“Cosa succede a un sogno…?
Forse si prosciuga
come uva appassita al sole?…
o fa la crosta e si inzucchera come un dolce sciropposo?
Forse soltanto cede come un carico troppo pesante?
O forse esplode?”
Harlem, canti negri
La possibilità di sognare ad occhi aperti è concessa a tutti noi ed è ancora gratuita, forse perché non ha prezzo; ad essa si può attingere liberamente ed in qualsiasi momento ci piaccia, senza chiedere permesso, senza fare anticamera, senza aspettare l’orario migliore e soprattutto – una volta fatto fuori quell’insopportabile Super- Io, capace di rovinare ogni cosa – senza provare insostenibili sensi di colpa.
Il sogno ci mette a contatto con la parte di noi non ancora pienamente espressa e con situazioni fantasiose e poco realistiche, ma non per forza impossibili, generalmente, comunque, ben diverse da quelle a cui la quotidianità – rassicurante ma di solito piuttosto noiosa – spesso ci obbliga nostro malgrado.
Esso esercita su di noi fascino ed attrazione perché al suo interno senza pareti siamo veramente e totalmente liberi di prendere iniziative, di sperimentare atteggiamenti e comportamenti diversi dai soliti e magari di riuscire anche – con insolita disinvoltura – a fare colpo, lasciare di stucco, destare ammirazione e, alla fin fine, a riscattare la nostra immagine ai nostri occhi ed agli occhi degli altri.
Il sogno ad occhi aperti può dunque aiutarci a “fare pratica”, a rinforzare noi stessi e la nostra identità, a scoprire nuove sfaccettature che ci appartengono e, soprattutto, a metterci profondamente a contatto con ciò che vorremmo essere e realizzare.
Se la ricchezza immaginativa riesce a collegarsi con la realtà in cui viviamo e siamo, ed a tradursi in concretezza, la nostra vita diventa luogo e tempo di continuo arricchimento ed evoluzione e la nostra personalità ha una possibilità in più di costruirsi in maniera completa ed armoniosa, fresca, sempre nuova e, allo stesso tempo, dotata di una mobile stabilità, che non è né formalismo, né immobilismo.
Il rifugio nella dimensione immaginativa è tuttavia anche spesso dettato dall’esigenza di evadere dalle situazioni difficili, frustranti o, semplicemente, non gratificanti della vita di tutti i giorni, all’interno della quale, ci piaccia o meno, dobbiamo affrontare prima di tutto noi stessi, le nostre carenze e inadeguatezze, fare i conti con l’immagine che gli altri hanno di noi ed inserirci in un andamento quotidiano non sempre sentito e voluto.
La fuga nel sogno diventa allora, in molti casi, l’unica valvola di salvezza della persona, ma l’eccessiva permanenza nel mondo della fantasia, in cui il Sé reale lascia gradualmente posto al Sé ideale, causa un rientro sempre più difficile nella dimensione concreta ed una sensazione costante di estraneità e di solitudine.
Figura 1
Federico fa la terza media e non sa quale scuola superiore vorrebbe scegliere, né quello che vorrebbe fare da grande; non sa dire con sicurezza quali cose sa fare bene e quali no, in che cosa è bravo e in che cosa difetta e, come molti ragazzini della sua età, ha un’idea un po’ vaga di sé, delle sue risorse, delle sue capacità e dei suoi limiti.
È sicuro però di diventare un personaggio importante e potente – non sa ancora in che campo – famoso, amato ed invidiato, tenuto in grande considerazione da tutti, così come lo è all’interno della sua famiglia in cui egli ricopre il ruolo di bambino protetto, vezzeggiato ed esonerato da qualsiasi responsabilità, essendo il più piccolo di casa, minuto, dolce e delicato, di bassa statura e soggetto a tonsilliti.
La sorella – di quindici anni più grande – fa i compiti al posto di Federico – spesso è stanco e non ne ha voglia -, mentre lui gioca al game-boy o naviga su Internet e a nulla servono le ramanzine degli insegnanti in proposito; lo accompagna – quando la mamma non può – alle feste di compleanno degli amici e rimane ad aspettarlo – … non si sa mai…; tutta la famiglia si compiace della grande fantasia del “bimbo”, quando egli racconta storie inverosimili di cui è naturalmente protagonista, dando da sempre ampio credito alle bugie ed alle invenzioni che lui quotidianamente propone.
Federico, come bene esprime in un disegno di prima elementare (fig.1) è da sempre annoiato ed inibito, non si sente come gli altri bambini e soffre la solitudine; iperprotetto dalla famiglia e poco stimolato all’emancipazione, non ha maturato gli strumenti indispensabili per affrontare adeguatamente la scuola e gli impegni in genere, le relazioni con i coetanei e con gli adulti e non ha una buona immagine di sé; soltanto quando vola con la sua fantasia e si identifica con personaggi che lasciano un segno, egli acquista vita ed individualità.
Attualmente è seguito da uno psicoterapeuta, perché racconta, sempre più frequentemente, situazioni da lui vissute, difficili e dolorose, prive di alcun reale fondamento, in cui egli si descrive, allo stesso tempo, come vittima ed eroe.
L’albero che disegna – accompagnato da poche righe di una scritturina timida, insicura e titubante (fig.2) – conferma (nel tratto impalpabile e quasi evanescente, nel gesto rallentato dalla preoccupazione e dal timore, nel movimento curvilineo e stentato allo stesso tempo e nella simbologia di un tronco sottile e tormentato) la sensazione di debolezza e di insicurezza che il ragazzo prova e la sua capacità immaginativa – la smisurata chioma senza fronde – in cui tutto può essere forse possibile.
Il sogno ad occhi aperti non fornisce tuttavia a Federico una visione progettuale e positiva di sé e della sua futura realizzazione, ma rappresenta ormai soltanto un’abitudine a barcamenarsi tra la dimensione reale e quotidiana, sentita come arida e sterile, e quella immaginativa, arida e sterile allo stesso modo; la chioma del suo albero, infatti, non si arricchisce e non palpita né di foglie, né di fiori, né di frutti, né di vita.
Se la Grafologia rappresenta, come da sempre sostengo, un prezioso strumento di prevenzione del disagio infantile ed adolescenziale, l’analisi grafologica degli scritti appartenenti allo stesso periodo evolutivo del disegno di fig.1, avrebbe senz’altro potuto evidenziare lo stato di insoddisfazione, il senso di inibizione e di impossibilità che Federico avvertiva dentro di sé, la malinconia, il desiderio di uscire dallo “stato di prigionia” per lasciarsi coinvolgere dalla vita in maniera autentica e profonda, così da essere realmente attore protagonista delle sue giornate.
Figura 2
Di Anita Rusciadelli