Come allievo di Carl Rogers e co-fondatore dell’Istituto italiano a lui dedicato, è per me un privilegio e un onore scrivere queste righe su un’opera che considero altamente rappresentativa della personalità e della vita di quest’uomo straordinario. E sono questi sentimenti che mi inducono la convinzione che, grazie a questo libro, per molti lettori l’opportunità di conoscere a fondo Carl Rogers e la sua opera potrà costituire una significativa esperienza.
Ritengo tuttavia utile riassumere in queste brevi note alcune considerazioni sul significato e le implicazioni che tale opera ha avuto, ed ha ancora oggi in un modo forse ancora più palese e attuale rispetto alle sue origini, nell’ambito della psicologia, della psicoterapia, del counselling e delle relazioni di aiuto in generale.

Carl Rogers venne descritto dal suo allievo e collega Richard Farson con il termine suggestivo di “rivoluzionario silenzioso”: Tale definizione coglie la sostanza e le qualità di Carl Rogers come persona e professionista. Ritengo che migliore espressione di questa non potesse essere coniata. Infatti, nei 17 anni in cui ho avuto con lui rapporti come maestro, collega e amico ho potuto constatare, al pari di tutte le altre persone che come me hanno avuto la fortuna di conoscerlo, quanto Carl fosse una persona che quotidianamente incarnava le proprie convinzioni e i propri valori.

Il Rogers che traspare dai suoi scritti, nei quali sottolinea l’importanza di una relazione improntata al rispetto profondo, alla comprensione empatica e alla congruenza, era la stessa persona che si rapportava autenticamente a noi colleghi e allievi come, allo stesso modo, alla segretaria, ai familiari, alla gente comune come al tecnico della lavatrice a cui apriva la sua porta di casa. Sempre. Raro esempio di coerenza tra ciò che si fa e ciò in cui si crede e che si afferma.

Queste qualità sarebbero da sole sufficienti per fare di Carl Rogers un grande maestro della psicoterapia e delle relazioni di aiuto, ma i suoi contributi non si sono limitati al suo “modo di essere”. Egli ha rivoluzionato, in modo serio, pacato e radicale, il campo della psicologia, innanzitutto facilitando l’autoconsapevolezza in tutta la professione, rendendoci capaci di interrogarci in modo profondo attraverso l’avvio di un processo di riflessione basilare sulla costruzione della realtà realizzata nella psicoterapia.
Cito come esempi alcune domande che costituiscono aspetti fondanti di questa riflessione. La psicoterapia, quando entra in contatto con le persone che ricorrono al suo aiuto, mediato dal filtro della propria teoria psicologica, può rischiare di costituire parte del problema, anziché essere promotore della sua soluzione? Il professionista provvede a centrarsi realmente sulla “persona” del cliente o piuttosto resta imprigionato all’interno dello schema di una tassonomia diagnostica potenzialmente deificante? Egli si focalizza sulla salute o sulla malattia?
In altre parole, indirizza il suo agire verso la cura di una patologia o piuttosto verso lo sviluppo di un empowrment personale del proprio cliente?
Sono queste delle domande che ancora oggi, a tanti anni di distanza da quando per la prima volta vennero formulate, si presentano essenziali e indispensabili, quando non doverose, per tutti coloro che si occupano della psicoterapia, ma anche in generale della promozione del cambiamento.

Questa prospettiva, alternativa rispetto a quella comunemente accettata, costituisce un’ipotesi, un’aspettativa di trasformazione di grande portata che si configura di fatto in una scelta di campo: il professionista decide, secondo la propria vocazione, i suoi valori e la sua personalità, se investire le proprie energie nel curare la malattia o nel promuovere salute e benessere. Questa scelta non è senza conseguenze: nel primo caso il cliente ottiene, come effetto, che l’utente rimanga legato a lui in un rapporto di dipendenza mentre, nel secondo, egli prefigura come scopo primario del suo agire la promozione della salute, che realizza attraverso l’autenticità della relazione, il rispetto profondo, una vera comprensione empatica indirizzata a promuovere nell’utente empowrment, indipendenza e autonomia.

Nel 1941, con la pubblicazione del suo terzo libro (tradotto in Italia per Astrolabio con il titolo Psicoterapia di consultazione) Rogers segnò una tappa storica nel campo della psicoterapia: egli fu il primo psicoterapeuta al mondo che ebbe il coraggio di esplicitare apertamente il suo modo di operare, pubblicando per intero l’interazione letterale dello psicoterapeuta con un suo cliente all’interno di una intera psicoterapia, al fine di usare questa documentazione per valicare scientificamente le proprie ipotesi. In linea con tali ipotesi egli avanzò per primo l’idea dell’esistenza di”fattori comuni” condivisi dai vari paradigmi psicologici in psicoterapia, postulando la presenza di condizioni “Necessarie e sufficienti” a promuovere il cambiamento, indipendentemente dalla teoria psicologica di riferimento.

Carl Rogers ci ha reso consapevoli dei pericoli insiti nella visione meccanicistica e riduzionistica della natura umana. Infatti Rogers parlava sempre di organismo in termini olistici/sistemici affermando l’inscindibilità di mente e corpo. Di qui l’implicazione che quando disegniamo e gestiamo i settino clinici ove si svolge una relazione di aiuto, stiamo in effetti creando una realtà socialmente costruita, ovvero creiamo delle narrative diverse, creiamo delle narrative diverse, creiamo – come disse Carl Menninger – delle profezie autorealizzanti diverse secondo l’approccio a cui apparteniamo.

Ogni approccio o paradigma ha alla sua base una visione della natura umana che è fondata in modo esplicito o implicito su dei valori che a loro volta determinano le politiche relazionali. In una relazione di aiuto basata sulla visione che Rogers ha della natura umana ogni persona è vista come organismo degno di fiducia per le sue innate capacità di autocomprensione e di autoregolazione. In linea con tale visione, è importante sottolineare come Rogers, rifiutando di vedere i propri utenti come pazienti che passivamente ricevono diagnosi e cura, adotti il termine di cliente che comprende implicitamente il concetto di individuo come agenzia attiva.

L’opera di Carl Rogers conferma che quello che conta in una relazione di aiuto è la qualità della stessa: questo dato appare confermato sino ad oggi dalle ricerche sull’efficacia della psicoterapia di ogni approccio. Rogers ha infatti dimostrato scientificamente che mettere la persona al centro della relazione psicoterapeutica e valorizzare lo sviluppo del potenziale umano non è solo applicare buon senso e buon cuore; è anche e soprattutto fare buona scienza. Le ricerche ci mostrano che, mettere la persona al centro della relazione dà migliori risultati clinici e in particolare l’umanizzazione dei trattamenti (non solo in psicoterapia, ma anche in medicina, e in tutte le relazioni di aiuto) produce migliori risultati, maggiori livelli di “compliance”, minore conflittualità, minore stress e sofferenza.

Il maggior frutto che io stesso ho tratto dall’insegnamento di Carl, per il quale provo profonda gratitudine, è di avere appreso che, per essere veramente capace di entrare in una relazione, in una dimensione di profondo rispetto, ascolto empatico e congruenza, con la “persona” dei miei clienti, ho prima bisogno di divenire capace di essere in tal modo con me stesso pochè, anche se animato da buone intenzioni, non posso dare ad altri ciò che non ho.

Di Alberto Zucconi

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