Prima parte
Di Anita Rusciadelli
“…
non è certo attendendo nella piazza deserta
che s’incontra qualcuno, ma chi gira le strade
si sofferma ogni tanto. Se fossero in due,
… ne varrebbe la pena.”
C. Pavese (Poesie)
La richiesta di un’analisi grafologica è una vera e propria richiesta di aiuto, generalmente motivata da uno stato prolungato e profondo di sofferenza, che prende le forme dell’insoddisfazione, dell’ansia, del vuoto, della malinconia, della solitudine, della rabbia, ma anche della depressione, del disturbo alimentare, della sindrome autistica, della psicosi e ancora e ancora.
È, a mio avviso, opportuno e doveroso, da parte del grafologo – qualora si trovi di fronte a scritture che rivelano importanti “segnali d’allarme”- invitare il cliente a cercare un adeguato sostegno medico, poiché la persona psicologicamente e fisicamente esausta non è in grado di attivare al meglio quel processo di coscientizzazione e di cambiamento che un’analisi grafologica innesca, richiedendo energie fisiche e mentali, volontà e tenuta.
Tratti grafici sofferenti ed evanescenti, contratture, ammaccature, cedimenti, esagerazioni, rigidità o stereotipie, fughe, sobbalzi, sono tutte spie di uno stato di salute psico-fisica non ottimale, che può tradursi in patologia vera e propria, se non viene adeguatamente e preventivamente trattato.
La profonda convinzione dell’utilità di una collaborazione tra medico e grafologo, mi ha dunque portato, fin dall’inizio della mia attività lavorativa, a contattare senza riserve medici di famiglia, neuro-psichiatri, omeopati, a seconda dell’entità, della tipologia del disagio e della problematica che vedevo emergere dalla scrittura – o, per i più piccoli, dagli scarabocchi e dai disegni – su cui stavo lavorando.
In un rapporto di fiducia reciproca costruito nel tempo e nel confronto, i medici interessati hanno gradualmente iniziato a richiedere, per alcuni pazienti che si sottoponevano alle loro cure, un’osservazione grafologica, nell’intento di comprenderli meglio, perché essi stessi si comprendessero meglio e perché fossero guidati alla conoscenza delle motivazioni profonde e spesso antiche della loro sofferenza.
Nella maggior parte delle persone afflitte da disturbi di origine psichica, infatti, se recettive e veramente intenzionate ad affrontare la loro patologia in maniera consapevole ed attiva, la profonda conoscenza di sé, delle proprie dinamiche interiori e dei meccanismi che hanno innescato lo stato di malessere, crea un terreno più favorevole al processo di guarigione ed evita l’ovattamento emotivo che deriva dalla cronicizzazione del sintomo, spesso tenuto a bada attraverso un uso continuativo e perenne del farmaco.
Una consapevole rivisitazione interiore, affiancata dal sostegno prezioso della terapia farmacologia, permette dunque di evolversi e di migliorar il proprio stato di salute psico-fisica; ad ogni minimo cambiamento nella direzione del proprio equilibrio, infatti, sempre corrisponde una sensazione di leggerezza e di benessere che dispone positivamente e che rende gradualmente sempre meno necessaria l’assunzione di farmaci ansiolitici o antidepressivi.
Il caso di Michele
Michele ha 15 anni, frequenta una scuola che non gli piace, studia tutto il pomeriggio con grande volontà e, nonostante ciò, il suo rendimento è insoddisfacente per gli insegnanti che lo vorrebbero più disinvolto, partecipativo, sicuro nell’esposizione e preparato.
Viene al mio studio con un’andatura mesta di chi si sente poca cosa, si guarda intorno con aria triste e assente e lascia parlare sua mamma che mi racconta, con preoccupata delicatezza, di come il ragazzo sia amareggiato e disilluso, solitario ed ostinato, poco socievole e poco propenso al confronto, teso e aggressivo, rigido e, allo stesso tempo, spavaldo nel modo di proporsi in casa, spesso sofferente di forti emicranie.
Mentre ascolto, guardo attentamente la scrittura recente di Michele (fig.n.1) e vedo uno stato di tensione che rallenta e spesso blocca non soltanto la motricità grafica ma l’intera personalità, impedendo al ragazzo di essere, di pensare, di agire e di muoversi in maniera autonoma e spontanea, fiduciosa e progressiva, libera e progettuale.
Fig.n.1
Ritrovo, tra i segni vergati sul foglio, gli indici di una natura sensibile e disponibile, dalla vivacità contenuta e dalla vitalità delicata, soggetta a facile stancabilità e a momenti di cedimento; riconosco l’orgoglio troppe volte ferito, la determinazione a non mollare, lo sforzo di adeguamento per non deludere le aspettative e l’introiezione dei giudizi e dei parametri altrui, così dilagante da oscurare ogni pensiero, desiderio, inclinazione ed aspirazione individuale.
Riconosco i segni di una volontà che ha perso la motivazione, di un agire senza ombra di gusto, di un vuoto interiore che trova il suo riempimento nel cibo e di un adattamento passivo tenuto in piedi con i denti. Così come prevede il mio lavoro, inizio a parlare di un Michele dimenticato, delle sue potenzialità, delle sue risorse, delle sue peculiarità e delle sue inclinazioni; ridimensiono per un attimo una situazione effettivamente problematica per lasciare spazio ad una finestra che si apre, porgendo una gamma di soluzioni e possibilità, in attesa delle sue soluzioni e possibilità.
Insieme, piano piano, si inizia a prendere atto con naturalezza dell’opportunità del supporto medico per spezzare una staticità che non è equilibrio, si mette in conto la possibilità di cambiare il tipo di scuola e di orientarsi verso ciò che Michele, con un sorriso a mezza bocca, come se invece di lui si parlasse di Harry Potter, propone sotto la veste di desiderio.
Fig.n.2
Nell’arco di soli tre mesi, Michele è diventato un altro, o meglio, si è finalmente avvicinato a se stesso; ha cambiato scuola, si è curato come il medico ha creduto ed ha concluso la terapia, sta più diritto con la schiena e mi guarda diritto negli occhi quando mi porta la scrittura, a testimonianza del suo cambiamento (fig.2).
Sono contenta quando vedo il ridimensionamento delle sue lettere perché capisco che l’orgoglio ferito ha lasciato il posto ad una maggiore consapevolezza delle proprie capacità e delle proprie possibilità e che Michele ha abbandonato l’ostentazione e la rigidità difensiva, allentando i freni.
Sono contenta del movimento che di nuovo compare nella sua scrittura, perché mi parla del riattivato movimento interiore, dell’azzardare un accenno di spontaneità, del guardarsi intorno e del riconoscere stimoli e spiragli, del considerare il proprio pensiero ed il proprio sentire; sono anche contenta della fragilità che vedo nelle letterine dal tratto flebile e filiforme, perché è meglio essere fragili e delicati con la certezza di potersi gradualmente irrobustire, che fingere di essere forti e coriacei, giganti coi piedi di argilla.
Anita Rusciadelli
E-mail: anitarusciadelli@tiscali.it