La violenza e la cura, il fallimento della ragione che partorisce la distruzione e la fatica di un pensiero che vuole ostinatamente distinguere e raggiungere risultati di giustizia ed uguaglianza e si propone scopi sempre più attenti a rendere un servizio teso ad ingentilire i rapporti umani, come segno di reale civiltà… le problematiche presentate negli articoli di questo numero sembrano prestarsi ad un primo giudizio di “confusione”: che cosa hanno in comune gli scomparsi della dittatura argentina e l’emigrazione forzata che può portare alla prostituzione, l’accoglienza delle donne nell’ambulatorio medico di base, in un paese occidentale e sviluppato e il lavoro sociale internazionale in una zona isolata e dimenticata del Brasile? Tanto più se tutto questo si coniuga con un film che parla di un episodio di guerra intercorso nel macello originatosi dalla dissoluzione della Yugoslavija. Oppure, altra domanda più che lecita, come si mette questa riflessione in sintonia con problematiche di natura psicologica?
L’integralismo criminale che annulla qualsiasi presenza di complessità democratica mal tollera, anzi annienta, ogni tentativo di promuovere la lotta contro lo sfruttamento sociale e le situazioni di fame e ignoranza determinate dalla lontananza delle classi dominanti e da un falso liberismo che non fa che facilitare lo status quo, rafforzando la ricchezza e il privilegio e, di conseguenza, la povertà e l’ingiustizia. Un regime così fatto non tollera che esistano persone che si occupano di bidonville. Nel film “Garage Olimpo” la protagonista fa la maestra volontaria in una villa miseria alla periferia di Buenos Aires; la testimonianza di Melania Ceccarelli, nello stile semplice che deriva dalla padronanza di ciò che si è vissuto in prima persona, ci racconta di un lavoro analogo, della durata di due anni, nelle medesime condizioni, naturalmente con garanzie derivate da convenzioni internazionali, ma comunque teso allo stesso modo a svuotare con un secchiello il mare dello sviluppo bloccato del Sud del mondo. Anche la situazione brasiliana non è aliena da violenza, anche se non apertamente istituzionalizzata come lo è stata nel periodo della “guerra sporca” dei generali argentini.
La violenza, cioè l’intrusione nei confini del dominio dell’altro, inteso sia in senso psicologico che esistenziale (come concetto di valore dell’esistenza individuale), implica l’annullamento dell’alterità, così da poterla distruggere senza che i sentimenti di appartenenza alla medesima umanità vengano implicati. Allo stesso modo la violenza e l’annientamento della vita sono la caratteristica della vicenda di Eva, nel film di Corso Salani. È certo difficile accostare il lavoro nei confronti delle donne nell’ambulatorio del medico di base, raccontato con delicatezza da Silvia Grassi, con lo sfruttamento internazionale della prostituzione…ma quello che interessa è il diverso e giusto, ma non ovvio, interesse per il rispetto della donna, del suo corpo e della sua peculiarità. E questo non è scontato, nemmeno nei paesi così detti civili, se si pensa che la violenza sessuale, fino a non molto tempo fa, era considerata reato contro la morale e non contro la persona, e quindi perseguito con una certa crudeltà giuridica nei confronti della donna offesa che, spesso, durante il dibattimento processuale, veniva descritta quasi come complice e, da parte offesa, passava a soggetto di discolpa.
Tutto questo per dire che la “confusione” della violenza (politica, sociale, individuale) e l’affermazione del suo contrario, cioè la cura, l’attenzione, la partecipazione, il senso di una vita personale e professionale che possa fare dell’altro l’oggetto di attenzione e di rispetto, sono strettamente collegati e sono l’essenza fondamentale della psicologia e della psicoterapia, tese a capire e ricostruire i valori di libertà interiore e di autorealizzazione elaborati dalla persona e impediti momentaneamente nella loro estrinsecazione.
In contrapposizione all’annullamento sadiano delle differenze, teso a ad un riduzionismo semplificatore e dominatore dell’individuo, gli articoli di questo numero individuano, ognuno a suo modo e senza alcuna pretesa di esaustività, le caratteristiche della libertà, della complessità e della cura che realizzano quell’ “I care” che Don Milani aveva voluto come motto da scrivere sui muri della Scuola di Barbiana.
Giovanni Lancellotti psicologo-psicoterapeuta