Letto da Valentina Ciampi

Il volume raccoglie una serie di saggi in cui Freud tratta di creazioni o problemi artistici o anche semplici considerazioni personali, applicandovi le tecniche specifiche della psicoanalisi, generalmente con lo scopo di porre in evidenza il fondamento psichico di ogni opera d’arte e comunque permettendo anche al lettore non edotto di farsi un’idea su alcuni nodi tematici fondanti della dottrina psicoanalitica, alla cui spiegazione Freud provvede man mano che se ne pone l’esigenza .
Ma è lo stesso autore a mettere in guardia dai limiti dell’applicazione del metodo psicoanalitico, dai rischi di quello che difatti diverrà lo psicologismo estetico, ovvero la pretesa di stabilire dei criteri di valutazione estetica attraverso un’indagine psicologica: “purtroppo dinanzi al problema del poeta [della valutazione estetica] l’analisi deve deporre le armi“.

L’unico saggio, infatti, in cui ad essere presa in analisi è l’intera vita di un artista è quello su Leonardo da Vinci (Un ricordo d’infanzia di Leonardo da Vinci, 1910), che peraltro si concentra su un ricordo d’infanzia dello stesso, con lo scopo di servirsene per l’approfondimento di un problema teoretico della psicoanalisi, quello della formazione degli pseudoricordi infantili.

Esso costituisce dunque un esempio dell’applicazione dei metodi psicoanalitici e una trattazione che sfrutta l’analisi dei ricordi e delle opere di Leonardo per discutere della natura del narcisismo, dell’attività intellettuale, dell’omosessualità, ecc. Scriverà Freud in una lettera del 1914 al pittore Hermann Struck:

Un libretto su Leonardo da Vinci da me scritto non deve essere proprio di Suo gusto. Esso presuppone che non ci si scandalizzi dei temi omosessuali e che si abbia molta familiarità con le vie contorte della psicoanalisi. Del resto è, per metà, una composizione romanzesca. Non vorrei che lei giudicasse la sicurezza delle altre nostre scoperte su questo modello.”

E ancora fra le pagine di questo volume:

Non spetta a ricerche di questo tipo spiegare il genio del poeta, ma esse mostrano quali motivi il genio stesso abbia risvegliato, e quale materia gli sia stata offerta dal destino. Ha un particolare fascino lo studio delle leggi della vita psichica condotto sopra una personalità di rilievo.

Per quanto riguarda gli altri saggi, la finalità si rivela comunque quella di approfondire la vita interiore dei personaggi rappresentati, trattati alla stregua di individui viventi: è quanto avviene in Alcuni tipi di carattere tratti dal lavoro psicoanalitico (1916), in cui si analizzano Macbeth di Shakespeare e Romersholm di Ibsen. Oppure quella di evidenziare un carattere simbolico all’interno di un motivo poetico (in Il motivo della scelta degli scrigni, 1913). Nel saggio su Dostoevskij, poi, sono scarsi i riferimenti all’opera letteraria dello stesso, mentre l’interesse è puntato sul problema clinico dell’epilessia.

Il primo esempio pubblicato di applicazione dei metodi della psicoanalisi all’interpretazione delle opere letterarie è offerto dallo studio sulla Gradiva di Jensen, che costituisce tanto un’efficace sintesi divulgativa dei nodi teorici della psicoanalisi quanto il primo esempio della cosiddetta “psicoanalisi dell’arte”.

Quello che si va delineando attraverso le pagine di questi scritti freudiani pare essere uno dei modelli per l’analisi estetica, per la critica d’arte:

[la psicoanalisi] è avvezza a indovinare cose segrete e nascoste in base a elementi poco apprezzati o inavvertiti, al rimasuglio – ai “rifiuti”- dell’osservazione.

Uno sguardo diverso sulle opere artistiche, che ne coglie un aspetto nascosto (o forse, al giorno d’oggi, solo uno degli innumerevoli aspetti).

Premetto che in fatto d’arte non sono un intenditore, ma un profano. Ho notato spesso che il contenuto di un’opera d’arte esercita su di me un’attrazione più forte che non le sue qualità formali e tecniche, alle quali invece l’artista attribuisce un valore primario.

Le finalità dell’applicazione del metodo psicoanalitico all’interpretazione delle opere d’arte sono fin dall’inizio stabilite come non definitive, non assolutizzanti né esaustive: la sfera dell’estetica di cui s’interessa la psicoanalisi costituisce un qualche cosa di marginale rispetto agli studi estetici specializzati, chiarisce Freud.
Ciò nondimeno, numerosi sono gli spunti che le riflessioni freudiane suggeriscono.
A cominciare dalle motivazioni portate a spiegazione dell’efficacia universale del materiale leggendario che costituisce le più grandi opere d’arte, che trova la propria origine nella psicologia infantile: l’amore e l’odio per l’uno o l’altro dei genitori che caratterizza i primi impulsi della vita psichica di qualsiasi bambino e che turba il rapporto coi genitori fa parte di quello che Freud definisce un “primordiale materiale onirico”, che trova esplicita menzione nel testo stesso dell’Edipo re di Sofocle:

Quanti, prima di te, nei sogni loro
Giacquero con la madre! Ma la vita
Per chi vede in quest’ombre il nulla vano
E’ solamente lievissimo peso.

Per continuare con l’approfondimento proposto per la lettura della Poetica di Aristotele riguardo agli scopi della tragedia, quello di purificare l’animo suscitando nello spettatore sentimenti di pietà e terrore, Freud aggiunge come l’intento della tragedia possa essere considerato anche quello di ottenere fonti di piacere o di godimento dalla nostra vita affettiva, come il motto di spirito e la comicità le ottengono dalla nostra vita intellettuale.
Continui i parallelismi tra attività artistica e gioco, tra adulto e bambino, che non fanno che illuminare di volta in volta nuove prospettive sulla natura della creazione poetica che se non vogliono essere verità dogmatiche e stabilite si rivelano comunque stimoli di riflessione per il lettore inappagato e inaccontentabile, per un cervello che abbia voglia di partecipare alla lettura piuttosto che di sorbirsene una precotta e predigerita.
Tali parallelismi si trovano in particolare nello studio Il poeta e la fantasia. Di notevole interesse non solo dal punto di vista psicoanalisi, ma anche da quello di una considerazione non convenzionale del teatro e delle sue funzioni – non ultima quella per la quale esso offre una possibilità autentica per l’estrinsecarsi sulla scena di una vita autenticamente vissuta – è l’analogia istituita tra arte e gioco sulla base della comunanza linguistica: in alcune lingue – come l’inglese, il francese ed il tedesco – il verbo giocare (“to play”, “jouer”, “spielen”) è usato anche per indicare determinate attività artistiche (ecco che l’attore, per spiegare meglio e tuttavia non abbastanza, quanto accennato sopra, non si trova più a “recitare” una parte, ma a “giocare”; a giocare forse un ruolo, come nella vita; dunque, forse, semplicemente a vivere esprimendo molto più e molto più intensamente che non nella vita ordinaria).

 

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