Ciò che propongo nelle seguenti pagine è una breve contestualizzazione storica del nostro essere “relazionali” e del fatto che tutti gli orientamenti qui presenti, già da molto tempo, si possano definire tali.
In altre parole e in un certo senso, tutti noi, appartenenti a questi diversi orientamenti, ci siamo già incontrati e parlati parecchio tempo fa.
Parlerò brevemente dei nostri collegamenti e intrecci biografici, in parte dimenticati e anche rimossi, perciò assolutamente da ritrovare.
Da tempo si parla di una “svolta relazionale”, ma in realtà la novità di questa svolta e del relativo cambiamento di paradigma appare tale solo per la corrente, a lungo dominante, dell’ortodossia freudiana e in parte per l’approccio comportamentale. Fino a poco tempo fa questo cambiamento è stato percepito dalla psicoanalisi “ufficiale” tedesca come una novità, come una importazione dagli Stati Uniti. Ma le cose non stanno cosi.
“Il relazionale” e “il dialogico” in terapia esistono già da lungo tempo: mi vengono in mente la filosofia del dialogo di Martin Buber e la sua influenza non solo su Rogers, ma anche su Lore Perls e Erich Fromm: questi ultimi due hanno avuto l’opportunità di essere stati suoi allievi e di avere goduto dell’atmosfera integrativa del vecchio Istituto Psicoanalitico di Francoforte (un luogo importante e largamente dimenticato).
Pensiamo al Human potential movement degli anni Settanta, la terza forza del movimento psicoterapeutico, dopo quello psicoanalitico e cognitivo-comportamentale.
La Gestalt Therapy e l’approccio centrato sulla persona facevano parte del movimento delle cosiddette terapie umanistiche negli anni sessanta. Ma bisogna anche dire che, se il movimento ha favorito enormemente la diffusione dei due orientamenti citati, entrambi essi erano stati sviluppati e creati già molti anni prima (Perls e Rogers hanno pubblicato il primo libro nel 1942).
Di conseguenza, nei miei primi anni di lavoro in Germania era per esempio una cosa naturale trovarmi nei gruppi di supervisione insieme con collegi rogersiani.
Pensando alla psicoanalisi ortodossa, a mio parere ha ragione Paolo Migone, quando dice, per quanto riguarda la grande importanza di Kohut per un cambiamento fondamentale in questa psicoanalisi, che “si può però parlare della “scoperta” dell’empatia da parte di Kohut solo se si ignorano le precedenti posizioni di Rogers”.
Kohut veniva dalla scuola di Chicago, dove Franz Alexander era una figura centrale (ricordo la sua idea, tanto criticata, della “esperienza emotiva correttiva”). E Alexander veniva dalla scuola ungherese di Ferenczi.
Tutto ciò che in psicoanalisi si chiama oggi “relazionale” o interpersonale ha le sue radici in una linea che va dai primi esperimenti di Freud e Breuer a quelli di Ferenzi e Rank (ricordo qui l’influenza di Otto Rank su Rogers).
Ferenczi e Rank nel 1924, anno in cui Perls iniziava la sua prima analisi con la Horney, nel lavoro “Prospettive di sviluppo della psicoanalisi” (un testo cruciale), cercavano di sviluppare la pratica analitica e renderla più efficace. Essi proponevano, in particolare, di restituire più peso all’esperienza emotiva, in relazione a ciò che accadeva nella situazione reale della stanza di terapia.
– Si può tracciare una linea che va da Francoforte (dov’era Erich Fromm e dove Frieda Fromm-Reichmann era docente di Lore e Fritz Perls) al White Istitute di New York dove si trovavano Sullivan e Clara Thompson.
– Un’altra linea arriva a Londra attraverso Balint.
– E una terza, in gran parte dimenticata, va dall’Istituto di Francoforte con il suo approccio integrativo e inter-professionale (lì, nel primo Istituto per la ricerca sociale di Horkheimer e Adorno dialogavano psicoanalisti, psicologi della Gestalt, Goldstein e la sua “teoria organismica”, l’esistenzialismo di Paul Tillich e sociologi di sinistra) all’Istituto di Berlino col gruppo dei cosidetti freudiani di sinistra e analisti del carattere: era questo l’ambiente di socializzazione psicoanalitica di Fritz Perls.
Scrive Paolo Migone nella sua prefazione all’ultimo libro della collega Margherita Spagnuolo Lobb: “Il libro mostra molto bene quante e quali siano ormai le aree di sovrapposizione tra diversi approcci, e mostra anche come concetti centrali della psicoterapia della Gestalt abbiano anticipato sviluppi recenti della psicoterapia […], ad esempio alcuni aspetti della psicoanalisi contemporanea”
In che senso? I fondatori della Gestalt sono stati semplicemente geniali? Non credo, ma credo invece che fossero persone creative e più audaci di altre. Molti concetti della terapia della Gestalt si sono sviluppati all’interno del movimento psicoanalitico e rappresentano revisioni della meta-teoria, della pratica terapeutica e della critica culturale di Freud. Le analogie attuali, tra Gestalt e psicoanalisi, diventano più comprensibili, perché la psicoanalisi freudiana o kohutiana ha riscoperto esperienze di psicoanalisti dissidenti, che non sono stati accolti nel canone della corrente ortodossa, ma sono “sopravvissuti” all’interno della terapia della Gestalt. Come sono sopravissuti all’interno del White Institute, culla della psicoanalisi relazionale.
Per questo non parlerei soltanto di un avvicinamento tra scuole, bensì anche di un riconoscimento.
Come terapeuta della Gestalt mi sento profondamente legato ai dissidenti della scuola freudiana e a quel pezzo di storia della psicoanalisi. La psicoanalisi è “un progetto di ricerca” (Perls) e “come scienza umana non può essere monopolizzata” (Wolfgang Cremerius ).
Nell’ambito della storia della psicoanalisi, e in particolare della storia della sua emigrazione dopo il 1933, vedo nella terapia della Gestalt una legittima prosecutrice di una linea tradizionale, tendenzialmente interattiva, che conteneva elementi attivi, esperienziali e sperimentali, che coinvolgeva sempre di più l’analista e che verso la fine degli anni Venti sarebbe confluita a Berlino nell’analisi del carattere, come fenomeno di transizione.
Facevano parte del gruppo molto ristretto dei cosiddetti freudiani di sinistra e analisti del carattere a Berlino Karen Horney (la prima analista di Perls), Wilhelm Reich (l’analista più importante di Perls), Otto Fenichel (analista di controllo dei coniugi Perls), Erich Fromm, Siegfried Bernfeld e altri.
Wilhelm Reich, il più importante teorico dell’analisi del carattere insieme ad Otto Fenichel, viene perlopiù lasciato completamente in disparte anche dagli psicoanalisti moderni. Averlo sullo sfondo è invece per noi caratteristico. L’assorbimento degli inizi dell’analisi del carattere a Vienna e del suo sviluppo a Berlino da parte di Perls, negli anni dal 1927 al 1933, fu il momento in cui la tradizione interattiva venne tramandata all’allora psicoanalista Perls.
L’analisi del carattere dell’epoca, che ancora aveva pochissimo a che fare con la teoria reichiana dei blocchi e delle resistenze muscolari con la quale ancora oggi essa viene spesso confusa anche dai terapeuti della Gestalt, era di per sé una variante della psicologia dell’io in via di sviluppo. Per noi è importante il fatto che già a quell’epoca si facessero dei tentativi di ricomposizione delle scissioni, in particolare di quelle tra psiche e corpo e tra individuo e società. Tra il dentro e il fuori.
Si trattava di estendere l’interesse dal sintomo a tutta la persona, dal passato alla situazione attuale, dai contenuti discussi e fantasticati alla superficie fenomenologica, esperibile ed osservabile. Col rafforzato interesse per il “come” andava di pari passo l’interesse per i processi corporei ed emozionali attuali, per i segnali corporali e per le emozioni dissociate e per l’aumento della consapevolezza delle percezioni preconsce.
In maniera crescente, entrava nel campo di osservazione quello che Daniel Stern oggi definisce come “comunicazione implicita”.
Da un lato, psiche e corpo erano considerati interdipendenti ed entrambi importanti; dall’altro, la persona era nuovamente collocata in un ambito di realtà sociale e politica. Si trattava tendenzialmente dell’analisi del campo complessivo, in un tentativo di tenere insieme biologia, psicologia e sociologia, che corrispondeva dichiaratamente alle intenzioni di Perls e Goodman.
Voglio adesso accennare solo brevemente a una delle prospettive più avanguardistiche di Gestalt Therapy del 1951. Perls e Goodman criticano già sul finire degli anni Quaranta le prospettive adultomorfe che descrivono il bambino come primariamente narcisistico, autistico e pieno di sentimenti di onnipotenza. Per contro, essi procedono da una «natura sociale fondamentale dell’organismo e della personalità che si sta formando», e vedono interazioni e riferimenti dialettici entro un comune campo madre-bambino: “Poiché, in quale senso il bambino è essenzialmente isolato e indifeso? Egli appartiene ad un campo in cui la madre costituisce l’altra parte. Il grido di angoscia del bambino costituisce un mezzo adeguato di comunicazione; la madre deve rispondere; il bambino ha bisogno di carezze, e la madre ha bisogno di accarezzare; e così anche per le altre funzioni”. Questo è, a mio parere, un esempio di anticipazione di ciò che Beebe e Lachman definiscono oggi «il pensiero sistemico dal colorito relazionale della ricerca sull’infanzia» (in Altmeyer et. al., p. 132).
Una visione che sul finire degli anni Quaranta si trova con questa chiarezza soltanto presso il già allora emarginato e a tutt’oggi sconosciuto “babywatcher” Wilhelm Reich e nelle dispense dei seminari di Harry Stack Sullivan.
Sullivan descrive, facendo riferimento alla teoria di campo di Lewin, le necessità del bambino come «necessità di contatto» interpersonali e complementari alle necessità della madre. Egli parla anche di «complesso organismo-ambiente», mentre Perls e Goodman parlano del “campo organismo- ambiente”. Sullivan, del resto, avrebbe già tenuto i seminari citati nell’inverno 1946/47, quando Perls ne sarebbe stato frequentatore al White Institute, dove avrebbe tenuto a sua volta un intervento. Non è da escludere che nei passaggi corrispondenti del libro Gestalt Therapy siano confluiti anche appunti dai seminari di Perls di quel periodo.
Voglio ricordare che Perls nei primi anni di New York aveva contatti stretti col White Institute e una relazione professionale e di amicizia con Clara Thompson, analizzata da Ferenczi, (che, cosi ricordano tutte due i Perls, mandava pazienti „difficili“ a Perls e sembra che avesse anche provato a farlo entrare come docente nel Istituto).
Le esperienze berlinesi con un analista didatta “prevelamente muto” (Fromm), diedero sia a Perls che a Fromm importanti impulsi per rivedere la teoria freudiana e per elaborare idee proprie sul trattamento, che oltrepassassero il setting ortodosso.
Le critiche di Fromm e di Perls nei confronti della teoria freudiana e le loro idee in merito al cambiamento della pratica clinica si assomigliano enormemente in alcuni tratti fondamentali. Condividono, per esempio, la critica verso la teoria dell’istinto di morte, l’interpretazione autoritaria e il setting infantilizzante del divano. Entrambi erano interessati a temi come la crescita psichica e la consapevolezza corporea, rimarcavano l’importanza del qui ed ora, ed integravano nel loro rispettivo approccio la filosofia “io-tu” di Buber ed elementi teorici taoistico-buddisti. Nella pratica concreta Perls ha però applicato le sue nuove idee in modo più radicale, ed è stato, al mio avviso, più creativo di Fromm per quanto riguarda l’utilizzo di nuove possibilità d’intervento. Penso in particolare alla continuazione degli esperimenti di Berlino con la consapevolezza del corpo, del respiro e dell’espressione emotiva e la loro integrazione concreta nel lavoro terapeutico.
Per finire, vorrei ricordare qui un fatto storico che a me sembra dimenticato, sia dalla psicoanalisi ortodossa, sia da quella relazionale. Parlo del conflitto drammatico, dopo l’ascesa al potere di Hitler, fra l’IPA e lo psicoanalista politico e antifascista Wilhelm Reich, sulla domanda di adattamento o resistenza, che ha portato alla esclusione di Reich e alla rimozione in gran parte di tutto che – anche nella pratica analitica – poteva ricordare la sua influenza.
Ricordo che ai tempi di Perls erano Francoforte e in particolare Berlino i “think tanks” in cui si radunavano analisti, studiosi delle scienze sociali e teorici della Gestalt e di campo (fin quando il nazionalsocialismo li mandò in esilio). Nel libro Gestalt Therapy (1951) sono ben conservati in particolar modo i primi tentativi operati dai freudiani di sinistra di Berlino per ricomporre le scissioni.
Il setting della deprivazione sensoriale e interattiva, di cui avevano fatto esperienza Perls e Fromm nelle loro analisi didattiche a Berlino, fu criticato in quel periodo da Reich come “sadismo del famoso silenzio analitico”. Inoltre Reich rimarcò il fatto che un “atteggiamento rigido come quello di una mummia” da parte dell’analista non permettesse all’analizzando di “sciogliersi”.
Lore Perls, riferendosi al freudo-marxista Siegfried Bernfeld, il quale già nel 1929 aveva provato a reintrodurre nel dibattito psicoanalitico la realtà sociale con il concetto di “luogo sociale”, aveva detto: «Il luogo sociale di Bernfeld è chiaramente un concetto di campo».
Lo scomparso psicoanalista Ernst Federn (il figlio di Paul Federn), mi scrisse in una lettera: «Perls e Goodman scrivono: “La definizione di un essere vivente… comprende anche il suo ambiente”. Bernfeld dice molto prima che il “luogo sociale” appartiene all’individuo. Sono soltanto parole diverse».
Aaron e Harris invece credono che, partendo dal White Institute, l’approccio relazionale si sarebbe sviluppato negli anni 70-80, partendo dalla messa in discussione “del mito del Sé de-limitato”.
Ma come si vede, la “svolta relazionale” o il contestualismo all’interno della psicoanalisi – e pensando a Rogers, anche nella psicoterapia in generale – cominciò molto prima di quanto i suoi attuali rappresentanti credono e ricordano.
Mi devo fermare qui. Grazie a tutti coloro che hanno fatto parte di questa – diciamo – riunione dei nipoti e pronipoti di un gruppo di uomini e donne veramente coraggiosi e creativi. E grazie per la vostra pazienza.
Bibliografia:
Altmeyer M.,Thomä, H., eds. (2006). Die vernetzte Seele. Die intersubjektive Wende in der Psychoanalyse, Stuttgart: Klett Cotta.
Bocian B. (2012). Fritz Perls a Berlino 1893-1933. Espressionismo, psicoanalisi, ebraismo, Milano: FrancoAngeli.
Bocian B. (2012 a). Sulle scissioni o il “contatto come prima realtà”: osservazioni su un lavoro di Paul Goodman. In: Quaderni di Gestalt 2012/1, pp. 126-137
Spagnuolo Lobb, M. (2011). Il now for next in psicoterapia. La psicoterapia della Gestalt raccontata nella società post-moderna, Milano, Franco Angeli
Bernd Bocian, Dr. phil., psicoterapeuta tedesco, Gestalt-Therapist e councelor. Specializzazione pluriennale in terapia psicoanalitica e terapia reichiana. Autore di numerose pubblicazioni sulla relazione storica ed attuale fra terapia della Gestalt e la psicoanalisi. Ultimo libro: Fritz Perls a Berlino 1893 – 1933. Espressionismo, psicoanalisi, ebraismo (FrancoAngeli, 2012). Vive a Genova (b.bocian@libero.it)