Nella nostra cultura, la storia del corpo e del vissuto corporeo coincide con la storia del pensiero filosofico occidentale. Da Platone in poi, si sancisce la dicotomia corpo-anima, la visione di separazione tra psiche e soma; l’anima viene spogliata della sua materialità corporea affinché l’intelletto possa contemplare a pieno il mondo delle idee e nell’oblio del corpo lo spirito, epurato dagli appetiti sensuali, possa incontrare la Verità. Questa visione del corpo si dilata fino al Medioevo esprimendo la lunga ossessione tra ascesi e disprezzo del corpo, mortificazione della carne e condanna delle sue gioie (vedi: Vicende del corpo nel Medioevo, Vito Fumagalli, 1990).
Molto temo prima di Platone, il corpo come portatore della nuda corporeità è evocato nella Genesi 3.6-7 dove, dopo che il serpente ha indotto Eva a mangiare il frutto proibito, è scritto: “Allora si aprirono gli occhi di tutti e due, e si accorsero di essere nudi“; si accorsero del corpo e di ciò che esso rappresenta per la conoscenza del bene e del male ovvero della sessualità e della vacuità corporea pulsionale.
In epoca contemporanea, gli psicologi sostengono che noi percepiamo il corpo sotto tre forme: l’oggetto corpo, l’immagine corporea, il corpo carnale. Io credo che queste tre modalità percettive utilizzino tre linguaggi: il linguaggio oggettivo del corpo macchina, il linguaggio psicologico o vissuto corporeo e il linguaggio ontologico dell’essere in quanto corpo animato sensuale e istintuale.
Quindi il corpo non è regolato solo da strutture biologiche (corpo somatico), ma è in grado di incarnare l’ordine del linguaggio ovvero delle leggi di funzionamento psicologico complesse e per lo più simboliche (corpo simbolico).
Agli albori di queste idee di corpo c’è l’esperienza concreta dell’infanzia nella quale, tramite il corpo il bambino, mimando le sue diverse parti, circoscrive progressivamente la sua identità, accettando la separazione dagli oggetti primari. Prima di accedere alla simbolizzazione del linguaggio, che gli consente un massimo di spostamento da sé e dalle cose, egli fa esperienza del suo corpo come immagine elementare in cui si riducono le distanze tra significanti e significati.
Il corpo è la sede dei sensi, ordinati a ricevere e a produrre significati. Se il bambino si impadronisce del linguaggio e controlla le sue ansie, ciò accade perché egli mima le situazioni angoscianti e realizza la sua autonomia proprio attraverso una forma rudimentale di teatro gestuale nel quale il gesto e il suono della voce sono anche segni significanti.
La distanza che intercorre tra significante e significato, come sostiene Lacan, è tale che i significati, rischiano di essere rimossi e alienati per sempre a prezzo di una sofferenza inaudita. Ciò infatti significherebbe il sacrificio della dimensione inconscia e la rimozione dei significati originari.
Là dove ai significati originari è preclusa la possibilità di manifestarsi, essi vengono spostati.
Le pulsioni si manifestano sempre e soltanto attraverso le rappresentazioni primarie che si modulano in virtù di una sensibilità particolarmente pronunciata in un distretto corporeo piuttosto che in un altro e perciò diventato sede d’elezione di un protolinguaggio.
L’impossibilità di un significato latente di manifestarsi in qualche modo implica che, a fronte della negazione con cui la coscienza cerca di contrastare messaggi inaccettabili per il suo assetto, questo significato si sposti.
Il principio di rimozione, su cui si regge tanta parte della vita psichica, dà luogo a un cambiamento per cui il desiderio, attraverso il ritorno del rimosso è accolto perché trasformato dalla coscienza. Dunque in questo spostamento di codice, i significati si traducono in significanti, che nella storia dell’individuo sono fissati nella storia personale, collettiva, nei vissuti più profondi, attraverso un alfabeto corporeo destinato a formare le lettere essenziali del linguaggio.
Così una parte del corpo è destinata a significare le attese del desiderio, secondo quel lessico primitivo attraverso cui si è fissato e somatizzato il nostro primo linguaggio: lettere e fonemi, metonimie e metafore, inscritte, per sempre, nella tavoletta di cera della nostra sensibilità, nello scarto fissatosi originariamente tra il desiderio e le sue soddisfazioni.
Comparando questa genesi del linguaggio anche corporeo, secondo la visione lacaniana, e la ricerca di significato in ambito del teatro sperimentale contemporaneo, il corpo dell’attore diventa la scena del dramma stesso: la rappresentazione si attua prima di tutto nel corpo attraverso le associazioni libere in azione, agite dal corpo annullando l’intervallo di tempo fra insorgenza dell’impulso pulsionale e la reazione.
Il ritorno del rimosso è sperimentato direttamente sulla scena e accolto nell’improvvisazione come forma embrionale d’arte e quindi caricato di un significato che oltrepassa la scena primaria individuale divenendo da subito un protolinguaggio, il cui punto di partenza sono le pulsioni che immediatamente si traducono in cultura teatrale collettiva, fornendo all’attore il supporto a ogni ulteriore processo di individuazione e allo spettatore la possibile proiezione identificativa.
Nel teatro, come nel gioco corporeo, non c’è la percezione della separazione tra mente e corpo, tra reale e immaginario. Queste discipline non si sono mai proposte di separare la propria fondante corporeità, sono quindi isole felici dove nutrire il disorientamento tra una realtà quotidiana dove il corpo è nettamente “inferiore” al mondo delle idee e un luogo fuori dal quotidiano dove si rappresenta una vita non necessariamente logica.
La psicologia ci ha abituati all’idea di un corpo fisico e di una psiche, il teatro ci insegna l’organicità del corpo-mente, la prima si appella alla scienza, il secondo propone forme artistiche.
La psicanalisi divide il conscio dall’inconscio, il teatro affida all’azione la sintesi tra conosciuto e sconosciuto.
“Proponendosi come simbolo, il corpo abolisce la psicologia come storicamente s’è pensata in Occidente, la sradica dalle sue radici storiche, che sono poi quelle metafisiche e idealistiche, e così la costringe a pensarsi contro se stessa. Questo pensiero che è contro, perché pensa fino in fondo, fino alle radici, incontra la corporeità che, nel suo sorgere immotivato e nel suo ambivalente apparire, dice di essere questo, ma anche quello. L’ambivalenza così dischiusa non è ambiguità, ma è quell’apertura di senso a partire dalla quale anche la ragione può fissare l’opposizione dei suoi significati, e quindi quell’antitesi dei valori in cui si articola la sua logica disgiuntiva quando divide il vero dal falso, il bene dal male, il bello dal brutto, Dio dal mondo, lo spirito dalla materia, l’anima dal corpo.”
(U. Galimberti, Il corpo, pag. 13, Milano 1983 – Feltrinelli)
Il corpo è quindi un insieme di luoghi nei quali l’ordine si dimostra conflittuale, ma anche supporto per il senso di continuità del sé e il dinamismo del cambiamento nonché traduttore dell’appartenenza alla natura, alla specie, alla razza, che condensa la vita di relazione, l’emotività e gli affetti. Le emozioni nascono nel corpo e dal corpo, e guai a un animale se non le avesse, mentre i sentimenti dipendono dall’elaborazione percettiva mentale, sufficientemente dettagliata. I sentimenti richiedono quindi l’interrelazione tra emozioni del corpo e organizzazione delle funzioni celebrali della mente.
Nel teatro contemporaneo sperimentale e di ricerca il protagonista è il corpo, individuale e intersoggettivo in perenne relazione; il corpo che crea, narra, ride, e piange; il corpo regressivo che gioca a quattro zampe e interpreta la storia evolutiva dell’uomo. Poche volte è un corpo solo individuale, per lo più sembra in contatto con un corpo cosmico e collettivo. Un corpo libero di sperimentare la dissociazione, la molteplicità e il gioco delle parti; scopre di portare con se blocchi, contratture, corazze, vergogna, imbarazzo come pure si sorprende di lati inespressi, potenzialità inedite, angoli inaspettati di energia creativa. In tal senso, il corpo nel teatro è anche strumento, oggetto e soggetto di cura di tutta la persona, dei suoi lati mentali ed emotivi, della sfera razionale, affettiva e istintuale.
L’ordine del corpo è conflittuale in quanto sessualità e aggressività non sono regolati da un copione il cui codice è geneticamente iscritto. Il corpo umano è pulsionale, va verso l’oggetto della pulsione, e quindi il corpo psichico è essenzialmente relazionale, ingloba la vita affettiva. Solo nel corpo relazionale siamo intimamente noi stessi; nel corpo raccolto e nondimeno in relazione col mondo e con gli altri.
Nella teatroterapia l’uomo attore è al punto di giuntura di due ordini: del corpo rituale pre-verbale, pre-espressivo e del linguaggio teatrale post-espressivo che insieme formano il mosaico del corpo organico, psichico e simbolico-trascendente. Nel linguaggio espressivo, l’attore trova una certa unità nel corpo psichico, quello dove si compenetrano il corpo organico e il sistema simbolico.
La tecnica della teatroterapia abbraccia l’essere umano nella sua globalità di corpo-mente-spirito dove il corpo è l’incipit vincolato. Il setting della teatroterapia è infatti caratterizzato da una gran quantità di costrizioni al movimento corporeo: propone nella struttura pre-espressiva un riscaldamento segmentario e globale con movimenti più o meno codificati sulle grandi articolazioni dal collo, alle spalle, al petto, al bacino; camminate altamente costrette dal baricentro abbassato, lavoro su azioni e reazioni, movimenti a terra senza l’ausilio delle mani, piccoli esercizi di acrobatica, di coordinamento motorio, equilibri e disequilibri, movimenti opposti e complementari…vocalizzando, cantando, danzando…su stop o satz…al ralenti. Poi ci addentreremo nella struttura espressiva con l’ausilio di tecniche d’improvvisazione mentre la ripetizione e precisazioni delle scene avviene in una fase strutturale successiva della teatroterapia che definiamo post-espressiva, dove si riflette e si analizzano anche le dinamiche di gruppo, oltre a realizzare, da un punto di vista performativo-artistico, il collegamento e montaggio di sequenze drammaturgiche.
Il pre-espressivo vincolando di fatto la libera espressione corporea e vocale orienta una riorganizzazione che si realizza a partire da schemi motori e vocali extraquotidiani poco utilizzati.
Tutte costrizioni che sono il punto di partenza, l’incipit appunto, per attivare un processo di ricerca artistico transpersonale: il teatro vero e proprio come possibile rappresentazione transitiva del processo interpersonale-gruppale. Il teatro, “un’isola di libertà. Derisoria, perché è un granello di sabbia nel vortice della storia e non cambia il mondo. Sacra, perché cambia noi.” (E. Barba).
Inoltre, il linguaggio del corpo costituisce una modalità primaria, pre-verbale di comunicazione, dotata di un fortissimo potere coercitivo sull’altro (A. Carotenuto, Amare e tradire, p. 180) al punto che nell’esperienza interpersonale del lavoro in teatroterapia si sviluppa un “corpo interpersonale” inedito e complesso nel quale non vi è nessuna sommatoria delle azioni individuali bensì una co-determinazione, in un gioco di risonanze e rispecchiamenti.
Il “corpo transpersonale” o ciò che si manifesta come inconscio collettivo capace di armonizzare natura e cultura. Un corpo dilatato già terapeutico in se, capace di esprimersi come “corpo gruppale” sulla scena delle varie transizioni al teatro. Questo “corpo interpersonale” rappresenta il setting più rilevante della terapia a mediazione teatrale a condizione che il corpo, il mio corpo mi restituisca, prima o poi, il senso della mia presenza al di là del significato (mentale).
Il corpo psichico relazionale, alla fine del processo della teatroterapia, dopo aver incarnato il contesto comunicativo in cui si svolge l’azione extraquotidiana rituale e/o teatrale, necessita di far ritorno alla singolarità e riaffermare i confini che contengono ” l’io sono” quotidiano.
FORME DEL CORPO nella teatroterapia
CORPO OGGETTIVO | IMMAGINE CORPOREA | CORPO CARNALE |
Linguaggio del corpo-macchina | Linguaggio psicologico | Linguaggio ontologico |
Presente | Passato – Presente – Futuro | Passato |
Progressivo | Progressivo – Regressivo | Regressivo |
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fattore unificante: linguaggio espressivo performativo nei suoi setting e processi
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L’aspetto terapeutico consiste nella RIORGANIZZAZIONE psico-corporea a partire da:
- l’esperienza del teatro riferita a schemi corporei e vocali vincolati dal pre-espressivo;
- il linguaggio espressivo come sintesi della complessità corporea;
- il lavoro sull’obbiettivo nella costruzione drammaturgia post-espressiva dove si esibisce il corpo condensato dal processo evolutivo.