L’autore, mio amico da sempre, direi quasi mio doppio (stessa città d’origine, stesso liceo, stessa scuola universitaria di S. Anna, stesso segno zodiacale – solo un giorno di distanza! – , stessa professione, stesso percorso intellettuale all’interno della professione…), mi ha profondamente sorpreso (e momentaneamente battuto) con questo libro incredibile, sintesi e punto d’arrivo di una ricerca decennale, incentrata sulla sensazione di esistere.
“Il narcisismo”, dice Filippini, “si occupa del rapporto con se stessi: il rapporto più difficile, spesso più drammatico – e molte volte più superficiale che ci sia. Se esso, insieme alle pretese di perfezione con cui ci opprimiamo, si fa più realistico e più onesto, allora ci rivolgiamo con più umanità ai nostri bisogni reali e ci riconciliamo con la verità del nostro essere. L’amore di sé è poter diventare ciò che si è.” [1]
La particolarità del libro è quella di riuscire a sbrogliare una matassa molto ingarbugliata, rendendo addirittura semplice e immediata la comprensione di concetti psicoanalitici solitamente considerati molto difficili, per non dire oscuri. Come riesce a compiere questo miracolo? Con un atteggiamento assolutamente anti-dogmatico che gli consente di attingere da prospettive e contributi diversi, mirando ogni volta all’essenziale, all’esperienza vissuta, ricorrendo a materiali attinti direttamente in prima persona (Filippini non lesina gli esempi autobiografici) o grazie alla sterminata casistica clinica di cui dispone. Oltre a ciò, egli si avvale di un atteggiamento mentale orientato nel senso della dialettica e della complessità. In nessun’altra scienza come nella psicologia del profondo è necessaria questa forma di apertura mentale che è il contrario del moralismo e del pregiudizio, così come della presunzione di poter separare definitivamente gli opposti: verità ed errore, amore ed odio, apertura e chiusura all’altro ecc. “Non è possibile amare con continuità, provare amicizia per lungo tempo se non si è sufficientemente aggressivi, cioè distaccati. Cioè capaci di consistere in se stessi. Una quota d’odio – che fa risaltare distanze e differenze e le mantiene – è base e fondamento della capacità d’amare […] e vediamo come il formarsi di un’aggressività […] sia la condizione d’esistenza dell’empatia, una delle più dolci e balsamiche possibilità del nostro stare intimamente insieme agli altri […] Per cogliere lo spettacolo segreto, perturbante e affascinante delle polarità che ci costituiscono mentre sfumano e si svolgono ricorsivamente nel loro opposto, occorre guardare e ascoltare dalla prospettiva delle sensazioni di esistere, prima che esse si siano solidificate e formate nelle forme psichiche che abitualmente riconosciamo come pensieri e sentimenti già dati in noi.”[2]
Per fare qualche esempio della capacità di rendere facili le cose difficili, potrei citare il modo elegante e semplice in cui Filippini definisce i due concetti di Io ideale e Ideale dell’io, cogliendoli nella loro complementarità e implicazione reciproca: “Esiste dunque un movimento narcisistico originario, per cui un bambino rinuncia in gran parte alla sensazione della propria perfezione, ad essere un ideale per se stesso, e ripone questa visione di perfezione ideale in chi si occupa di lui. Si formano in tal modo due tensioni narcisistiche (ideali): l’Io ideale, che mantiene una parte dell’idealizzazione su se stesso, e l’Ideale dell’Io, cioè la perfezione e l’ideale percepiti nei genitori.”[3] O il modo in cui descrive l’essenza stessa dell’investimento narcisistico: “L’idealizzazione narcisistica orienta l’attenzione, rende vivo, palpitante il luogo del valore, carica di sempre nuove energie la tensione interna, la concentra, come la lente fa con i raggi del sole.”[4] O la spiegazione della coazione a ripetere nell’ottica dei bisogni narcisistici (cioè dei bisogni del Sé): “Probabilmente, Freud attribuì una valenza aggressiva connessa ad una pulsione di morte a fenomeni come la coazione a ripetere e la reazione terapeutica negativa, in quanto li osservò da un punto di vista esterno al sistema psichico in cui essi avvenivano […] Ma, osservati con empatia oppure vissuti da un punto di vista interno al soggetto che li sperimenta, questi fenomeni esprimono un’attività psichica che resiste su sensazioni del proprio esistere e sul modo in cui sono organizzate, perché su di esseinsiste, perché grazie ad esse esiste.” [5]
Ma la parte più bella del libro ed unica, per quanto io ne sappia, è quella dedicata alla relazione narcisistica, alle emozioni e agli affetti del narcisismo. Qui l’autore è riuscito ad afferrare e ad analizzare una materia sfuggente, per quanto disturbante e pervasiva: l’elemento stesso del disturbo patito e generato intorno a sé dalla persona narcisisticamente ferita, che tanta parte riveste nella sofferenza psicologica dell’umanità. Da questa parte del libro ho tratto il breve capitolo pubblicato in questo stesso numero di Script con il titolo Aspetti della relazione perversa narcisistica.
[1] Risvolto di copertina.
[2] pp. 99-100.
[3] p. 32.
[4] p. 34.
[5] p. 57.
ALBERTO LORENZINI.
Medico, psicoterapeuta, bolognese di nascita. Formatosi inizialmente alla psicologia analitica junghiana, si è successivamente interessato alle relazioni oggettuali e alla psicologia del Sé di Kohut. Attualmente si riconosce nel movimento della Psicoanalisi Relazionale. Ha pubblicato diversi articoli su riviste specializzate e due libri: La psicologia del cielo e Lo Zen e l’arte dell’interpretazione dei sogni, entrambi presso le Edizioni Mediterranee. E’ membro della SIPRe (Società Italiana Psicoanalisi Relazionale). Esercita a Pisa continuativamente, da trent’anni, la professione privata di psicoterapeuta.
E-mail: alberto.lorenzini(at)gmail.com