Inizialmente l’altro può essere attratto dall’immagine scintillante della grandiosità narcisistica. Un’immagine che produce immagini, che introduce ad immagini, che seduce per immagini.
Talvolta, come nei grandi seduttori, la grandiosità fa balenare un mondo diverso, in cui finalmente l’importanza del soggetto sedotto sarà riconosciuta e affermata. “Io cambierò la tua sorte!” canta Don Giovanni in un’indimenticabile aria di Mozart alla ragazza, e questa risponde – è il caso di dirlo – per le rime: “Presto, non sono più forte!” E lei ora ad avere bisogno di Don Giovanni, e il bisogno si è fatto urgente. Altre lusinghe possono venire dalla modalità speculare dell’idealizzazione: “Io sono come te”, “Tu sei come me” canta l’antica, l’eterna lusinga delle Sirene che invitano ad un abbraccio che è tutto con il tutto. È uno specchio che viene costruito davanti, in cui quella persona può finalmente vedersi grande, bella, potente, scintillante come colui/colei che ha davanti.
Altre volte quel modo di fare sicuro, deciso, di chi non ha né ammette ripensamenti può abbagliare nature semplici, oppure nature complicate sempre in cerca di certezze e di rifugio dai dubbi. Questo atteggiamento del narcisista può infatti essere confuso – e quasi sempre lo è – con una sicurezza che trasuda da ogni suo gesto, da ogni suo sguardo e parola. La sensazione di aver finalmente trovato qualcuno di cui potersi fidare può comparire come una rivelazione, come una salvezza. In realtà, indagando più in profondità, si tratta in molte situazioni della sensazione di aver finalmente trovato qualcuno cui potersi affidare vivendo una proiezione di narcisistica perfezione.
Il più delle volte la vittima di queste relazioni è dunque a sua volta più o meno segretamente complice. Per dirlo con le parole di Nietzsche: “Esperienze terribili ci fanno riflettere se non sia per caso terribile colui che le ha vissute” (Nietzsche F., 1886, p. 96, n. 89).
Chi viene sedotto narcisisticamente possiede infatti una sua tensione narcisistica alla grandiosità, all’ideale, al tutto, una sua difficoltà a percepire i propri limiti e i propri desideri – è anch’egli alla ricerca di uno specchio o di essere a sua volta uno specchio, il suo narcisismo è complice nel costruire un mondo di specchi.
“Mirrors and copulations are the same, because they both multiplicate the number of human beings”. È una frase che mi colpì in un libro letto anni fa, che cito a memoria e di cui non ricordo l’autore (Ionesco? Borges?), che mi sembra descrivere molto bene la confusione luciferina – come la chiamerebbe forse Lopez – che è alla base della seduzione narcisistica. Essa va assolutamente distinta dalla seduzione sessuale. Dalla seduzione sessuale possono infatti venire bambini, cioè frutti, germogli, vita che si rinnova. E inoltre essa porta con sé esiti che vanno oltre i protagonisti, scopi che trascendono i loro ego. La seduzione sessuale è riservata a personalità abbastanza strutturate e complesse da sembrare semplici. Essa cerca il piacere condiviso; cerca la complementarità di un altro che perciò è pensato, immaginato, desiderato in quanto diverso; cerca uno scambio reciproco e permette un uso reciproco che è possibile soltanto quando esiste la capacità di sopportare i propri inevitabili sentimenti di inadeguatezza. La seduzione sessuale presuppone quindi il riconoscimento dei propri limiti e la sua presenza implica che un individuo abbia raggiunto in sé l’integrità sufficiente a perseguire propri scopi, personali e diversi da quelli degli altri. Come si vede, ce n’è abbastanza per far aborrire la sessualità e la seduzione sessuale a generazioni intere di moralisti, e a tutti i nostalgici di perfezioni ideali e di utopie. Per inciso, più spesso di quanto non si pensi, moralisti come questi svolgono l’importante funzione di dare un volto, un nome, un perché – di rivestire di un’idea, perciò codificandole – a paure che trattengono molte persone – spesso compresi forse loro stessi – da esperienze, come quella della seduzione sessuale e del piacere condiviso, per cui la loro struttura psichica non è adeguata e che potrebbero quindi risultare destabilizzanti.
La seduzione narcisistica invece non è legata alla sessualità – la sessualità può esserne un corollario, o più frequentemente uno strumento, ma quasi mai le sensazioni di attrazione dei corpi sono un movente della seduzione narcisistica – tanto è vero che essa può avvenire nei tipi più diversi di relazione: non solo nelle dinamiche di coppia, ma in relazioni professionali, hobbistiche, sportive, di amicizia, e arrivare a contagiare persino gruppi, o, come insegna Freud, folle intere. Alla sua base c’è sempre uno specchio e immagini di ideali che si riproducono attraverso di esso.
Alla base della relazione perversa narcisistica troviamo sempre qualcuno che tenta di controllare dall’interno un altro, inducendolo ad essere perfetto per i suoi bisogni, e qualcun altro che tenta disperatamente di essere perfetto per i bisogni dell’interlocutore, tentando così, a sua volta, di controllarlo dall’interno. In pratica, il narcisismo dell’uno tenta di controllare il narcisismo dell’altro, e viceversa. Per distinguere questa forma perversa incentrata sul controllo narcisistico dalle vere e proprie perversioni sessuali, Bergeret propone il termine di “perversità” al posto di quello di “perversione” (Bergeret J., 1974, p. 267).
Un punto fondamentale da notare è che il dinamismo perverso si svolge in una dimensione inferiore: non consiste cioè tanto nell’imporre all’interlocutore un comportamento piuttosto che un altro, ma essenzialmente nel condizionarlo dall’interno. Consiste cioè nell’iniettargli dentro un modo di sentirsi e di sentire, un modo di essere. Con le nostre considerazioni ci muoviamo infatti in una dimensione dell’esistere, non in una dimensione del “fare”. Nella seduzione perversa non si tratta di indurre qualcuno a “fare” qualcosa, ma di stabilire ciò che una persona deve essere, ciò che deve provare. Talvolta un “fare” qualcosa può acquistare importanza, ma soltanto come controprova narcisistica dell’efficacia di un dominio e di un controllo interiore. Ad esempio, le così dette “prove d’amore” certe volte hanno una valenza sessuale, ma certe altre volte vi prevale invece il significato di rappresentazione “scenica” di un possesso narcisistico.
A lungo andare, tuttavia, lo specchio si rompe. Compaiono rabbia, controllo, e una corsa per affermare un potere: una corsa che non può mai aver fine perché una possessione non può mai essere completa, totale, speculare – il solo risultato che potrebbe finalmente acquietare. Abbiamo visto l’uso della proiezione della colpa, della sessualità, delle emozioni, per tenere il controllo sull’altro, modificandolo dall’interno, a partire cioè dai suoi stati d’animo. Ci sono già familiari alcuni dei modi in cui nella relazione l’altro viene controllato. A poco a poco viene spezzata ogni sua iniziativa, ogni manifestazione del suo ordine mentale, ogni stato d’animo che venga dall’intimo di un Sé autonomo. Tutto ciò avviene in modo quasi automatico, con l’innocenza incurante e inconsapevole con cui un sistema anticorpale automaticamente e sistematicamente circonda il suo antigene, e lo fagocita, lo paralizza, lo scioglie.
Abbiamo già incontrato quello che la Jeammet (1989) ha denominato “odio bianco”: quel rabbioso disconoscimento oppure quel continuo, quell’insinuante fraintendimento dei moti interiori e dei sentimenti dell’altro. Esso è quasi sempre unito ad una altrettanto continua, inquisitoria attenzione, per cui frequentemente l’altro è chiamato a rispondere al narcisista non tanto di ciò che ha fatto ma di ciò che prova in quel determinato momento. Ogni carenza di rispecchiamento della sua importanza e della grandiosità è una macchia nel mondo, una minaccia di svuotamento, un insulto. Ogni segno che l’altro è un centro autonomo di interessi, passioni, gusti è un affronto e un’offesa.
L’altro dunque sentirà smentita la propria realtà – prima di tutto il modo in cui si percepisce ed è abituato a considerarsi. Si sentirà accusare di ciò che non ha nemmeno pensato – soprattutto gli verrà imputato ciò che egli non è. Ogni suo atteggiamento sarà “frainteso”. Egli non sarà visto, considerato. Soprattutto i suoi moventi saranno sottilmente o rumorosamente travisati.
Talvolta la cosa peggiore sono i silenzi, l’estraneità che improvvisamente si crea. Altre volte, può essere un non sentirsi considerati, fino a un non essere visti; non solo ciò che si è, ma anche ogni cosa che ci accade sembra trasparente, invisibile: se ciò si verifica con una persona significativa, un genitore, un coniuge, un figlio, l’esperienza sarà tragica.
L’interlocutore del narcisista si troverà a fronteggiare un persistente attacco alle radici del suo sentimento di identità, che lo stringerà da dentro e da fuori. Dall’interno, fiorirà un senso di ingiustizia e di rabbia, poi di impotenza e di disorientamento, quando non di inutilità, di inanità – di mancanza di significato. Da fuori lo impregnerà, come una pioggia salata e amara, una inquietante sensazione di instabilità, il cui nerbo sarà una penosa percezione della propria interscambiabilità con chiunque altro. “Questa o quella per me pari sono!”, come ne Il Rigoletto sembra risuonare il canto narcisistico.
Verrà del tutto naturale la reazione al sentimento di impotenza e di scacco, di misconoscimento di sé e della propria interscambiabilità: gridare più forte, farsi vedere meglio, farsi riconoscere con sempre nuove e più potenti manifestazioni di sé, della propria bontà, delle proprie doti, della propria unica e irripetibile individualità – rendersi insostituibile. Come l’inesorabile e tragica trama dei drammi umani prevede, si tratta proprio di ciò che alienerà ancor più l’attenzione del narcisista, perché l’unicità e particolarità dell’altro sono proprio la macchia che deturpa la sua serenità e il controllo del suo mondo. Inoltre soggettivamente egli potrà sentire che l’altro lo trascina al male– a sentirsi male e a essere il male e a fare il male – e dal suo punto di vista con qualche ragione: la luminosità raggiunta dall’altro, la sua unicità, il bene che egli continua a profondere nel tentativo di salvare il sentimento di sé, potranno infatti risvegliare invidia, avidità, rabbia e malumore nel narcisista – andranno cioè a costituire e rendere manifesto e attivare il male dentro di lui.
Si può così innescare una tragica corsa a spirale al rilancio, fra una difesa delle proprie peculiarità e una affermazione della propria individualità da una parte, e una difesa dalla turbativa rappresentata dall’altro e dalla malvagità presagita nell’altro dall’altra parte. Il punto di stallo è, ad ogni voluta del frenetico, rabbioso, disperato volo, m’impasse relazionale: l’impossibilità per la vittima di ammettere la propria impotenza – che significherebbe accettare la ferita narcisistica del proprio limite e l’alterità del narcisista, cioè lasciarlo libero di essere e di pensare come è e come può – e per il narcisista l’impossibilità speculare (simmetrica) di ammettere dentro di lui il bisogno, il desiderio o la mancanza (a seconda del quadro di organizzazione di personalità in cui il narcisismo si erge a barriera difensiva). Il che a sua volta significherebbe accettare la ferita narcisistica del proprio limite e dell’alterità dell’altro, cioè ciò che l’altro è e ciò che l’altro ha, di personale e diverso.
Ecco perché, comunque e in qualunque contesto umano si sia sviluppata questa dinamica – in una relazione di coppia o in quella genitore/figlio, in un rapporto professionale di cooperazione o in quello terapeuta/paziente – essa tende ad assumere per un osservatore esterno sempre più i caratteri di un vero e proprio conflitto di potere. Il carattere narcisistico del conflitto può essere riconosciuto, al di là delle dichiarazioni e delle razionalizzazioni dei protagonisti, dal suo carattere disperato, emotivamente coattivo ed ogni volta ripetitivo, nonché dalla mancanza o inconsistenza degli scopi oggettivi cui la prova di potere mira, essendo infatti in essa prioritaria la difesa e l’affermazione della propria personalità.
Angosce laceranti, che coinvolgono fin nell’intimo entrambi i protagonisti, emergono in questo gioco al rialzo e a loro volta ricorsivamente lo mantengono e lo intensificano.
Per il narcisista si tratta di allontanare o circoscrivere sotto il suo controllo una alterità che può scuotere il suo mondo e suscitare sensazioni travolgenti e distruttive dentro di lui. In fondo, e questo mi appare sempre più chiaro, egli disprezza, svaluta, oppure controlla, misconosce l’altro, oppure lo fugge, oppure trionfa per mezzo delle umiliazioni che riesce ad infliggere, non perché lo odia, ma per evitare di odiarlo, di invidiarlo e per la paura di distruggerlo – oltre che di distruggersi – in un rapporto troppo intimo. Semmai sentimenti di ostilità nascono più frequentemente, almeno nella mia osservazione, a causa dei tentativi reiterati dell’altro di rendersi presente, cospicuo e considerato. Cosicché non è ben chiaro, nello scenario ammantato dalla nebbia dell’identificazione proiettiva, se il narcisista viva la propria ostilità come risonanza di un’ostilità percepita proveniente dall’altro per proiezione della propria, o perché effettivamente l’ostilità gli viene provocata dalle congestioni relazionali che l’altro gli suscita.
Per la “vittima” si tratta di rivendicare la propria individualità, la propria identità, di affermare se stesso contro un sentimento devastante di impotenza. Essa deve inoltre fronteggiare un sentimento acuto e per lei incomprensibile di perdita. La parte più intollerabile riguarda una perdita oggettuale, prima e più che una perdita oggettiva. La perdita oggettuale riguarda la presenza oppure l’assenza dentro la mente. E un dramma che si svolge negli oggetti interni di una mente. Patire un sentimento di perdita oggettuale comporta sul piano interpersonale la sensazione di non essere più nella mente, nei pensieri, nella memoria di qualcuno che è importante.
O, peggio, comporta sentire che questo qualcuno sta facendo di tutto per cancellare la tua immagine, il pensiero di te, la memoria di te, la tua presenza dentro di sé – e intanto sentire che non ci puoi fare nulla. È intollerabile sentire di sparire dalla mente di qualcuno che è significativo. È una parte di sé che scompare, mentre svanisce la tua storia, il tuo tempo, un frammento del significato della tua esistenza. Sul piano interiore, la perdita oggettuale significa dunque parallelamente la sparizione dell’altro: è una forma di sparizione anche la scoperta della sua differenza da come lo si era pensato, sentito, immaginato, voluto, amato. E un altro, è l’immagine di un altro, alieno, estraneo, incomprensibile e minaccioso che prende il suo posto. E intanto sbiadisce, svanisce, si annulla, viene amputata una parte del Sé: quel mondo di sensazioni, esperienze, confidenze, tutto ciò che si era provato per l’immagine dell’altro come era, per come lo si era interiorizzato – per come se ne era fatta esperienza.
La scoperta che nella mente del narcisista non si era presenti come un’immagine dotata di una propria sostanzialità, di una propria riconosciuta vita, ma si era soltanto il riflesso in uno specchio – e la scoperta di quanto scivolosa sia quella superficie liscia se la presenza davanti ad essa non sia di continuo assicurata – queste scoperte vengono il più delle volte rimandate all’infinito. È infatti molto penoso e doloroso rivelare a se stessi tutto questo. Equivale a sancire la propria sparizione. Equivale a constatare la sparizione dell’altro. E significa renderle definitive, irrevocabili attraverso il loro riconoscimento. Equivale anche ad ammettere – definitivamente, irrevocabilmente – la propria impotenza. Quante volte un coniuge, un amante, un figlio, un genitore, anche in presenza di maltrattamenti psicologici o fisici, continua a difendere e a trovare sempre nuove scuse per quei comportamenti. Ed essi si rifiutano tanto spesso di testimoniare su ciò che accade non solo per paura di qualcosa di oggettivo. Non di rado una aperta carica di ostilità e di rabbia viene anzi diretta contro chi tenta di salvarli da queste “relazioni pericolose”. In questo modo, essi non difendono tanto chi li maltratta, quanto se stessi, il proprio equilibrio e le proprie immagini interiori – il persistere di un sentimento della propria presenza.
Per vari motivi, connessi con la propria organizzazione psichica e con la propria storia, si può arrivare ad affidare il proprio narcisismo a relazioni del genere, ad entrare e restare in ri-sonanza con questi mondi fatti di specchi. Ma, al fondo, probabilmente nessuno può dirsi del tutto immune.
Ci sono certamente personalità più predisposte, che cercano questo tipo di seduzione e di complicità segreta distruttiva. Per alcuni, si tratterà dell’orrore e insieme del richiamo di ripetere un’esperienza antica.
(*) Roberto Filippini è laureato in medicina e in filosofia. Specialista in neurochirurgia e in criminologia clinica, lavora dal 1980 come psicoterapeuta a Bologna e a Pescara. Autore di numerose pubblicazioni scientifiche di argomento psicologico, è vicedirettore della Scuola di specializzazione in psicoterapia Aion di Bologna, presso cui è docente di Epistemologia e di Psicologia analitica. Professore a contratto di Comportamento e aggressività presso la Facoltà di Scienze della formazione dell’università dell’Aquila, corso di laurea in Scienze dell’investigazione.
(**) Tratto da Roberto Filippini, Avventure e sventure del narcisismo, Edizioni Giuseppe Laterza, 2007 Bari, pp. 193-201.
Questo articolo è molto esaustivo. Mi ci riconosco pienamente. Ho a che fare con un disturbato narcisista da manuale, non mi ci è voluto molto tempo per rendermene conto. Il bello è che anche io ho tratti narcisistici marcati (ma non proprio un disturbo pervasivo, perché ho capacità empatiche e oggi sono in grado di amare un uomo diverso da me) e, in passato, solo attraverso una psicoterapia ho potuto riconoscere la mia parte affettiva, i miei bisogni, insomma in definitiva accettare l’idea di essere sedotta oltre che di sedurre da un altro da me, che non sia la mia estensione sempre pronta a validare il mio Ego. La mia vita è cambiata in meglio (so apprezzare la bellezza di chi è altro da me), ma l’attrazione fatale che ho verso gli anaffettivi e i narcisisti si ripresenta puntualmente. A causa del mio stesso narcisismo consapevole e, più in generale, del fatto che sono una donna molto cosciente di sé, con forti capacità di autocontrollo, riesco a predisporre difese valide, riesco a “spiazzare” il narcisista inconsapevole, a renderlo insicuro di sé, a destrutturarlo, come in una sfida, ma a patto di investire molte energie in questa opera, e senza ovviamente cambiarlo (perché rapidamente lui si riconfigura sulla base delle sue potenti difese psicologiche). Ecco, il punto è proprio questo. Non soffro e ho capito benissimo chi ho di fronte (perché anche mi somiglia!), ma la mia attenzione è su di lui, come la sua – nonostante le difficoltà che oggettivamente gli creo, nonostante tutti i suoi travisamenti e la sua ricerca di altre “prede” – è su di me. Invece, mi rendo conto che dovrei andare oltre e orientarmi verso uomini in grado di amarmi, che invece non guardo, come se non fossero degni di me. Io non dico: “non mi ama, ma io lo cambierò”, io dico: “io lo costringerò, per quanto difficile possa essere, ad ammettere l’amore che certo già prova per me (perché è impossibile non amarmi!)”. Conosco bene anche l’origine di questa mia stortura (un padre anaffettivo, ad amore condizionato, una madre incapace di compensare i miei bisogni affettivi di bambina ipersensibile). Ho già allontanato emotivamente il “mio” narcisista, approfittando del primo dei suoi momenti di svalutazione, riesco a distrarmi e percepisco che non ho alcuna intenzione seria di stare con lui, ma non c’è nulla da fare, investo ancora troppe energie su di lui (anche solo per “fargliela pagare”, sfruttando il mio vantaggio di conoscere dal di dentro le sue dinamiche e quindi rendendomi sostanzialmente immune dalla gelosia delle sue triangolazioni e delle sue maleazioni, alle quali rispondo con umorismo o a specchio, quindi non dandogli il rifornimento narcisistico di cui si nutre), ed è questo che devo superare. Ho di nuovo intrapreso la psicoterapia, cogliendo l’occasione che questo ennesimo “folle” mi offre per andare ad agire dentro di me e spezzare l’incantesimo che mi incatena ancora – in termini di gusto, attrazione, sfida – a questo genere di individui. Ho speranza, ma, come dire, è molto dura…