Il numero 21 mi fa pensare alla maggiore età che ai miei tempi si raggiungeva a 21 anni ed era un traguardo rispettabile, perché si diventava uomini (donne lo si era già da prima). Chissà perché, ricordo che il mio barbiere (a quel tempo i barbieri avevano a che fare con l’iniziazione all’identità maschile) mi disse in occasione di quel compleanno: “ma no, non credere, è a 25 anni che si diventa uomini. Dammi retta: vedrai anche tu che il periodo di maggiore trasformazione nella vita di un uomo è quello che va dai 20 ai 25 anni!” Sinceramente, non so dire. Mi sono chiesto molte volte se il barbiere avesse ragione, ma di 5 anni in 5 anni tutta la vita mi è sembrata una successione ininterrotta di periodi decisivi di formazione. Anche adesso potrei dire che gli ultimi cinque anni della mia vita sono stati forse i più importanti di tutti…
Resta il fatto che siamo piuttosto orgogliosi di essere arrivati al numero 21 e di presentarci con un numero di notevole spessore culturale.
Il fondo del numero 21 è occupato dal Nodo Cosmico di Alberto Lorenzini. Si tratta di un lavoro di ampio respiro, dedicato alla più grande scoperta passata inosservata degli ultimi cento anni. Cento anni fa è cominciata nella fisica una rivoluzione scientifica più grande di quella copernicana, ma più difficile da digerire. Alludo ovviamente al fondamentale cambiamento di prospettiva che (con la fisica della relatività e quella dei quanti) ha portato ad abbandonare l’idea di spazio e tempo assoluti e, cosa ancora più importante, la “datità” delle cose, a prescindere da chi e da come le si osservino o si interagisca con esse. Ha portato all’abbandono del punto di vista super partes di dio e all’incarnazione della coscienza. Ci sono voluti cento anni, perché la rivoluzione culturale partita dalla fisica potesse investire tutte le altre scienze e, da ultimo, la psicologia. Ma oggi possiamo finalmente porre fine alla schizofrenia culturale di antichissima data, per cui la coscienza (la soggettività) sarebbe una realtà incorporea che si inserisce in una macchina, il cervello, che le serve per pensare. Come vedrete, a partire dal ruolo fondamentale che la relazione soggetto-oggetto svolge anche in psicologia, oltre che in fisica (ancora più in psicologia che in fisica) e dallo scardinamento dell’antica concezione della mente isolata (anima che scende dal cielo), emerge oggi una nuova prospettiva che ci fa vedere come comporre l’antica divisione e contrapposizione di spirito e materia.
Nella sezione dedicata ai contributi alla psicoterapia, troviamo anzi tutto l’articolo di Marcello Florita che coniuga psicologia e complessità. Maturana e Varela in biologia, Morin in filosofia, Sander, Tronick, Lyons-Ruth nell’infant research, Downing, Harrison, Shimmerlik in psicoanalisi: sempre più numerosi sono gli studiosi coinvolti in questa prospettiva che, come spiega Lorenzini nel precedente articolo di fondo, è capace di superare il meccanicismo nello studio delle dinamiche psicologiche e di restituire spazio al libero arbitrio, pur riferendosi ad una soggettività incarnata, parte integrante del mondo nel quale si inserisce con la propria attività di auto-organizzazione. Florita è uno studioso esperto nel campo e ci rimanda ai suoi libri di recente pubblicazione.
Fabio Beni è impegnato nel trattamento psicoanalitico delle tossicodipendenze. Ha pubblicato i propri lavori su Psicoterapia e Scienze umane e su Ricerca Psicoanalitica e qui ci offre alcuni scampoli del suo pensiero in una forma particolarmente originale: parlando di tossicodipendenza a margine delle critica letteraria che egli rivolge al romanzo di Jean Cocteau Les enfants terribiles. Nello studio delle tossicodipendenze, Beni adotta la chiave della “dissociazione farmaco-indotta” e anche lui valorizza, di conseguenza, i fenomeni dell’inconscio “non rimosso”, in linea con i recenti studi, appena citati, che fanno capo all’infant research e alla logica della complessità.
L’articolo di Marco Nicastro è, in realtà, l’ultimo capitolo del suo libro di freschissima pubblicazione Pensieri psicoanalitici e vale come presentazione e, contemporaneamente, come dono che egli ci ha fatto. Così dice Marco del proprio libro: “Il libro nasce dalla mia esperienza nel settore della psicoterapia psicoanalitica con adolescenti e adulti, e non si propone di essere un testo bibliografico classico, bensì una raccolta di brevi riflessioni, appunti sistematizzati, intuizioni, che descrivono o cercano di sondare aspetti delle dinamiche terapeuta-paziente presenti in una psicoterapia, questioni teoriche più generali, concetti poco chiari delle teorizzazioni, fino a semplici provocatorie illuminazioni espresse attraverso aforismi o giochi di parole. Esso si può considerare, forse, una via di mezzo tra un diario clinico e un’opera letteraria”.
In una intervista, negli ultimi anni della sua vita, Monicelli descrisse il cinema come “una forma d’arte prestata all’industria”. L’industria non può produrre se non per vendere e per innovare sempre i suoi prodotti, superando ed eliminando i precedenti. E sia così pure per il cinema? Ma il film, quando è oggetto derivato da una ricerca e da una espressione artistica, è un’opera non dissimile da un quadro, da un romanzo. Si può dire che Leonardo o Dante sono superati? E allora perché dovrebbe essere messo nell’archivio della smemoratezza un autore come Fassbinder?
Giovanni Lancellotti nelle righe che riguardano l’ultima opera dell’autore tedesco ridà vita, per un momento, ad uno dei registi più visionari e discussi del cinema del Novecento.
Mariangela Bucci, nella rubrica Rogers contemporaneo, accosta una originale interpretazione critica riguardante la mostra dell’artista figurativa montenegrina Irena Lagator Pejovic ai pensieri espressi da Rogers nell’opera “Potere personale”. Un altro esempio della fertilità di un pensiero psicologico ancora fecondo di suggestioni profonde.
Mariagrazia Palumbo e Ilena Novelli ci illustrano, nella seconda parte della loro tesi della scuola di formazione in pedagogia clinica, le possibili applicazioni di tale disciplina nella scuola, come strumento di facilitazione dell’espressione autentica e originale, in campo educativo, dell’unicità dell’individuo in crescita e formazione.
La counselor Desy Vanni, nello scritto “In cerca di qualcosa che sappia di vero” ci illustra il rapporto fra l’artista e l’opera d’arte come ricerca della “verità” soggettiva che si proietta nell’oggetto artistico. Un articolo che consideriamo stimolante e suggestivo per avvicinarci al concetto dell’arte come cura di sé.
Ed infine siamo grati come sempre al tacito assenso del giornale “Il manifesto” per la nostra riproposta dell’articolo di Stefano Colangelo riguardante una interessantissima riflessione sulla precarietà che connota la nostra attualità e soprattutto il mondo del lavoro. Un intenso articolo critico che offre spunti di riflessione per portare ad un significato di realtà dell’esistente un fenomeno che non ha prodotto certamente molti posti di lavoro, ma che contribuisce ad un disadattamento sociale notevole riguardante soprattutto, ma non soltanto, le giovani generazioni.
Come redattori della rivista ringraziamo i pazienti lettori, grati delle loro osservazioni, di cui terremo conto per la nostra attività divulgativa della conoscenza del mondo della psicologia e della psicoterapia.