Prefazione
Continua la ricerca e il lavoro di Anita Rusciadelli, che si configura come l’opera paziente di un detective che segue le tracce della scrittura per avvicinarsi all’anima della persona. Seguire cioè le tracce comunicative che distinguono l’opera umana, nella codificazione del linguaggio naturale e storico. Negli interventi precedenti di Anita abbiamo cominciato a capire meglio la natura della materia grafologia che, con lo studio della scrittura, deduce informazioni per tracciare un profilo della personalità.
Abbiamo interpretato che il fondamento della disciplina e della sua ricerca parta dall’assunto che, una volta sviluppatasi la fase dell’apprendimento della scrittura, questa diventi un procedimento automatico (come risultato di risposte motorie ai circuiti neuronali).
Tale forma di risposta ha caratteristiche di unicità, analogamente alle esperienze emozionali di ogni individuo.
Pensiamo di incrementare la rubrica, con interventi che riguardino uno materia da noi poco conosciuta ,ma non per questo meno interessante, che è il campo della psicologia “applicata”, attraverso mezzi in parte diversi dall’esclusività della parola “parlata”.
“L’anima e la scrittura.”
Anita Rusciadelli
“” … una notte
un battito di cuore alla porta.
Fuori, una donna nella nebbia
ramoscelli ha per capelli
e un abito di erbe sgocciolanti
verdi acque del lago.
Dice: ” Sono te,
e vengo da tanto lontano.
Vieni con me, ho qualcosa da mostrarti …”
Si volge e le si apre il mantello
D’ improvviso, luce d’oro …. Ovunque, luce d’oro …””
La donna che vive nel lago
Clarissa Pinkola Estés
Quando inizio a lavorare su una scrittura, prima di entrare nella fase della misurazione e della quantificazione dei segni grafologici, vivo un momento di profonda compenetrazione con l’autore, in cui tutti quanti i miei sensi si attivano per percepirlo prima di conoscerlo.
Lo guardo attraverso le sue tracce sul foglio, lo annuso, tocco le sue impercettibili oscillazioni sulla carta e ascolto ciò che mi comunica con le sue vibrazioni.
Non ho mai fretta e aspetto volentieri che la persona inizi a svelarsi e a parlarmi della sua indole, della sua storia e del suo sentire.
Così facendo riesco a dare il giusto senso e la giusta interpretazione a ciò che, nella seconda fase – caratterizzata da una rigorosa tecnica metodologica – emergerà dalla decodificazione simbolica dei singoli segni grafologici rilevabili nello scritto.
Negli ultimi anni, tuttavia, l’impatto percettivo e sintonico iniziale, che costituisce il momento di conoscenza empatica per me tanto importante, risulta particolarmente difficoltoso, in quanto un numero sempre maggiore di persone tende a costruire un’immagine esteriore di sé socialmente accettabile e rispondente ai modelli proposti, sacrificando la componente di autenticità e di libertà espressiva che è la vera “luce d’oro” di ognuno.
Il fenomeno interessa sia i bambini degli ultimi anni delle scuole elementari sia i giovani – e meno giovani – adulti e si intensifica nelle fasce di età comprese tra i 15 e i 25 anni, in cui l’appiattimento scrittorio e la stereotipia del gesto grafico raggiungono livelli esponenziali.
La scrittura diventa così la maschera – una delle tante – non porosa dietro cui nascondersi per non rivelare la propria fragilità, le proprie debolezze e le proprie insicurezze, le quali tuttavia crescono alimentandosi a vicenda in un ambiente asfittico, senza luce e senza confronto.
Mi ricordo che molti anni fa, quando ero ancora una ragazzina – ahimè, una brava ed ineccepibile ragazzina -, un adulto, sensibile ed intelligente, mi diceva che, una volta ogni tanto, ci si poteva chiudere in una stanza, serrare porte e finestre e dire e fare tutto quello che non era concesso dire e fare fuori.
Ci riunivamo allora, in tre o quattro amiche, in una soffitta piena di ragni e di odori stantii e dicevamo parolacce e facevamo brutti gesti e brutti versi, urlavamo, ci rotolavamo in terra, in una vertigine di libertà sfuriata, sfacciata e divertente, leggera e terapeutica, meravigliosamente liberatoria.
Ne uscivamo felici e spossate, dense di consapevolezze, intimamente legate da una coscienza comune: quella di essere anche altro, al di là del ruolo che dovevamo recitare e quella della legittimità di esprimere pienamente se stessi.
Provo a fare qualcosa di simile anche con le persone che si affidano a me, stimolandole, in modi diversi a seconda delle età, a lasciarsi andare senza timore e senza freni sul foglio, ad abbandonare i ruoli, a lasciare emergere altre componenti della personalità con immediatezza, estemporaneità, libertà e spontaneità.
I risultati sono di enorme portata rivelatoria e consentono l’accesso all’Ombra o, a piacere, alla “Luce d’oro”.
Un caso: Leonardo.
Leonardo fa la prima media, è un bambino seduto al primo banco e, a detta degli insegnanti, attento, ligio al dovere, scrupoloso, responsabile e preciso nell’esposizione e nell’esecuzione delle consegne.
Lo osservo durante il lavoro che stiamo facendo in classe e durante la ricreazione: è teso e si muove senza scioltezza, tende a stare in disparte o con un solo amico; se lo prendono in giro – perché è piccolino di altezza e perché è un sapientone – o gli fanno i dispetti tende a non reagire e si allontana con un atteggiamento di sofferente sussiegosità.
La prima scrittura – fig. 1 – che Leonardo produce a seguito della mia richiesta, è conforme al suo atteggiamento: ci sono segni di energia compressa e di latente aggressività, un forte senso di sé e della propria dignità, entrambi amplificati, che compensano chiaramente una sensazione di inadeguatezza; è presente uno spiccato bisogno di distinguersi, di essere ineccepibile e irreprensibile, giusto e corretto, fino a congelare ogni moto di spontaneità, di reattività e di impulsività, nel timore di smascherarsi e di sbagliare.
La seconda scrittura – fig. 2 – ottenuta dopo un lavoro guidato a riconoscere altri aspetti di sé e a dare loro diritto di esistenza, presenta caratteristiche molto diverse dalla prima, anche se – naturalmente – mantiene elementi temperamentali comuni: è di dimensioni enormi, occupa senza misura tutto lo spazio del foglio, è di tratto leggero, è disordinata, aggrovigliata, eccessiva in tutte le sue espressioni.
Rappresenta proprio ciò che Leonardo vorrebbe essere, se non lo ritenesse assolutamente sconveniente: libero, esagerato, leggero, creativo, pura espressione senza freni, capace non solo di difendersi ma anche di imporsi e di aggredire, ribelle, superficiale, banale, trasgressivo, al centro del mondo e con una platea entusiasta a suo seguito.
La sua personalità si sta dunque sviluppando in maniera poco funzionale ed alcuni aspetti di essa stanno prendendo il sopravvento su molti altri, proprio come, in certe macchie mediterranee, gli alberi più alti e fitti e frondosi si intricano tra loro fino a soffocare il sottobosco.
La conquista dell’equilibrio e dell’integrazione delle sue varie componenti non sarà facile ma tutto ha un inizio: per Leonardo questo inizio è stato il teatro, in cui egli è finalmente libero di sperimentarsi, di essere il se stesso conosciuto ed altri mille se stesso ignoti ma impellenti, di non aver paura delle sue sfaccettature e delle sue contraddizioni e di esprimersi a tutto tondo ed in tante dimensioni, fino a trovare la sua autentica identità nel teatro della vita.
Anita Rusciadelli
E-mail: anitarusciadelli@tiscali.it