenza, le usanze alimentari scaturiscono dai gusti e dalle abitudini familiari, dalla comodità e dalle relazioni sociali, piuttosto che dai bisogni di salute.
I cibi e gli alcolici vengono consumati per soddisfare bisogni emozionali, accrescere le esperienze sociali, placare l’infelicità e festeggiare i successi.
Altre barriere alle sane abitudini alimentari sono le pressioni della vita quotidiana; il tempo disponibile alle famiglie per pranzare è spesso limitato e ciò comporta scelte alimentari dettate dalla semplicità di preparazione dei pasti, anziché dal loro valore nutritivo.
È stato appurato che la maggior parte delle diete dimagranti che sortiscono effetti a breve termine, producono effetti contrari nel momento in cui vengono interrotte, talvolta con un recupero di peso superiore a quello iniziale.
Per chi ha effettivamente necessità di perdere peso, il modo efficace è quello di ingerire meno calorie di quante se ne consumano e di fare maggiore esercizio fisico, per aumentare il consumo di calorie.
Le preferenze e le abitudini alimentari di un’intera vita si sviluppano nell’ambiente familiare di origine. La cultura determina altresì le abitudini alimentari, compreso il livello di consumo calorico e lo stato nutrizionale.
I consigli nutrizionali sono pertanto un’enorme sfida, limitata in parte dalla nostra conoscenza incompleta del legame tra nutrizione e salute e dalla riluttanza delle persone ad adeguarvi i propri comportamenti alimentari.

Condizionamenti esterni e salute

La pubblicità, le politiche dei prezzi, la disposizione in vendita delle merci determinano il modo in cui la realtà è socialmente costruita ed influenzano, pertanto, il comportamento della persona quale consumatore. Il loro impatto sulla salute è poco visibile, ma molto insidioso.
Le politiche di marketing (la pubblicità, le politiche dei prezzi, la disposizione in vendita delle merci, ecc.), influenzano la desiderabilità di beni e servizi, fornendo un impulso culturale positivo ad aspetti della vita quali il mangiare, il fumare, il bere ed altri stili di vita che influiscono sulla salute.
Così come la realtà viene costruita e divulgata, l’opinione del consumatore viene determinata dalle immagini seducenti, eleganti e persuasive che le agenzie pubblicitarie producono.
Queste potenti creazioni pubblicitarie, accompagnate da messaggi che esaltano concetti come popolarità, raffinatezza, rilassamento, sensualità e successo, sono irradiate dai mezzi multimediali ai consumatori in tutto il mondo e spesso comportano effetti deleteri per la salute.
Il ruolo opinionista dei bambini è diventato un fattore importante per determinare i prodotti acquistati dalle famiglie.
Molta della pubblicità sui cibi è rivolta a bambini piccoli (dolciumi, merendine, cibi preconfezionati e precotti, fast food). Poiché i bambini sono inclini ancor più degli adulti a scelte impulsive di cibi non sani, l’impatto del bombardamento pubblicitario è un argomento che comporta gravi preoccupazioni per la salute (Robertson, Brunner, Sheiham, in Marmot, Wilkinson, 1999).
La pubblicità ha anche un impatto più pervasivo sul comportamento, in quanto conferisce, ai consumi promossi, attributi sociali positivi, in ciò incoraggiandoli.
I messaggi pubblicitari di prodotti che non tutelano la salute offuscano facilmente quelli che la tutelano. Il budget pubblicitario del 1996-97 nel Regno Unito per 6 bevande e 3 marche di cioccolato è risultato essere sessanta volte maggiore di quello dell’Autorità per l’Educazione Sanitaria (Health Education Authority) per la promozione di diete sane. Una spiacevole conseguenza è il semplice rifiuto di prodotti non reclamizzati, quali la frutta e la verdura.
I messaggi di marketing superano di gran lunga quelli di tutela della salute (Robertson, et al., op. cit.), inducendo una percentuale considerevole della popolazione ad adottare stili di vita determinati in larga misura dalle politiche di marketing.
Le abitudini, svariate e complesse, dei consumatori hanno effetti di grande ampiezza sugli stili di vita e quindi sulla salute. Fino a quando le abitudini dei consumatori non si accompagnino ad una maggiore consapevolezza del loro impatto sulla salute, milioni di persone continueranno ad essere “contagiate” da questi fattori, dei quali sono solo parzialmente consapevoli.
È essenziale, in questo senso, che messaggi di educazione sanitaria adeguati siano inseriti nei circuiti pubblicitari, in quanto potenti determinanti di processi decisionali che influiscono sulla salute.
Inoltre, è necessario che anche le altre leve delle politiche di marketing (in particolar modo, quelle dei prezzi e della disposizione delle merci in vendita) possano essere influenzate, in un’ottica di promozione di un’alimentazione più sana.

Come intervenire?

Al fine di promuovere un reale e duraturo cambiamento negli atteggiamenti delle persone, verso stili di vita più sani ed in particolare verso un’alimentazione più sana ed un’attività fisica più funzionale, piuttosto che limitarsi a fornire consigli ed ad imporre divieti è più opportuno facilitare l’empowerment(acquisizione di consapevolezza dei propri pieni poteri) e la responsabilizzazione delle persone (Prochaska, DiClemente, 1983), cioè fornire le condizioni che stimolino la crescita dell’individuo e che favoriscano il suo processo di approfondimento; in sostanza, si tratta di favorire un processo in cui:

  • si forniscano informazioni appropriate e scientificamente affidabili in modo chiaro e trasparente;
  • si sostenga la persona, facilitando il suo empowerment, affinchè essa compia scelte consapevoli e responsabili;
  • si aiuti la persona ad assumere maggiore controllo sulla propria vita, senza tuttavia imporle di osservare passivamente istruzioni o prescrizioni.

Ogni individuo è responsabile della propria vita e dei propri problemi, ma è anche dotato di molteplici risorse, per comprendere se stesso e per modificare il proprio concetto di sé, i propri atteggiamenti dominanti ed i comportamenti autoindotti. È alla persona, cui appartiene il problema, che deve essere attribuito il potere di indurre il cambiamento (Rogers, 1942, 1951, 1976,1980).
Lasciare alla persona la responsabilità ed il controllo riduce la probabilità che l’individuo assuma comportamenti passivi, ribelli o vittimistici ed innesca un processo nel quale egli possa maturare la consapevolezza crescente che i suoi problemi gli appartengono, è sua la responsabilità del problema, sono sue la capacità di rispondere preventivamente, la volontà di esaminare le soluzioni possibili e la disponibilità ad intraprendere azioni che lo aiutino a risolvere i propri problemi.
In estrema sintesi, essere liberi di scegliere (e pertanto essere più padroni della propria salute) significa essere informati ed essere responsabili di sé.

Stefano Paolo Fratini

E-mail: sfratini@guarducciballerini.com

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