Sommario
La tendenza all’attualizzazione è una metafora bio-psico-sociale che ha la sua radice nella nozione dell’organismo. Come tale essa si differenzia dalla nozione di attualizzazione del sé, ed è funzionale alla psico-terapia invece che all’ego-terapia. Principio indispensabile della terapia centrata sulla persona, essa appartiene alle scienze naturali come alle scienze umanistiche, e può rivendicare un posto legittimo fra le indagini scientifiche multimodali contemporanee, eredi di teorie non-dogmatiche della natura e della tradizione evoluzionista che ha consistentemente rifiutato le ipotesi evoluzionistiche darwiniane e post-darwiniane.
Il fiume scorrevole del mutamento
La terapia centrata sulla persona è una “filosofia clinica” (Tudor & Worrall, 2006), con al suo centro lo smantellamento dell’autorità dell’esperto. Essendo una filosofia anarchica, nel senso che mette in discussione l’arché (Bazzano, 2011), o prototipo, dello psicoterapetua, la sua metodologia è di conseguenza radicata in una posizione etica rigorosa di rispetto per l’autonomia del cliente (Grant, 2010), così come in una fiducia fondamentale nella tendenza all’attualizzazione.
Rogers ha eclissato la figura dell’analista onnisciente, e ciò ha trovato eco nella morte dell’autore annunciata da Roland Barthes (1967), una posizione di critica del positivismo –per Barthes quintessenza dell’ideologia capitalista – che ha esagerato l’importanza dell’autore. Un altro parallelo, anch’esso anti-autoritario, viene dalla psicoanalisi: per Christopher Bollas il metodo psicoanalitico delle associazioni libere “sovverte le tendenze naturalmente autoritarie dello psicoanalista … [e] sguinzaglia le diffuse possibilità aperte verso l’infinito” (Rose, 2011, p. 12). La nozione della tendenza all’attualizzazione è connessa anch’essa all’ infinito, categoria antitetica, come chiarito da Lévinas (1961), alla totalità. È mediante una fiducia fondamentale nella tendenza all’attualizzazione che il sé dell’esperto viene eclissato, e con esso la pretesa narcisista del terapeuta di aver fomentato la guarigione del cliente. (Bazzano, 2011a). Nel contempo anche il ruolo centrale del sé nella vita del cliente viene esaminato e inserito nel contesto dell’organismo, una “realtà biologica e sociale …[e] la metafora radice della psicologia centrata sulla persona” (Tudor, 2010, p. 58).
A differenza della “attualizzazione di sé”, con la quale essa viene sovente confusa, la tendenza all’attualizzazione de-centra il soggetto. Ad attualizzarsi non è il sé, poiché in tal caso la terapia centrata sulla persona costituirebbe una forma di ego-terapia invece che psico-terapia, ma l’organismo, in relazione al quale il sé si adatta in direzione di una confluenza fra il sé, il mondo, e l’altro – punto centrale della fenomenologia classica (Merleau-Ponty, 2010).
Concepite in tal modo, crescita e guarigione avvengono mediante il riconoscimento del sé-come-processo piuttosto che tramite il tentativo di sistemare o correggere qualcosa che in primo luogo risulta essere privo di esistenza intrinseca. Per Rogers, la persona è
“… un processo fluido, non un’entità statica, un fiume scorrevole di mutamenti, non un blocco di materia solida; una costellazione di potenzialità in continuo cambiamento, non una quantità di tratti fissi”. (Rogers, 1961, p.122)
Sebbene indebitato alla nozione dell’organismo concepita da Goldstein (1995) e dalla nozione adleriana di Gemeinschaftsgefühl, o sentimento comunitario (Ansbacher & Ansbacher, 1956), l’attualizzazione di sè concepita da Maslow è invece appresa come “adempimento di una missione – o … fato, destino, o vocazione” (Maslow, 1962, p. 25). A rendere problematica la formulazione di Maslow è la reificazione del sé attualizzato, sottolineata dalle descrizioni delle presunte caratteristiche della persone attualizzata o realizzata (realistico, distaccato, autonomo, spontaneo e così via), una formulazione che riverbera nella cultura contemporane narcisista, nella quale l’impatto dell’alterità è (discutibilmente) assente. Zadie Smith (2009), nel recensire il romanzo Their Eyes were watching God di Zora Neale Hurston, sottolinea che “si tratta della scoperta di sè tramite un altro”:
Perbacco se non afferma che l’amore rende liberi. Oggiggiorno la parola d’ordine è “attualizzazione di sé”, e se non ce la fai da solo allora ammetti una debolezza” (Smith, 2009, p. 6)
Attualizzazione di sé è diventato sinonimo di contemplazione del proprio ombelico, antitetica all’impegno e perfino all’interesse sociale: la fantasia di un sé che naviga per l’esistenza accumulando oggetti triviali e inutile trofei, costruendosi una carriera in uno scenario dove l’impatto dell’altro è minimo e dove il senso comunitario è scomparso.
Il concetto di attualizzazione di sé può collegarsi a ciò che Hans Driesch definisce “teleologia statica” (Driesch, 1914, pp. 5-6), il sogno individualista della società capitalista, l’auto-incapsulamento dell’identità borghese, una visione a senso unico dell’autonomia che dimentica il bisogno umano, altrettanto importante, di omonomia(Angyal, 1965).
Similmente si può associare la tendenza all’attualizzazione alla ‘teleologia dinamica” di Driesch( 1914), nella quale lo sviluppo è direttamente connesso all’abilità del sé di adattarsi attivamente all’esperienza e di elaborare la più vasta dimensione organismica. Angyal distingue fra diversi livelli o settori di esperienza su cui la lotta specificamente umana per l’esistenza si dispiega (Angyal, 1965): ad un livello particolare, la lotta per l’esistenza è analoga al mantenimento, e quindi diretta al buon funzionamento della struttura esistente. Ad un altro livello, la lotta consiste nel “diventare ed essere ciò che si è veramente, di scoprire modi di vita in accordo con le proprie potenzialità”. Ad un altro livello ancora essa consiste nell’ “esistere … essere apprezzato da qualcuno” (Angyal, 1965, p. 18).
La tendenza all’attualizzazione inevitabilmente comprende l’alterità, poiché l’altro partecipa della vita dell’organismo. Al tempo stesso conferisce una qualità incarnata (embodied), e altresì condivisa all’esperienza, se si considera che il corpo è “un fenomeno sociale … esposto agli altri, per definizione vulnerabile [il cui] stesso persistere dipende da condizioni sociali e da istituzioni” (Butler 2009, p. 33). Il corpo, come scrive Madison (2010) echeggiando Gendlin, è “corpo-ambiente”:
A livello primario Gendlin afferma che noi siamo corpo-ambiente, interazione di un sistema molto più vasto di quanto lo sia il corpo della scienza medica (Madison, 2010, p. 193)
Inoltre lo stesso riconoscimento del sé-come-processo, del sé come appartenente ad una sfera organismica più vasta — ciò che Angyal chiama “biosfera” (Tudor, 2010, p. 61) è uno dei fattori che può effettuare uno spostamento verso la guarigione. I sette stadi di processo (Rogers, 1961) sono segnaletiche in un viaggio imprevedibile di accettazione della fluidità del sé e della sua capacità di adattamento attivo. Il primo cambiamento significativo consiste nell’accettare se stessi come “corrente del divenire, non come prodotto finito” (Rogers, 1961, p 111). La terapia centrata sulla persona ripristina nel cliente tale flusso naturale, permettendo l’attualizzazione, colmando la lacuna fra una nozione ristretta del sé e una nozione più espansiva dell’organismo:
“La psicoterapia (per lo meno la terapia centrata sul cliente) è un processo per mezzo del quale la persona diventa il suo organismo – senza inganno, senza distorsione” (Rogers, 1961, p. 111)
Ritornare alla natura-di-fiume del sè e del mondo è simile a un ri-allineamento esistenziale. La metafora del fiume è presente nel pensiero esistenzialista (Rosenzweig, 1999) e la troviamo anche negli insegnamenti del Buddha, per il quale praticare il Dharma è ‘entrare nella corrente’ del vivere-e-morire. L’incongruenza può essere considerata in tale contesto come tentativo di ritrarsi dal fiume del divenire dato che la sua destinazione è l’oceano, la scomparsa della vita separate del sé nella morte. L’incongruenza, e la sofferenza mentale che ne consegue, è contrazione dell’esperienza (Goldstein, 1995), tentativo ansioso ed intenso di ridurre la vitalità perché essere vivi vuol dire dover morire.
La tendenza all’attualizzazione è una metafora funzionale che riesce a decentrare il sé dando maggiore enfasi all’organismo, allo stesso modo in cui i primi fenomenologi sottolineavano l’esperienza. Per Rogers,
“pratica, teoria e ricerca chiariscono come l’intero approccio centrato sulla persona si basa su una fondamentale fiducia nell’organismo”. (Rogers, 1979, p. 2)
Così pure per Nishida (1992), fenomenologo influenzato da Husserl e dal Buddhismo Zen, il punto cruciale “non [è] che l’esperienza esiste perchè vi è un individuo, ma piuttosto … un individuo esiste perchè vi è esperienza” (Nishida, 1992, p. xxx). Dal campo dell’esperienza noi continuiamo a plasmare un sè, e dall’esperienza arriviamo alla comprensione, poichè l’esperienza stessa è comprensione implicita (Ikemi, 2011).
Le implicazioni filosofiche sono vaste, e qui mi limiterò a dire che nel radicare la terapia centrata sulla persona su una fiducia fondamentale nella tendenza all’attualizzazione, Rogers ha iscritto la filosofia centrata sulla persona all’interno della tradizione fenomenologica invece che su quella idealista. La prospettiva fenomenologica è eretica rispetto alla visione dominante sviluppatasi lungo secondo la metafisica del fondamento, sulle cui basi non solo le credenze religiose ma a cui anche il darwinismo – come vedremo – appartiene.
Il divenire unificante
Piuttosto che un’affermazione definitiva sulla natura della realtà, la tendenza all’attualizzazione è un “concetto funzionale” (Bozarth & Broadley, 1991). Può anche essere compresa, a mio parere, come metafora di vitalità immanente: la materia è, in altre parole, infusa d’anima, invece che essere ‘materia morta’ mossa da prinicipi trascendenti, cioé esterni, spirituali o meccanici che siano. È necessario sganciare la nozione della tendenza all’attualizzazione da pretese ontologiche e astenersi dall’apprenderla come asserzione finalista – una tentazione da cui Rogers non fu purtroppo immune. Ciò è cruciale, non importa quanto seducente la brama di tirar fuori il coniglio della verità indiscutibile dal cappello di un’ipotesi utile. Un’ipotesi è dopo tutto una nozione aperta alla confutazione (Rogers, 1980, in Bozarth & Brodley, 1991). Il bisogno di capire il comportamento in termini di scopo non esige una scelta unilaterale fra la metafisica soggettivista e semi-mistica da un lato e la solidità dei fatti dello scientismo riduttivo dall’altro, ma richiede invece – seguendo l’indagine di Merleau-Ponty, una “espasione della nostra concezione delle possiblità di spiegazione scientifica”(Merleau-Ponty, 1968, p. 3) e il riconoscimento di una “attività diretta fra il meccanismo cieco e il comportamento intelligente” (Matthews, 2002, p. 74).
Siamo indebitati al vitalismo vecchio e nuovo (Driesch, 1914) per il suo impegno nel perseverare nella domanda se “l’intenzionalità presente nei processi della vita sia il risultato di una speciale costellazione di fattori già conosciuti alle scienze dell’inorganico, o di un’autonomia particolare ai processi stessi” (Driesch, 1914, p 1). A Hans Driesch, biologo trascurato e geniale, citato da Rogers come ispirazione, dobbiamo la delineazione percettiva fra teleologia statica e dinamica; mentre la prima si presta alla costruzione di una teoria meccanicista dell’organismo, la seconda ci conduce alla comprensione dell’autonomia dei processi vitali (Driesch, 1914, pp. 5-6). Che ci si trovi d’accordo o meno con i principi del vitalismo, tale modalità d’indagine filosofica e scientifica ha senza dubbio fornito un antidoto consistente e coerente al darwinismo dogmatico, rifiutando nel contempo di assumere una posizione semplicistica nel dibattito classico fra materia e spirito. Il botanico Albert Wigand, citato da Driesch (1914), presentò a suo tempo una chiara posizione epistemologica sull’argomento:
“Alla questione se ci sia una forza vitale unica, che non opera nel resto della natura, e mediante la quale si possono spiegare i fenomeni vitali, va risposto in in modo affermativo e negativo. In modo affermativo, se con ‘forza’ non si vuol dire null’altro che ciò che s’intende con le parole ‘elettricità’ e ‘gravità’; e in modo negativo se si parla invece di un principio soprannaturale indipendente dalle leggi universali della natura, che non si manifesta mediante la legge di causa ed effetto” (Wigand, citato da Driesch, 1914, p. 155)
Nelle ultime pagine della Storia e teoria del Vitalismo, Driesch giunge a delle ipotesi interessanti che sembrano corroborare i presupposti del vitalismo. Esiste, scrive Driesch, un “processo of restituzione”, così come l’ “equi-finalità”, ovvero viene raggiunto l’identico esito regolamentato lungo “linee morfogenetiche differenti”. Vi sono altresì esempi infiniti di “adattamento attivo”, il più notevole fra di essi la creazione di anticorpi. Tali esempi, egli conclude, pur non essendo dimostrazione inconfutabile, sembrano tuttavia accennare ad una tendenza volta ad un “divenire unificante”:
L’organismo … fornisce un’istanza di causalità unificante o individualizzante, ovvero di una delle forme elementari di causalità, per quel che riguarda il suo comportamento morfogenetico o motorio […] Una somma (di possibilità di accaduti) si trasforma in un’unità (accaduti reali) senza alcuna pre-formazione spaziale o materiale di tale unità” (Driesch, 1914, p 215)
Prospettive Multimodali
Jane Bennett (2010) è una delle eredi creative del vitalismo che ha interpretato tale linea di pensiero assorbendo i contributi di pensatori chiave quali Adorno, Foucault, Deleuze, Derrida, Eagleton e Butler. Bennett descrive il suo compito filosofico in tre punti fondamentali:
“(1) Dipingere un’ontologia positiva della materia vibrante, che allarghi concetti ricevuti di agenzia, azione, e libertà fino al punto di rottura; (2) Dissipare le dicotomie binarie onto-teologiche di vita/materia, umano/animale, volontà/determinazione, organico/inorganico facendo uso di argomenti e altre modalità retoriche allo scopo d’indurre nei corpi umani un’apertura affettiva ed estetica alla vitalità della materia; (3) Tratteggiare uno stile di analisi politica che prenda in considerazione il contributo di attori (actants) non-umani (Bennett, 2010, p. x)
Il suo è un pensiero interessante che apre le porte all’ecologia e alle ecologie politiche, condotti probabili per una ricerca della materialità che desista da pregiudizi antropomorfici ma anche zoomorfici, per non parlare della dichiarata complicità con gli interessi del potere. È incoraggiante a riguardo constatare come l’ecologia ha colto l’attenzione di teoristi dell’approccio centrato sulla persona (Kriz, 2008; Barrett-Lennard, 2011)
Accettare la pluralità delle possibilità di spiegazione scientifica è ancora più vitale al giorno d’oggi. Alcuni decenni or sono Merleau-Ponty anticipò la filosofia della differance (Derrida, 1978) e il prospettivismo ora assiomatico del pensiero post-moderno, coniando il termine ateismo contemporaneo per definire la natura multimodale delle prospettive e l’implicita fallibilità delle ipotesi, un termine che egli equiparò alla fenomenologia stessa (Merleau-Ponty, 2010; Bazzano, 2011). Qualsiasi pretesa di obiettività e di principi dominanti è per sua natura teistica, e poco importa se essa discuta la lotta per l’esistenza, la biologia-come-destino o, al polo opposto e complementare, l’immortalità dell’anima e l’esistenza di Dio.
La seconda metà del secolo ventesimo ha visto sviluppi che hanno aperto nuove possibilità al modo in cui si pensa la materialità: la svolta di Merleau-Ponty verso una nuova concezione della natura all’inizio degli anni sessanta (Merleau-Ponty, 1963; 1968; 2010); l’opera innovativa di Deleuze (1994); la rivitalizzazione del pensiero epicureo ad opera di Althusser (2006), così come l’opera di Foucault (1980; 1988) sul bio-potere.
La ricerca contemporanea (Coole & Frost, 2010) adopera sviluppi attuali nelle scienze naturali, rompendo con la visione meccanicista e determinista e con le ambizioni di dominio della natura. Secondo tale paradigma emergente, la materialità viene compresa come “attiva, dinamica, auto-creante, produttiva e imprevedibile” (Ansell Pearson, 2011, p. 47). La materia è dotata di vitalità immanente. In tale contesto, il darwinismo da indiscutibile verità viene ridimensionato a una serie di ipotesi discutibili. La natura manichea del dibattito attuale (religione o scienza, ateismo o fede) produce il timore, specie in società anglo-sassoni, che il sollevare sia pur minime obiezioni al darwinismo e al neo-darwinismo debba corrispondere all’ammissione a una fede religiosa o l’aderenza a un credo umanista antiquato. Ma le teorie di Darwin sono state continuamente confutate nel campo della scienza e della filosofia della scienza, e il modo in cui pensiamo la materia, la biologia, e gli organismi viventi si sta spostando sempre di più verso una prospettiva multimodale, che resiste in modo intelligente alla coazione di arrogarsi pretese ontologiche.
In un articolo del 2010, gli studiosi rogersiani Frankel, Sommerbeck, e Rachlin (2010) mettono a confronto la nozione della tendenza all’attualizzazione con la teoria evolutiva di Darwin e trovando la prima incompatibile con la seconda concludono che essa non è “un concetto scientificamente valido” (Frankel et al, 2010, p. 69). I punti sollevati da tale articolo sono importanti e il mio disaccordo si basa su quattro punti:
1) La tendenza all’attualizzazione è un costrutto bio-psicosociale; come tale appartiene alle scienze sociali ed alle scienze naturali piuttosto che unicamente alla biologia.
2) La tendenza all’attualizzazione è una metafora: indicativa ed evocativa piuttosto che esplicativa o di fondamento.
3) Per Popper, “l’evoluzione della vita sulla terra… è un processo storico singolare” (1957, p.99). La teoria evolutiva di Darwin non è verità indiscutibile ma una delle prospettive all’interno delle scienze naturali, influenzata per lo più dai pregiudizi dell’era vittoriana.
4) La nozione della tendenza all’attualizzazione può dichiarare una posizione leggittima in un approccio multimodale alla biologia e alla scienza, e trova riscontri interessanti con ipotesi scientifiche chiave non-riduttive quali il Vitalismo, il Mutuo Soccorso, l’Ecologia contemporanea, e il materialismo non-dialettico.
Troviamo una manifestazione iniziale dell’approccio multimodale nella fenomenologia classica: per Merleau-Ponty la fisica, paradigma della scienza naturale, fece progressi proprio perché “i fisici non si sentono obbligati a scegliere fra diverse affermazioni ontologiche” (Matthews, 2002, p. 73) ma rimangono aperti alla fallibilità e ad ulteriori verifiche. Perfino il celebre principio di parsimonia, chiave di volta del positivismo logico e della scienza empirica, da cui Frankel et al (2010) attingono come pietra di paragone contro la validità della tendenza all’attualizzazione, non può revocare le differenze studiate ed osservate (Polten, 1973). Il filosofo medievale Ockham, che per primo formulò tale principio, mise giustamente in guardia contro la moltiplicazione pleonastica di entità e di presupposti, eppure egli fece ciò allo scopo di incoraggiare la formulazione della sintesi più semplice e non per favorire un’apologia del riduzionismo.
Attenti alle corna della mucca sacra
Scrivendo sulla tendenza all’attualizzazione, Rogers cita “Goldstein, Maslow, Angyal e Szent-Gyoergyi” fra coloro che “hanno avuto idee simili e hanno influenzato [il suo] pensiero” (1980, p 119). Ho già accennato a Maslow e Angyal e vorrei ora delineare brevemente il contributo degli altri due studiosi.
Mantenendo una posizione che sarebbe incompatibile con l’approccio riduttivo delle scienze naturali oggi predominante, sia Goldstein che Szent-Gyoergyi erano uomini di scienza ispirati a Goethe, che con Dante e Shakespeare fu come sappiamo uno dei più grandi poeti mai esistiti e “al quale dobbiamo molto per scoperte importanti nel campo della biologia” (Goldstein, 1963, p 23). Per Goldstein (1995, p. 284), il progetto strutturale dell’organismo non si costruisce “aggiungendo mattone su mattone”, ma piuttosto andando alla ricerca di “un’idea … sulle cui basi ogni dettaglio diviene comprensibile”. Lo scienziato arriva a ciò adoperando “l’attività creativa” (ibid). Il sapere biologic è continua attività creativa, spiega Goldstein citando Goethe, che a sua volta battezzò tale procedura di acquisizione del sapere Schau, o manifestazione – ciò che viene visto e percepito – mentre per l’immagine mediante la quale il fenomeno diventa comprensibile Goethe usò il termine Urbild, o prototipo (Goldstein, 1995, p. 284).
Il legame inseparabile fra la scienza, l’arte e le discipline umanistiche è altresì una caratteristica centrale dell’opera di Szent-Gyoergyi, il bio-chimico ungherese citato da Rogers che elaborò la nozione di “energia libera” o “entropia negativa” di Schrödinger (1967) formulando l’idea di ‘sintropia” (Szent-Gyoergyi, 1974, pp 12-24.), ovvero l’entropia che un organismo vivente esporta allo scopo di mantenere basso il proprio livello di entropia. Per gli psicologi come Rogers (1980), ciò costituì un indizio incoraggiante che di pari passo all’inevitabile deterioramento anche l’energia e l’organizzazione giocano un ruolo importante nell’organismo (Ho, 1994, p. 51).
In alcuni suoi scritti, Szent-Gyoergyi sottolineò non solo i vantaggi ma anche i pericoli del sapere scientifico, paragonando la scienza ad una mucca sacra: “Il problema sarà come mungerla mantenendo la distanza dalle sue corna” (Szent-Gyoergyi 1965, p 1278).
Premio Nobel per la fisiologia, partecipante attivo nella resistenza ungherese contro i nazisti, esiliato negli Stati Uniti e co-autore di un libro con Victor Frankl, Szent-Gyoergyi si sentì motivato a scrivere The Crazy Ape (La scimmia folle), un libro di ammonimento agli scienziati che non avevano compreso l’equilibrio necessario fra entropia ed energia creativa (Szent-Gyoergyi, 1970) e che affrontava argomenti chiave quali l’istruzione, la creatività la guerra nel Vietnam. Commentando sul massacro di cinquecento cittadini inermi da parte dell’esercito americano a My Lai, nel Vietnam del sud, egli dà un “giudizio severo” sui paradossi di una società che “ha creato istituzioni volte a trasformare persone oneste in assassini” (Szent-Gyoergyi, 1970, p 81). Tale commento dimostra, credo, che nel mantenere un legame chiaro con le scienze umane, vi sono maggiori probabilità che gli scienziati nutrano una consapevolezza etica e socio-politica purtroppo carente nella cultura contemporanea di compartimentalizzazione della scienza, che la rende di fatto complice dell’ingiustizia e della prevaricazione.
Il mito della scienza obiettiva
Gli anni ottanta e novanta hanno prolungato la luna di miele fra la psicologia evolutiva (essa stessa versione riveduta e corretta dell’idea di biologia-come-destino della metà del diciassettesimo secolo) e l’industria farmaceutica. Scenario e coreografia per tale legame lucrativo sono stati dal neo-liberalismo, con la sua visione del mondo come giungla di lotta brutale dove solo i più forti (e più ricchi) sopravvivono, e dove i disadattati devono venire anestetizzati (Rose & Rose, 2010). A tale visione del mondo, scossa dalla crisi economica del 2008, alcuni guardano di fatto nostalgicamente, come hanno fatto i celebranti dell’inaugurazione di una statua di Ronald Reagan a London Mayfair il 4 luglio 2011. Poco importano i suoi finanziamenti ai Contra (gli squadroni della morte contro la gente del Nicaragua), o la vendita segreta di armi all’ Iran e all’Iraq, o il sostegno dato all’esercito del Guatemala poi accusato di genocidio (White, 2011, p. 3). Paragonato all’aggressivo neo-liberalismo contemporaneo, Reagan era un gentiluomo…
Il neo-liberalismo si è incattivito e instupidito con l’aggravarsi della crisi internazionale:, le idee sull’evoluzione sono diventate più dogmatiche e maggiormente dipendenti dal biologismo. Già nel 1975 l’etologo E.O. Wilson poteva scrivere senza alcuna punta d’ironia, che la sociologia, le scienze umanistiche e tutte le altre scienze erano gli ultimi rami della biologia in attesa d’essere inclusi nella sintesi biologica (Wilson, 1975), e nel 1998 si appellò ad una “epistemologia unitaria … che subordini le scienze sociali ed umanistiche alla dimensione biologica e fisica” (Wilson, 1988; Rose & Rose, 2010). Contro tale tendenza, predominante ma non per tale motivo più valida, è salutare ricordare l’opera di Thomas Kuhn (1962) che sottolineò il fatto che la neutralità della scienza è una favola, e che “nessun linguaggio … è in grado di produrre resoconti meramente neutrali e obiettivi sul ‘dato’” (Kuhn, 1962, p. 127). La tendenza attuale verso un naturalismo riduttivo, o “naturomania” (Marrone, 2011) si può spiegare in parte come correttivo alle iperboli culturaliste del costruttivismo e del post-moderno. Tuttavia l’accettazione acritica di una forma particolare di naturalismo a scapito di altre ha anche a che fare con gli interessi delle corporations e con le pressioni da parte di vari stati e governi. Ciò soffoca la possibilità di un ‘multi-naturalismo’ come via d’uscita dall’impasse fra biologismo e culturalismo. Accettare una modalità multipla nelle scienze naturali significa accogliere la gamma creativa, perfino caotic,a di prospettive e il dialogo aperto che ne conseguirebbe se le esigenze del capitalismo globale non costituissero priorità assoluta. Esso esige una banalizzazione della ricerca e dell’operato scientifico volta alla massimizzazione dei profitti per una elite. Un impero non apprezza il fatto che le ipotesi sono fallibili e che una teoria può essere confutata da altre teorie. Esso richiede certezze, modi efficienti di perpetrare il proprio dominio; per tale motivo compra una teoria e una metodologia e le vende all’ingrosso nelle provincie e nelle colonie. Mi sia permessa un balzo astorico allo scopo d’illustrare tale punto: al tempo di Gesù vi era una “fervida cacofonia” (Flores d’Arcais, 2011) di voci che costituivano la ricca pluralità dei cristianesimi, un caleidoscopio di fedi, credenze e pratiche etiche dalle quali emerse il testo composito del Euaggelion, (buona novella o Vangelo). Fu soltanto più tardi, grazie al potere dell’impero romano e all’adozione del cristianesimo (al singolare) come religione di stato che la “unificazione” divenne possibile.
Darwinismo malthusiano e post-darwinismo neo-liberale
In una lettera a Engels del 18 giugno del 1862, tre anni dopo la pubblicazione di Sull’origine della specie di Darwin, Marx osservò:
“È davvero notevole che Darwin riscopra, fra gli animali e le piante, la società inglese con la sua divisione del lavoro, la competizione, l’apertura di nuovi mercati, le ‘invenzioni’ e la ‘lotta per l’esistenza’ malthusiana” (Marx 1862/1985, p. 380).
Con Darwin ci ritroviamo di fronte, Marx continua, alla visione di Thomas Hobbes del bellum omnium contra omnes, la guerra di tutti contro tutti, ed anche all’Hegel della Fenomenologia dello spirito, ma un Hegel a testa in giù, un mondo nel quale la società civile è ritratta come “regno animale intellettuale” (ibid). Senza dubbio darwinisti e neo-darwinisti non saranno d’accordo e sorvoleranno elegantemente su queste e altre opinioni, come ad esempio l’apologia di Darwin della società capitalista vittoriana, il suo razzismo e sessismo. La scienza è al di sopra di queste cose…
Ma Darwin era un uomo del suo tempo, che amalgamò in modo esemplare idee evolutive sempre più popolari al riduttivismo scatenato che si impadronì delle scienze naturali (Rose & Rose, 2010, p. 93), cercando di localizzare la vita e la mente umana all’interno del regno delle scienze naturali. Il fisiologo olandese Moleschott (1852) formulò tale approccio con estrema chiarezza quando scrisse: “il cervello secerne pensieri come il rene secerne urina” (citato da Rose & Rose op cit p. 94), e altrettanto fece Thomas Huxley nel descrivere la mente come un epi-fenomeno, “il fischio nel treno a vapore” (ibid).
Il liberalismo e il darwinismo si sono nutriti a vicenda: il primo prese dalla nozione della selezione naturale una convalida scientifica per l’affermazioine della lotta per l’esistenza nella società, mentre il secondo acquisì una cornice filosofica che accelerò la popolarità dell’idea. Il risultato? Un pessimismo pseudo-biologico, nient’affatto inevitabile se si pensa al percorso radicalmente diverso intrapreso nello stesso periodo dagli scienziati evoluzionisti russi e che culminò con la nozione di Kropotkin (1902) della “lotta per la vita” invece che la “lotta per l’esistenza” darwiniana – non una questione semantica ma una visione diversa che in generò la nozione di ‘mutuo soccorso’, opposta all’estremo individualismo insito nell’idea di Darwin. Daniel Todes (1987) ha pubblicato un articolo originale che traccia la critica al riduzionismo darwiniano da Kropotkin fino alla biologia contemporanea, una disciplina sempre più influenzata dall’ecologia e dall’importanza dei processi interdipendenti in ogni sistema vivente. Ciò che la nuova biologia dimostra è che “la natura usa tecniche straordinariamente ricche per evitare il conflitto e la competizione e la cooperazione sono molto diffusae”(Todes, 1987, p. 537).
Nonostante l’enfasi di Darwin sull’assenza di scopo della selezione naturale, la sua nozione è direzionale e progressivista al cento per cento, ed espressa enfaticamente nelle ulitme pagine dell’Origine della Specie:
Visto che la selezione naturale funziona unicamente per il bene di ogni essere, ogni attributo corporeo e mentale tenderà al progresso verso la perfezione. (Darwin, 1859/1996, p. 395).
L’affermazione di Darwin conferma quanto profondamente la cultura occidentale sia influenzata dal telos – scopo, finalità, direzionalità; l’altro esempio importante è la dialettica hegeliana. È difficile sfuggire alla forte spinta teleologica di un’intera civiltà influenzata dal finalismo biblico, qualcosa che si vede riflesso nella direzionalità, ampiamente presente finanche nella tendenza all’attualizzazione. Può essere utile, come riconoscono Frankel, Sommerbeck e Rachlin (2010), pensare alla tendenza all’attualizzazione in termini di ontogenia, ovvero di sviluppo, invece che di filogenia, cioé in termini evolutivi, una distinzione quasi del tutto obliterata dalla biologia evolutiva e dalla genetica:
Lo sviluppo … accentua forma, schema, interezza … Ignorarlo ha permesso che una scienza genetica inesorabilmente riduttiva divenisse lo studio delle differenze fra gli organismi, e la presupposizione che esse fossero codificate nei geni. (Rose &Rose 2010, p 98).
Potrebbe anche essere utile concepire, come fece Adler (Ansbacher & Ansbacher, 1956), una telologia immaginaria (fictional teleology) : la direzione è sconosciuta, di fatto non vi è direzionalità come tale, ma la sua stessa nozione – collegata al futuro, all’orizzonte e, come l’orizzonte, qualcosa “che non esiste, che è necessario e irraggiungibile, ma che è molto importante” (Chillida, 2009, p. 13) – effettua un processo unificante, o, se si preferisce, di integrazione.
La vita come collaborazione o come Casinò?
La ‘lotta per l’esistenza’, dunque, era una metafora per ciò che Darwin comprese essere “relazioni complesse fra gli organism, e fra l’organismo e condizioni abiotiche” (Todes,1987, p. 537). Darwin scrisse:
“Ci deve essere in ogni caso una lotta per l’esistenza, o un individuo con un altro individuo della stessa specie, o con individui di specie distinte, o con le condizioni fisiche della vita. È la dottrina di Malthus applicata con forza molteplice all’intero regno animale e vegetale” (Darwin, 1964, pp 62-63).
Darwin difese l’uso di tale metafora spiegando che le metafore sono necessarie per la loro brevità; tuttavia esse non sono mai semplicemente funzionali ma possiedono specificità culturali ben precise.
Sull’origine della specie fu tradotto in russo nel 1864 e ampiamente recensito e apprezzato, ma gli intellettuali russi considerarono la metafora malthusiana non solo imprecisa ma persino di cattivo gusto. Secondo lo scrittore radicale Chernyshevskii, “l’abiezione del malthusianismo ha contagiato la dottrina di Darwin” (1873 in Todes, op cit p 541); per lo scrittore conservatore Danilevskii, il darwinismo era “una dottrina puramente inglese”, espressione della preoccupazione inglese per la praticità e la competizione (Todes, p. 541) ed un’eco di Hobbes, Bentham, e Adam Smith (1869 in Todes, op cit p. 541); per Tolstoy, Malthus era “una mediocrità malefica””. Per Beketov, direttore per venti anni del Dipartimento di Botanica all’Università di Pietroburgo, la “stupidità” di Malthus era pericolosa, date le conclusioni secondo cui “a salvare l’umanità dall’estinzione sarà la fame, le epidemie e le guerre” (Todes, 1987, p. 544) e che tali “principi sordidi” erano stati appoggiati da Darwin era catastrofico. Gli evoluzionisti russi sottolinearono che mentre il bisogno di trovare nutrimento stimola la lotta fra gli organismi, il bisogno di difendersi genera la cooperazione, e che è quest’ultima ad avere contribuito all’evoluzione, e in due modi: a) aumentando le risorse e la durata della vita di una specie; b) aumentando le possibilità che queste forme di vita fiorissero.
Kropotkin, il più famoso fra gli evoluzionisti russi, non sottoscrisse una nozione da Baci Perugina dell’amore come legge del mondo naturale, ma riconobbe che nella vita la lotta principale è contro condizioni abiotiche mentre si trova nel contempo solidarietà all’interno di una specie, e che senza la solidarietà una specie perisce:
Se domandiamo alla Natura: ‘chi sono i più adatti: coloro che guerreggiano continuamente l’uno contro l’altro o coloro che si soccorrono a vicenda?’, vediamo subito che gli animali che acquisiscono abitudini di mutuo soccorso sono senza dubbio i più adatti. Hanno maggiori possibilità di sopravvivere e raggiungono, nelle loro classi rispettive, lo sviluppo più alto d’intelligenza e organizzazione corporea” (Kropotkin, 1902, in Jay Gould, 2002).
Dopo Darwin e gli evoluzionisti russi, i biologi hanno scoperto molte cose interessanti che sfidano l’ortodossia neo-darwiniana (Midgley, 2010). Per Fodor e Piattelli-Palmarini (2010), gli organismi stessi forniscono materiale necessario al cambiamento nel futuro: “Prima che un fenotipo possa venire … ‘offerto’ alla selezione dall’ambiente, una serie di restrizioni interne deve essere soddisfatta” (Fodor & Piattelli-Palmarini, 2010, p 39).
Se la selezione naturale non è la ‘risposta’ al dilemma evolutivo, allora qual’è la risposta? Il punto è che non c’è bisogno di un meccanismo unico che spieghi l’evoluzione, e la ragione per cui la selezione naturale di Darwin è diventata così popolare è dovuto al mito seduttivo del darwinismo, che presenta un’immagine della vita umana come proscenio di “individui eroici e isolati che contendono, come space warriors, da soli contro un cosmo alieno e privo di senso”, individui che speculano e si giocano l’esistenza e la ricerca del ‘successo’ come industriali e giocatori d’azzardo: in breve, la vita come Casinò (Midgley, 2010).
Invidia della Fisica
I filosofi e gli psicoterapeuti hanno provato spesso a trovare conferma scientifica alle loro metafore. La psicologia ha sofferto di invidia della fisica, il senso di inferiorità verso le ‘scienze esatte’. Persino Nietzsche, un filosofo la cui visione tende verso l’arte invece che verso la scienza, provò a un certo punto di trovare una base scientifica alla sua metafora poetica e di affermazione dell’esistenza nota come l’eterno ritorno. Freud stesso, creatore di uno dei miti più longevi del secolo scorso, fece il possibile per dimostrare la validità scientifica della psicoanalisi. In tal senso Jung – che dichiaratamente si volse alle religioni e ai miti – e Adler – che trovò un fondamento della sua Individual Psichology nelle scienze sociali – sono le eccezioni, visto che la tendenza della psicologia di cercare l’approvazione della scienza continua tutt’oggi e gode di grande popolarità.
Ma non ci si può non accorgersi dell’amara ironia di tale situazione: nello sforzo ossequioso di essere accettata come scienza, la psicoterapia si disinnesta dalla propria matrice psico-sociale su cui riposa il suo modus operandi e dal quale attinge sostegno e ispirazione. Concordando con la prospettiva dominante all’interno delle scienze naturali (neo-darwinismo, biologia evoluzionista, scienza cognitiva e un ramo particolarmente riduttivo delle neuroscienze), la psicoterapia dimentica che le scienze naturali comprendono una vasta gamma di prospettive e che esse stesse vengono influenzate dalle scienze sociali, dalla filosofia della scienza, e da altre discipline tradizionalmente associate con le scienze umanistiche. C’è un altro problema: quando arriva il momento critico, i potenti abbandonano allegramente la loro preferita metodologia positivista. Un caso emblematico viene illustrato da Judith Butler (2009) in relazione alla guerra di Israele a Gaza nel dicembre del 2008 e gennaio del 2009, durante la quale il numero dei morti, fra cui molti civili, comprese donne e bambini, non ‘contava’ più:
C’è qualcosa di paradossale qui, visto che siamo abituati a sentire, per esempio, che i metodi quantitativi dominano nelle scienze sociali, e che gli approcci qualitativi non ‘contano’ granché. Eppure, in altre sfere della vita, i numeri sono notevolmente impotenti. (Butler, 2009, xx)
Potremmo, come fa Rogers (1959), rispondendo alla American Psychological Association, “formare una teoria che adoperi terminologie misurabili, appropriate alle richieste del positivismo logico” (Warner, 2009, p. 115). Potremmo, in quanto psicoterapeuti esperienziali, fare acrobazie di umiltà e ossequio nel tentativo di venire accettati dalla scienza dominante, dando il nostro consenso acritico ai metodi e le prospettive del positivism. Ma nel far ciò rischiamo di perdere di vista le metafore chiave della nostra filosofia, mentre i potenti cambiano le proprie strategie come gli aggrada.
Agenzia senza identità
L’ “antropomorfismo ingenuo” di Darwin (Lecourt, 1981, p. 94), traspose l’affollata organizzazione sociale della Gran Bretagna industriale al regno animale. Darwin introdusse un campo di ricerca del tutto nuovo, replicando tuttavia la credenza nell’esistenza del sé cartesiano (Bazzano, 2011), una credenza che perfino il successivo zoomorfismo dell’etologia (Lecourt, 1981), con il suo cambio di rotta presumibilmente ‘radicale’ dalle prospettive classiche sugli umani e gli animali, ha confermato più che smentito (Althusser, 2006), e non a caso: è arduo evadere il fascino che la nozione di individuo separato continua ad esercitare nel pensiero occidentale dominante. Perfino l’animale singolo diviene soggetto della propria esperienza (Lecourt, 1981), a conferire un aura primordiale ‘originale’ all’idea di individualità.
D’altra parte la tendenza all’attualizzazione, neutrale ma non neutralizzante, impersonale ma non a-personale, va vista a mio avviso come tentativo di sporgersi dalla gabbia del solipsismo e di stabilere ciò che definisco agenzia senza identità, un agenzia che sia “congruente con la totalità dell’esperienza di una persona” (Warner, 2009, p. 122).
Processo e agenzia sono centrali, e vanno di pari passo nella teoria rogersiana. Margaret Warner giustamente definisce l’agenzia come “la capacità di scegliere o agire per proprio conto” (2010, p. 113), da non ritenere “identica all’autonomia isolata o all’individualismo” (p. 114)
Impregnata com’è in una prospettiva organismica, la nozione della tendenza all’attualizzazione si astiene dal reificare l’esistenza di un soggetto. La nozione stessa d’identità, del ‘soggetto’ deve essere problematizzata. Come scrive Claudio Rud, “l’identità è un fenomeno di molteplicità mobili” (Rud, 2009, p 36).
Manu Bazzano è autore e psicoterapeuta rogersiano. Il suo ultimo libro è Chi ama lo straniero: verso una fenomenologia dell’ospitalità. Milano:Ipoc. Sito web: www.manubazzano.com
BIBLIOGRAFIA
Althusser, L. (2006) Philosophy of the Encounter: Later Writings, 1978- 1987 London: Verso.
Angyal, A. (1965) Neurosis and Treatment: a Holistic Theory, New York: John Wiley & Sons
Ansbacher, H. & Ansbacher, R. (1956) The Individual Psychology of Alfred Adler New York: Basic Books
Ansell Pearson, K. (2011) Multimodal. Radical Philosophy 167 (pp. 46-48) London: Radical Philosophy Ltd
Barthes, R. (1967) The death of the author. Aspen, 5-6 http://www.stumbleupon.com/su/1aQH7Z/www.ubu.com/aspen/aspen5and6/threeEssays.html
Bazzano, M. (2006) Buddha is dead: Nietzsche and the Dawn of European Zen, Portland, Brighton: Sussex Academic Press
Bazzano, M. (2011) Chi ama lo straniero: verso una fenomenologia dell’ospitalità Milan: Ipoc
Bazzano, M. (2011a) Neuromania and ‘idiot compassion’ Therapy today 22, 6 July 38-39
Bazzano, M. (2010) Una vita da buddhista: review of Confession of a Buddhist Atheist, Dharma, 34 97-103, Rome: Maitreya Foundation
Bennett, J. (2010) Vibrant Matter: a Political Ecology of Things, Duke University Press
Bergson, H. (1944) Creative Evolution N.Y: Random House
Bozarth, J.D. & Brodley, B. T (1991) Actualisation: A Functional Concept in Client-Centered Therapy. In Jones, A. & Crandall R. (Eds.), Handbook of Self-Actualisation, 6 (5), pp 45-60
Butler, J. (2009) Frames of War. When is Life Grievable? London: Verso
Chillida, E. (2009) Writings, Düsseldorf: Richter
Cook, F. (2003) Transmitting the Light Boston MA, Wisdom Press
Coole. D. & Frost, S. (eds) (2010) New Materialisms: Ontology, Agency, and Politics, Durham NC: Duke University Press
Darwin, C. (1964) On the Origin of Species Cambridge MA: Harvard Univ Press 1964
Deleuze, G. (1994) Difference and Repetition London: The Athlone Press
Derrida, J. (1978) Writing and Difference London: Routledge
Driesch, H. (1914) The History and Theory of Vitalism London: MacMillan & Co
Ferraris, M. (2011) Se la natura diventa una moda, La Repubblica 08-07-2011, pp. 42-43
Flores d’Arcais, P. (2011) Gesù! L’invenzione del dio cristiano Add
Fodor, J. & Pattelli-Palmarini, M. (2010) What Darwin got wrong London: Profile
Foucault, M. (1980)The History of Sexuality vol.1 New York: Vintage
Foucault, M. (1988) The Political Technology of Individuals, in Technologies of the Self,. L. H. Martin, H. Gutman and P. H.Hutton (Eds.) Amherst: University of Massachusetts Press, 1988, pp. 16-49
Frankel, M., Sommerbeck, L., Rachlin, H. (2010) Rogers’ Concept of the Actualizing Tendency in Relation to Darwinian Theory, Person-Centered & Experiential Psychotherapies, 9, 69-80
Gendlin,
Goldstein, Kurt (1995). The Organism. New York: Urzone
Goldstein, Kurt (1963). Human Nature. New York: Schocken Books.
Grant, B. (2010) Getting the Point: Empathic Understanding in Nondirective Client-Centered Therapy, Person-Centered & Experiential Psychotherapies, 3, 220-35
Heraclitus (2001) Fragments: The Collected Wisdom of Heraclitus Translated by B Haxton; foreword by J. Hillman NEW YORK: Viking
Ho, M.W. (1994) What is (Schrödinger’s) Negentropy? Modern Trends in Bio-Thermo Kinetics 3, 50-61 Open University
Ikemi, A. (2011) Empowering the implicitly functioning relationship, Person-Centered & Experiential Psychotherapies, 1, 28-42
Jay Gould. S. (2002) Kropotkin was no crackpot libcom.org
Janksch, M. (2006) Bodhidharma pacifies the mind http://goodlifezen.com/wp-content/uploads/2007/11/bodhidharma-pacifies-the-mind.pdf
Lecourt, D. (1981) Biology and the Crisis of the Human Sciences, New Left Review I/125 pp. 90-96
Lévinas, E. (1961) Totality and Infinity: an Essay on Exteriority. Pittsburgh: Duquesne University Press
Kuhn, T. () The Structure of Scientific Revolutions Chicago: The University of Chicago Press
Kropotkin, P. (1902) Mutual Aid IndyPublish
Madison, G. (2010) Focusing on Existence: Five Facets of an Experiential-Existential Model, Person-Centered & Experiential Psychotherapies, 3, 189-204
Marrone, G. (2011) Addio alla Natura Torino: Einaudi
Marx, K. & Engel, F. (1985) Collected Works, vol. 41, Moscow, p. 380
Maslow, A. (1962) Toward a Psychology of Being, Princeton, NJ: Princeton University Press
Matthews, E. (2002)The Philosophy of Merleau-Ponty, Chesham: Acumen,
Merleau-Ponty, M. (2010) Phenomenology of Perception London: Continuum
Merleau-Ponty, M. (1963) The Structure of Behaviour, Boston MA: Beacon Press
Merleau-Ponty, M (1968) The Visible and the Invisible, Evanstone, Illinois: Northwestern University Press
Midgley, M. (2010) Review of What Darwin got wrong, by J. Fodor and M. Palmarini The Guardian 06-02-2010
Nishida, K. (1992) An Inquiry into the Good New Haven CT: Yale University Press
Polten, E. (1973). Critique of the psycho-physical identity theory. Paris: New Babylon
Popper, K. (1957) The Poverty of Historicism London: Routledge
Rogers, C. (1959) A theory of therapy, personality and interpersonal relationships, as developed in the client-centered framework. In S. Koch (Ed.) Psychology: A study of science. Vol 3 184-256 New York: Mc-Graw Hill
Rogers, C. (1961) On Becoming a Person, London: Constable
Rogers, C. (1979) The Foundations of the Person-Centered Approach www.if-development.co.uk/Facilitation/Person%20centered%20approach.pdf
Rogers, C. (1980) A way of being NEW YORK: Houghton Mifflin
Rose, J. (2011) What more could we want of ourselves! The Letters of Rosa Luxemburg, London Review of Books, (33) 12, 5-12
Rose, H. & Rose, S. (2010) Darwin and After, New Left Review 63, May June 2010 pp. 91-113)
Rosenzweig, F. (1999) Understanding the Sick and the Healthy: A View of the World, Man, and God Harvard University Press
Rud, C. (2009) Revision of the Notion of Identity and its Implications in PCA Clinical Practice. Person-Centered and Experiential Psychotherapies, Vol 8 N. 1 33-43
Schrödinger, E. (1967) What is Life? and Mind and Matter Cambridge: Cambridge University Press
Smith, Z. (2009) Changing my Mind: Occasional Essays, London: Hamish Hamilton
Szent-Gyoergyi, A. (1966) Drive in living matter to perfect itself, Journal of Individual Psychology 22(2), pp. 153-62.
Szent-Gyoergyi, A. (1965) Teaching and the expanding knowledge, Science, 146 , 3649, pp. 1278-79
Szent-Gyoergyi, A. (1970) The Crazy Ape: Written by a Biologist for the Young New York: Philosophical Library
Todes, D. (1987) Darwin’s Malthusian Metaphor and Russian Evolutionary Thought, 1859-1917, Isis, 78,. 537-551
Todes, D. (1988) Darwin without Malthus New York: Oxford University Press
Tudor, K. & Worral, M. (2006) Person-Centred Therapy: A Clinical Philosophy London: Routledge
Tudor, K. (2010). Person-Centered Relational Therapy: An Organismic Perspective. Person-Centered and Experiential Psychotherapies, Vol. 1 n 9, 52-68
Warner, M. (2009) Defense or Actualization? Reconsiderinig the Role of Processing, Self and Agency within Rogers’ Theory of Personality. Person-Centered and Experiential Psychotherapies, 2, 109-126
White, M (2011) Unveiled on the fourth of July. Politicians gather to catch a little of Reagan’s stardust, The Guardian, 05-07- 2011 p. 3
Wilson, E. O. (1975) Sociobiology: The New Synthesis, Cambridge, MA
Wilson, E. O. (1998) Consilience: The Unity of Knowledge, Cambridge, MA.
Manu Bazzano
manubazzano(at)onetel.com