IN DIRETTA DAL DIVANO DI SIGMUND FREUD
Gli appunti di cinquantasei sedute del 1922
Al centro di un’Europa resa attonita dalla catastrofe umanitaria della prima guerra mondiale – fiaccata dalle sue ripercussioni economiche, sfibrata da rivendicazioni e da conflitti sociali, spettatrice ancora ignara della nascita in Germania di un partito di estrema destra che, nel giro di pochi anni, segnerà tragicamente il suo destino – si svolge la storia di un incontro tra due uomini: uno è Sigmund Freud, ha sessantacinque anni ed è già noto per la sua straordinaria invenzione di una teoria e di una pratica clinica che avrebbe rivoluzionato il campo psichiatrico; l’altro è Ernst Blum, un giovane uomo di trentacinque anni, ebreo anche lui, anche lui medico e con una passione per la psichiatria, che per dare spessore alla propria formazione decide, peraltro contro la volontà della sua ricca famiglia residente a Zurigo, di trasferirsi a Vienna e di iniziare un percorso di analisi personale con il Maestro. Una decisione coraggiosa, che si risolverà in settantacinque sedute, concluse il 28 giugno del 1922. Delle prime cinquantasei Blum annoterà il contenuto, interrompendo – apparentemente senza motivo – la trascrizione degli appunti delle ultime. Quasi quarant’anni dopo – siamo nel 1961 –Ernest Blum incontra, in occasione di una conferenza tenuta a Friburgo, un collega di trent’anni e di nome Manfred Pholen, al quale – grazie alla intensità del legame intellettuale che sin da subito li unisce – rivela l’esistenza di quei verbali. Verbali che diventeranno oggetto di una contesa tra l’autore e l’Archivio internazionale Sigmund Freud che, nella persona del suo direttore, Kurt Eissler, negli anni settanta, nel reclamerà la proprietà, nell’ottica di una politica, definita da Pholen, di obliterazione dei documenti e di manipolazione della storiografia su Freud. L’anziano paziente di Freud decide allora di pubblicare autonomamente i verbali e di affidarne la cura all’amico Pholen. A circa trent’anni di distanza del primo incontro con Blum, nel 2006, Pholen pubblica le annotazioni e i commenti postumi dell’analisi con Freud. Qualche mese fa, questo prezioso libro è stato tradotto in italiano per Bollati Boringhieri con il titolo: In analisi con Freud. I verbali delle sedute di Ernst Blum del 1922.
Dunque, sei mesi di analisi hanno impiegato più di ottant’anni per venire alla luce; ma il risultato ricompensa la lunga attesa. Blum, infatti, ci conduce nell’intimità del suo rapporto analitico con Freud, descrivendone con nitidezza e acume clinico i più sensibili particolari. Lo straordinario valore del suo lavoro di documentazione sta proprio nella meticolosità della raccolta dei dettagli che compongono lo scambio tra l’analista e l’analizzato, le sue associazioni, i suoi ricordi, i suoi sogni; ma anche, e soprattutto, le interpretazioni di Freud, le sue osservazioni, i suoi interventi inattesi. Grazie alla accuratezza di Blum nel redigere il suo diario, il lettore ha così modo di assistere direttamente a cinquantasei sedute di psicoanalisi condotte dal suo fondatore, dalle quali – ed dè qui l’indiscutibile pregio del libro – emerge una riflessione sulla tecnica psicoanalitica che mette in discussione alcuni dogmi dell’ortodossia elaborati in epoca postfreudiana.
E, in effetti, era l’intento di Blum: mettere in dubbiosa coerenza degli sviluppi della pratica psicoanalitica contemporanea rispetto alla pratica clinica del suo inventore, rigettando, di conseguenza, la spinta anti-illuministica che anima le cosiddette “recenti evoluzioni della psicoanalisi” – tutte sbilanciate sull’analisi delle resistenze e della relazione transferale – per riaffermare con vigore la pregnanza dei concetti freudiani fondamentali: l’importanza della sfera sessuale e più in generale delle pulsioni, dell’interpretazione, e così via. Un intento che Blum dichiara esplicitamente nel 1973: “Credo che dobbiamo ritornare a Freud, non intendo nostalgicamente, ma a Freud nel suo modo di fare attività analitica, per far rivivere la sua prassi, in opposizione a quell’evoluzione della psicoanalisi in analisi della resistenza e in analisi del transfert,che si basa su un fraintendimento di Freud. Freud, infatti, nell’attuazione pratica della sua tecnica dialogica si comportava come un compagno di strada”. Le sue parole sono precise, chiara la denuncia contro i discepoli di Freud, colpevoli di averlo frainteso, di avere depurato la psicoanalisi del suo portato rivoluzionario e anticonformista, per trasformarla in una tecnica di adattamento alla società e di omogeneizzazione alla ideologia imperante. L’aupico di Blum è l’avvento di una renaissance della psicoanalisi, nella consapevolezza che si tratta di renderla non ancora attuale, ma finalmente attuale. “Da Freud a Freud”, annota.
La riuscita di questa operazione dovrà essere giudicata in funzione del dibattito che sarà in grado di sollevare nel campo psicoanalitico; dove, tuttavia, sappiamo quanto e come si reagisca in modo respingente a letture in contrasto con la supposta ortodossia freudiana. I precedenti sono numerosi, a cominciare da Jacque Lacan, il quale, ben prima di Blum, aveva richiamato la comunità analitica sulla necessità di un ritorno a Freud, proprio per restaurare il valore originario della psicoanalisi e del suo messaggio radicalmente sovversivo. Conosciamo altrettanto bene l’indignata risposta della Società Psicoanalitica, quella che lo stesso Lacan ebbe modo di definire la sua “scomunica”, la esclusione dal gruppo degli analisti didatti della Società stessa. Prima di lui Sandor Ferenczi, Wilhem Reich e tanti altri loro colleghi, che avevano osato mettere in discussione lo statuto di ortodossia di concetti e tecniche entrati a far parte dello standard psicoanalitico più per ragioni politiche che per ragioni di merito, avevano subito la stessa sorte.
Sarebbero ora in grado le disverse scuole e associazioni di psicoanalisi di riconsiderare le proprie posizioni in aperto contrasto con l’esperienza clinica di Freud descritta da Ernest Blum? Certo è che la sua testimonianza ci consegna una rappresentazione dello psicoanalista molto più convincente della caricatura con ui, troppo spesso, gli analisti contemporanei si identificano.
FRANCO LOLLI. Il manifesto quotidiano. 9 Ottobre 2009.
“Franco Lolli, psicoterapeuta e psicoanalista, vicepresidente di Jonas (Centro di ricerca psicoanalitica per i nuovi sintomi), docente presso l’IRPA (Istituto di Ricerca di Psicoanalisi Applicata), direttore scientifico dello CSeRIM (Centro Studi e Ricerca sull’Insufficienza Mentale). Vive e lavora nelle Marche. Autore di diversi libri di argomento psicologico e psicoanalitico, ha pubblicato recentemente (2009) per Bollati Boringhieri l’opera La depressione
Un particolare ringraziamento alla Redazione del Manifesto che ci gentilmente autorizzato alla pubblicazione dell’articolo.